Massimo Introvigne, Cristianità n. 127-128
L’enciclica di Papa Leone XIII sulla costituzione cristiana degli Stati, nella sua struttura e nel suo significato, all’interno del Magistero leoniano e del più vasto corpus di documenti in cui si esprime la dottrina sociale della Chiesa.
Nella ricorrenza della pubblicazione
Cento anni fa la «Immortale Dei»
«I vecchi politici cattolici – ha scritto Augusto Del Noce – leggevano la Rerum novarum come se fosse isolabile dall’insieme del corpus leonianum; coerentemente i nuovi, portando alle conseguenze ultime il difetto di questa linea, hanno del tutto trascurato di leggerla» (1). La puntualità della osservazione emerge in tutta evidenza se si considera lo scarso interesse che molta stampa cattolica ha manifestato nei confronti del centenario di quella che è forse la principale enciclica del corpus di Leone XIII: la Immortale Dei, documento di fondamentale importanza nella storia della dottrina sociale della Chiesa per il suo carattere sistematico. Nel documento, datato 1 novembre 1885, Leone XIII presenta una serie di elementi di quadro senza i quali rimarrebbero oggi incomprensibili le trattazioni da lui dedicate a singoli argomenti come il socialismo (Quod Apostolici muneris, 1878), la massoneria (Humanum genus, 1884), il matrimonio (Arcanum, 1880), la libertà (Libertas, 1888), l’autorità (Diuturnum, 1881), i problemi economici e sociali (Rerum novarum, 1891 e Graves de communi, 1901). Vale la pena, pertanto, di ritornare almeno brevemente – traendo spunto dal trascurato centenario – sugli elementi più importanti della Immortale Dei. L’enciclica si compone essenzialmente di tre parti: nella prima, Leone XIII presenta un modello di società conforme alla dottrina sociale naturale e cristiana; nella seconda esamina l’anti-modello moderno, il «diritto nuovo», e ne mette in luce gli errori; nella terza indica ai cattolici alcune direttive per l’azione sociale e politica.
1. La costituzione cristiana degli Stati
Il Pontefice espone anzitutto «quale sarebbe l’aspetto e l’intimo ordinamento di una società pienamente formata su princìpi cristiani». Lo statuto epistemologico del procedimento impiegato è quello riconosciuto in anni recenti come tipico delle dottrine sociali: muovendo da alcune premesse di carattere dottrinale si costruisce un modello il cui intento non è descrittivo ma prescrittivo, in quanto non «rappresenta» una società esistente, ma ha piuttosto lo scopo di mostrare quali sarebbero le conseguenze se quelle premesse venissero in modo conseguente applicate (2). Il modello prescrittivo di Leone XIII – proposto come criterio di giudizio, nel senso che sulla misura del modello le società storiche potranno essere giudicate – muove dai princìpi già esposti nella enciclica Diuturnum del 1881: l’uomo è naturalmente sociale e «naturalmente ordinato alla società civile»; quindi – poiché non vi è società senza autorità – anche l’autorità non è la conseguenza di un patto o contratto sociale, ma «non altrimenti che la società è da natura, e per ciò stesso viene da Dio». L’autorità «non è di necessità legata a nessuna forma di governo in particolare»: la dottrina della Chiesa non ne condanna alcuna, purché realmente volta al bene comune. L’importante è che – qualunque sia la forma di governo – l’autorità dei governanti si modelli sulla autorità di Dio, e sia quindi esercitata «non qual di padrone, ma quasi di padre» avendo come «ragione unica» il bene comune. A queste condizioni l’autorità sarà legittima, e contro l’autorità legittima non esiste un «diritto di ribellione» (3).
Il modello ideale descritto da Leone XIII è quello di una società esplicitamente cristiana che riconosca Dio, lo onori «con atti di culto pubblico» e riconosca la sua legge come limite che le leggi dello Stato devono rispettare. Come principio generale, nota infatti il Pontefice, è necessario che la società non ostacoli ma anzi, se possibile, favorisca – collaborando con la Chiesa – la salvezza eterna dei consociati. La Chiesa, «società nel suo genere e giuridicamente perfetta», «non deve essere ritenuta inferiore ai poteri dello Stato, né a lui in qualsiasi modo sottoposta»: Chiesa e Stato sono potestà ambedue sovrane e supreme, ciascuna nel suo ordine. Ma poiché le due potestà si esercitano spesso sui medesimi uomini, dovrebbero essere fra loro ordinate come l’anima e il corpo, e operare in concorde e amichevole collaborazione per il bene di tutti. La Chiesa anzi, che guarda a sua volta come modello a Cristo, può diventare in un certo senso il modello a cui le società civili devono ispirarsi per tendere alla loro perfezione storica e rendere, a loro modo, gloria a Dio (4).
Quello che Leone XIII descrive è certo, come si è accennato, un modello ideale. Ma un modello a cui l’Europa si è avvicinata almeno in un’epoca della sua storia. Una delle pagine famose dell’enciclica è il celebre elogio del Medioevo, «tempo in cui la filosofia del Vangelo governava gli Stati» e in cui, grazie alla collaborazione fra «il Sacerdozio e l’Impero, stretti avventurosamente fra loro per amichevole reciprocanza di servigi», la società «recò frutti che più preziosi non si potrebbe sperare, dei quali dura e durerà la memoria, affidata a innumerevoli monumenti storici, che nessun artificio di nemici potrà falsare o oscurare». Notevole è la rilevanza culturale di questo brano della Immortale Dei, che si può considerare come un presagio della riscoperta dei valori positivi del Medioevo da parte della storiografia del Novecento (5), che ha trovato eco anche in recenti discorsi del Pontefice regnante (6).
I benefici della civiltà cristiana del Medioevo, nota ancora Leone XIII, «sarebbero durati, se del pari fosse durata la concordia dei due poteri: e di maggiori anzi se ne poteva sperare». Ma la concordia fra i due poteri non durò: e la civiltà medioevale iniziò un processo di irreversibile decadenza, che favorì l’emergere del «diritto nuovo».
2. Il «diritto nuovo»
«Il funesto e deplorevole spirito di novità suscitatosi nel secolo XVI prese da prima a sconvolgere la religione, passò poi naturalmente da questa nel campo filosofico, e quindi in tutti gli ordini dello Stato». Dal processo che muove dal protestantesimo e dal razionalismo nasce il «diritto nuovo», fondato sull’idea della «sovranità popolare» secondo cui l’origine dell’autorità deriva dagli uomini attraverso un originario contratto sociale, e non dalla natura e quindi da Dio. Nel «diritto nuovo» né gli individui né gli Stati hanno obblighi verso Dio. Per gli individui le «libertà di coscienza, di culto, di pensiero, di stampa» vengono proclamate come valori assoluti, sciolti da ogni controllo o limite morale o religioso. Gli Stati, a loro volta, sono «liberati» dal dovere di favorire la religione; ma il loro potere diventa nel contempo assoluto, solutus ab, sciolto da qualunque dovere verso una legge morale o religiosa superiore. La Chiesa viene a trovarsi in una «dura condizione». Non solo non viene riconosciuta e favorita, ma le viene «negata ogni ingerenza» nella vita sociale, nel pubblico insegnamento, nella regolazione dei matrimoni; non di rado viene anche perseguitata e spogliata dei suoi beni. La Chiesa, insomma, «non più avuta in conto di società perfetta e giuridica non sarà per lo Stato altro che una associazione simile alle tante altre che sono e vivono in esso».
Il «diritto nuovo» è quindi intrinsecamente contrario alla morale sociale cattolica. Ma la condanna del «diritto nuovo», aggiunge il Pontefice, deve essere bene intesa. Il giudizio negativo non coinvolge infatti «alcuna delle forme di governo in uso», purché conformi al bene comune; né condanna «la partecipazione più o meno larga dei cittadini all’andamento della pubblica cosa», che «in date circostanze e con certe condizioni può essere non solo utile, ma doverosa». Leone XIII non vuole neppure negare la possibilità di una «giusta tolleranza», da parte di Stati cattolici nei confronti di altri culti; e del resto «vuole assolutamente la Chiesa che nessuno sia tratto per forza ad abbracciare la fede cattolica». La Chiesa, infine, non condanna i progressi moderni, tanto meno quelli scientifici e tecnici che anzi incoraggia; ma non può approvare le «opinioni malsane», le teorie e le ideologie «moderne» soltanto perché vengono presentate come parte integrante e irrinunciabile di un più generale «progresso», che dovrebbe essere accettato tutto insieme e senza distinzioni.
3. I doveri politici dei cattolici
Nella situazione creata dal «diritto nuovo» sorge per i cattolici un particolare dovere di presenza nella vita politica e sociale. «Generalmente – afferma il Pontefice – l’astensione totale dalla vita politica non sarebbe meno biasimevole che il rifiuto di qualunque concorso al pubblico bene». Ci si può chiedere tuttavia: la regola del dovere di partecipazione politica vale anche negli Stati del «diritto nuovo»? È doveroso, è lecito per i cristiani fare politica anche in uno Stato attualmente o potenzialmente anti-cristiano? Dipende, risponde Leone XIII: «Può accadere che in qualche luogo, per gravissime e giustificate ragioni, non sia espediente partecipare agli affari dello Stato né ricevere uffici politici». La regola enunciata dal Pontefice ha un ovvio riferimento contingente all’Italia del non expedit, ma ha anche un valore generale: quando uno Stato passa certi limiti può nascere per i cattolici un dovere negativo di «non […] partecipare» a un regime che si è macchiato di straordinari eccessi. Tuttavia, come regola generale e salvi i casi limite, anche in Stati non cattolici – come già nell’impero romano pagano – «i cattolici hanno buona ragione di prendere parte alla vita politica»: «non lo fanno né lo devono fare per sanzionare ciò che vi è di riprovevole nei vigenti sistemi, ma bensì per far servire questi sistemi medesimi, per quanto è possibile, al genuino e vero bene pubblico».
Quanto alla modalità pratica dell’azione politica dei cattolici, «mal potrebbe determinarsi con norme assolute, dovendo essa variare secondo la varietà dei luoghi e delle circostanze». Tuttavia il Pontefice raccomanda «l’accordo dei voleri e l’unità dell’azione». Certo, «bisogna stare in guardia di non lasciarsi andare ad essere conniventi all’errore, o ad opporgli più debole resistenza che la verità non comporti»: l’unità dei cattolici non potrebbe essere perseguita a scapito della verità. Ma, salvi i diritti prioritari della verità, resta – in questa come in molte altre encicliche di Leone XIII – una passione per l’unità che inizia una lunga tradizione e che ha trovato la sua più recente espressione nel discorso di Giovanni Paolo II al convegno ecclesiale di Loreto, dove pure il Papa ha parlato di un «legame costitutivo tra unità e verità» (7).
4. La Immortale Dei è ancora attuale?
La Immortale Dei è «superata»? Qualcuno potrebbe pensarlo, almeno a giudicare dall’oblìo in cui sembra essere caduta. Di più, qualcuno potrebbe sostenere o sospettare che la stessa dottrina esposta nella Immortale Dei non sia più di attualità: la dichiarazione Dignitatis humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II implicherebbe infatti, secondo certe interpretazioni, l’abbandono di qualunque ideale di «Stato cattolico», se non addirittura l’accoglimento di un nuovo modello di Stato agnostico e relativistico. Senza entrare nel merito degli spinosi problemi interpretativi posti da certi passi della Dignitatis humanae – uno dei nodi, forse uno dei principali, che la «verifica» della applicazione del Concilio promossa dal secondo Sinodo Straordinario dovrà sciogliere – può valere la pena di tenere presenti le riflessioni di un testimone insospettabile, il cardinale Gabriel-Marie Garrone, che nel testo della dichiarazione conciliare riscontra, in una recente intervista, «qualche ombra». «Infatti a mio parere – dichiara il porporato – il decreto Dignitatis humanae non sottolinea in modo adeguato l’elemento di continuità con il passato. Qualcuno vi potrebbe leggere addirittura un rifiuto delle concezioni precedenti. Mentre non c’è nulla di più falso che leggere il Concilio in chiave di rottura con il passato, con la “Chiesa preconciliare”» (8).
Quanto alla Immortale Dei Giovanni Paolo II, ricordandone il centenario in un discorso dell’8 settembre 1985 a Vaduz alle autorità politiche del Liechtenstein, ha ammonito che il testo di Leone XIII contiene «pensieri fondamentali sull’ordinamento cristiano dello Stato, ed in particolare sull’origine teologica del potere politico». Nello stesso discorso il Pontefice ha lodato «lo stretto rapporto in cui vivono, nel principato del Liechtenstein, lo Stato e la Chiesa», caratterizzato dal fatto che «la legge […] riconosca alla Chiesa cattolico-romana come Chiesa nazionale una speciale tutela dello Stato, assicurando tuttavia ad ogni persona la libertà di religione e di coscienza, garantendo la pratica religiosa anche per le altre confessioni entro i limiti della morale e dell’ordine pubblico» (9).
Il centenario della Immortale Dei, allora, non è una semplice coincidenza o una mera curiosità storica. Nel momento in cui il Pontefice invita a riprendere la riflessione sull’«ordinamento cristiano dello Stato» e sulla «origine teologica del potere politico» il testo di Leone XIII – coordinato, naturalmente, con le successive articolazioni e integrazioni della dottrina sociale della Chiesa fino ai giorni nostri – rimane un punto di riferimento da cui una meditazione sulla concezione cristiana dello Stato non può, ancora oggi, prescindere.
Massimo Introvigne
Note:
(1) AUGUSTO DEL NOCE, Il marxismo di Gramsci e la religione, in CRIS documenti, anno IV, n. 35, febbraio 1977, p. 26.
(2) Sull’uso di modelli nelle scienze sociali cfr. ENRICO DI ROBILANT, Modelli nella filosofia del diritto, il Mulino, Bologna 1968. Sulla distinzione fra teorie e modelli, sottolineata nella filosofia della scienza anglosassone soprattutto da S. Ziman, cfr. anche il mio I due principi di giustizia nella teoria di Rawls, Giuffrè, Milano 1983, p. 200.
(3) Per la traduzione della Immortale Dei seguo sostanzialmente la versione della edizione italiana del sesto volume, La pace interna delle nazioni, della raccolta Insegnamenti pontifici a cura dei monaci di Solesmes (Edizioni Paoline, Roma 1959), pp. 109-140.
I testi della Immortale Dei e della Diuturnum sul dovere di obbedienza all’autorità, che negano l’esistenza di un diritto assoluto alla ribellione, vanno letti insieme con i brani della Sapientiae christianae del 1890, che affermano un diritto e anzi un dovere di resistenza quando «le leggi dello Stato apertamente dissentono dal diritto divino»; in questo caso «è dovere il resistere e colpa l’ubbidire», «resistere officium est, parere scelus».
(4) Per uno sviluppo di questo concetto, nella prospettiva di un apostolato sociale per il nostro tempo, cfr. GIOVANNI CANTONI, La «buona battaglia» di Alleanza Cattolica per la maggiore gloria di Dio anche sociale, in Cristianità, anno XI, n. 100, agosto-settembre-ottobre 1983.
(5) Mi sembra significativo ricordare un testo di Marco Tangheroni, che fa riferimento a questo brano della Immortale Dei nella sua prefazione alla edizione italiana di Luce del Medioevo (Volpe, Roma 1978). Questa edizione, promossa da militanti di Alleanza Cattolica, colmava un ritardo trentennale e veniva a spezzare una incredibile congiura del silenzio messa in opera dalla «macchina culturale» italiana – ancora ferma alla «leggenda nera» sul Medioevo – nei confronti di quella che già da anni era riconosciuta in molti paesi come una delle maggiori storiche del nostro tempo. Di Régine Pernoud cfr. pure l’intervista «Il Medioevo: l’unica epoca di sottosviluppo che ci abbia lasciato delle cattedrali», a cura di Massimo Introvigne, in Cristianità, anno XIII, n. 117, gennaio 1985.
(6) «Noi siamo ancora gli eredi di lunghi secoli in cui si è formata in Europa una civiltà ispirata dal cristianesimo»: secoli in cui «i principi e i mercanti, i pellegrini e gli scienziati, gli artisti e i mistici percorrono le strade; essi sono gli agenti e i testimoni di un impressionante sviluppo dell’intelligenza speculativa e pratica, e di slanci spirituali che ravvivano il senso evangelico della povertà, dell’apertura all’altro, della speranza. Nel Medioevo, in una certa coesione dell’intero continente, l’Europa costruisce una civiltà luminosa di cui rimangono molte testimonianze» (GIOVANNI PAOLO II, Discorso durante l’incontro con le massime istanze della Comunità Economica Europea a Bruxelles, del 21-5-1985, in L’Osservatore Romano, 22-5-1985). A Salerno, celebrando Gregorio VII, il regnante Pontefice ha parlato «di quella incarnazione storica del messaggio cristiano, che caratterizza l’Alto Medioevo e si configura come “Societas christiana”, connotata da una forte compenetrazione di spirituale e di temporale. […] Una particolare esperienza, questa, che offrì non pochi vantaggi, consentendo alla Chiesa contributi per quanto concerne l’evangelizzazione e l’esplicazione di un ruolo di civilizzazione: fondazione dell’Europa su basi cristiane» (IDEM, Omelia in piazza della Concordia a Salerno, del 26-5-1985, in L’Osservatore Romano, 26/27-5-1985); il Pontefice nota poi i rischi di «mondanizzazione» che l’esperienza ha comportato per la Chiesa «specie nel secolo decimo», a cui ha posto riparo appunto Gregorio VII nel secolo successivo.
(7) IDEM, Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale a Loreto, dell’11-4-1985, in IDEM, Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Discorso, «Regina Coeli», omelia e saluto pronunciati a Loreto l’11 aprile 1985 in occasione del secondo convegno della Chiesa italiana su Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini (9-13 aprile 1985), Cristianità, Piacenza 1985, p. 12.
(8) Cardinale GABRIEL-MARIE GARRONE, Io, l’amico Wojtyla e la Gaudium et Spes, intervista a cura di Lucio Brunelli e Tommaso Ricci, in 30 giorni, anno III, n. 3, marzo 1985, p. 23.
(9) GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai parlamentari e ai rappresentanti del governo a Vaduz, dell’8-9-1985, in L’Osservatore Romano, 9/10-9- 1985.