Marco Invernizzi, Cristianità n. 129-130 (1986)
Spontaneismo e manipolazione del mondo studentesco. Le differenze tra il fenomeno appena iniziato e quello che si è sviluppato nel Sessantotto. Verso la demonizzazione dei cattolici?
Tra ideologia e riconquista della verità
Il Movimento dell’Ottantacinque
1. «“Siamo soltanto studenti”. Una manifestazione pacifica, assente la politica»: con questo titolo il Corriere della Sera presentava la manifestazione studentesca di sabato 9 novembre 1985 a Roma (1). Tale titolo avrebbe dovuto tranquillizzare, e ancora di più il sottotitolo che diceva: «Lo slogan è stato: “Più aule, meno tasse”». Ma la fotografia sottostante metteva in bella evidenza uno striscione della stessa manifestazione con una grande falce e martello.
Certamente qualcuno subito opporrà il fatto che quello striscione apparteneva agli «autonomi» che avevano preso indebitamente la testa del corteo romano e che cercano, ma inutilmente, di strumentalizzare il Movimento degli Studenti dell’Ottantacinque; e a conferma di questa tesi si possono leggere numerose cronache e molte interviste volanti apparse sui quotidiani in cui gli studenti affermano che rifiuteranno qualsiasi tentativo di «rosicare» sul Movimento (2).
Ma che il Movimento sia nato per essere «rosicato» da correnti ideologiche e da forze politiche appare troppo evidente per essere messo in dubbio. Infatti, non soltanto dal punto di vista organizzativo l’apporto delle strutture messe a disposizione degli studenti dal Partito Comunista Italiano, da Democrazia Proletaria e dai sindacati confederali è stato determinante per il buon esito delle manifestazioni, ma anche l’origine stessa del Movimento si può spiegare soltanto alla luce della volontà di queste forze politiche di innescare nella nostra nazione, e nella scuola in particolare, un episodio rivoluzionario simile a quello che cominciò nel Sessantotto.
2. Cosa può significare «innescare un episodio rivoluzionano», in un periodo caratterizzato dal riflusso nel privato, dal disimpegno soprattutto giovanile? Certamente non significa lottare per qualche banco in più o protestare semplicemente contro disservizi scolastici che esistevano anche mentre Milano, per esempio, era governata da una giunta di sinistra, quando nessuno ebbe l’idea – che pure sarebbe stata significativa – di lanciare uova contro il palazzo del Comune, come è avvenuto nel dicembre del 1985.
Molto concretamente, «innescare un episodio rivoluzionario» vuol dire mettere in atto una tesi che circolava tra i bolscevichi durante la Rivoluzione sovietica e che vale per ogni rivoluzione: «La meta è nulla, il movimento è tutto». Con questo non voglio dire che esiste una strategia completamente definita nelle intenzioni delle forze politiche che hanno promosso il Movimento degli Studenti favorendone la protesta, ma che sicuramente vi è una precisa intenzione di sfruttare le contraddizioni – che abbondano nell’attuale sistema scolastico e sociale – per costituire un’area di consenso a determinate posizioni ideologiche e una forza di pressione sul governo nella direzione desiderata dalle opposizioni di sinistra.
In questo senso si possono cogliere tre livelli di conflittualità presenti come «obiettivi di lotta» nel Movimento degli Studenti.
a. Una conflittualità interna alla situazione scolastica, consistente nella richiesta di una scuola più efficiente e nella lotta contro l’aumento delle tasse previsto dalla legge finanziaria. Le analogie con la situazione in cui nacque il Sessantotto sono state ricordate dall’on. Mario Capanna: «Non ho mai condiviso una delle critiche, che vi è stata fatta, secondo cui il movimento studentesco dell’85 si muoverebbe su obiettivi parziali, quasi “corporativi”, come la richiesta di aule, palestre ecc., mentre quello del ‘68 voleva subito la “rivoluzione”. Balle: sia sul piano storico che politico. Quando il 17 novembre 1967 occupammo, per la prima volta nella sua storia, l’Università Cattolica di Milano, fu contro l’aumento delle tasse di iscrizione – esattamente come voi adesso, che a ragione vi battete contro l’ingiusta legge finanziaria volta, fra l’altro, a far crescere le tasse di iscrizione a scuola» (3).
b. Una conflittualità in un ambito più specificamente politico, diretta contro il governo sul tema della disoccupazione, in particolare attraverso l’opposizione alla legge finanziaria, attorno a cui si cercherebbe di ricreare – come nell’«autunno caldo» del 1969 – un «fronte d’opposizione unitario» tra lavoratori e studenti, che estenderebbe alla società l’opposizione parlamentare del Partito Comunista e di Democrazia Proletaria (4).
c. Una conflittualità alimentata da temi di politica internazionale, che potrebbe fare della lotta contro l’apartheid in Sudafrica ciò che nel Sessantotto fu la lotta contro la presenza americana nel Vietnam. Infatti, l’esistenza di pregiudizi ideologici caricati emotivamente impedisce di analizzare serenamente e obiettivamente i problemi esistenti (5); inoltre, si vorrebbero ricollegare le attuali lotte studentesche alle mobilitazioni pacifiste e anti-nucleari degli scorsi anni che – se hanno mostrato un volto scopertamente fazioso in senso filo-sovietico – pure hanno lasciato un segno soprattutto nel mondo giovanile (6).
3. Nonostante le molte analogie tra la situazione che si venne a creare a partire dal Sessantotto e quella attuale, non bisogna dimenticare le differenze.
Anzitutto è necessario distinguere tra le intenzioni delle forze politiche – che dalla sinistra riformista a quella rivoluzionaria hanno precisi obiettivi ideologici e politici – e le connotazioni culturali, politiche ed esistenziali dei giovani dell’Ottantacinque.
Inoltre, è stato giustamente osservato quanto grande sia la differenza tra l’atmosfera culturale della fine degli anni Sessanta e quella attuale. Da Herbert Marcuse ai Beatles, le influenze ideologiche ed esistenziali sui giovani di allora erano tutte orientate nel senso di una rottura radicale con i valori, la morale e il costume allora predominante – una sorta di convivenza tra cristianesimo e liberalismo, con una diffusa ignoranza del primo e una superiore accoglienza del secondo nella vita vissuta -; così, «una generazione, scagliandosi contro le degenerazioni liberali e illuministiche della propria civiltà un tempo cristiana, ha insieme smarrito la memoria storica dei valori stessi di quella civiltà» (7), privandosi della possibilità di riviverli e di trasmetterli. Ben presto però, la deificazione dell’utopia rivoluzionaria cominciò a dimostrare come il vero obiettivo fossero i valori cristiani in quanto tali: storicamente, all’«assassinio di Dio» è seguito l’assassinio dell’uomo, al «deicidio dei teorici gnostici tiene dietro l’omicidio dei professionisti della rivoluzione» (8).
Praticamente nulla si oppose – dal punto di vista culturale – alla marea montante di una visione del mondo che, sia nella versione radicale che in quella marxista-leninista, era profondamente anti-tradizionale e spesso direttamente anticristiana.
Il mondo cattolico, infatti, viveva immerso in una drammatica crisi di identità successiva al Concilio Vaticano II e favorita da una interpretazione dialettizzante dei documenti del Concilio stesso (9). mentre la destra politica – dapprima tentata in alcune sue componenti di approfittare della occasione rivoluzionaria che si offriva – venne poi costretta a scendere sul piano di uno scontro che è stato quasi sempre fisico e quasi mai culturale.
Il «mito del mondo nuovo», l’ansia della Rivoluzione poterono così penetrare nell’humus giovanile – e non solo giovanile – della società italiana e occidentale di allora senza che quasi nulla si opponesse effettivamente: in questo senso il Sessantotto è perfettamente riuscito nello scopo di mutare profondamente, dal punto di vista culturale, coloro che lo hanno vissuto e anche quelli che lo hanno semplicemente subìto.
Così, un’intera generazione porta oggi le conseguenze culturali e morali di quel periodo. In questa prospettiva, il riflusso nel privato e il disimpegno nei confronti delle ideologie seguiti al Sessantotto, – e la cultura pragmatica e laicista che ha accompagnato questo nuovo momento storico – esprimono modi di vita antitetici rispetto a quelli del Sessantotto, ma hanno all’origine la stessa concezione materialistica e relativista dell’uomo, che vede nel cristianesimo il nemico da combattere.
Il passaggio nella storia della società italiana dalla esasperazione dell’interesse politico al suo contrario permette di cogliere allo stato nascente la differenza tra una società nella quale si intende imporre il materialismo teorico e una società in cui si propone come modello la vita vissuta alla luce del materialismo pratico.
4. Così, oggi, il clima di riflusso nel privato che sembrava ancora predominante è stato bruscamente scosso dal nuovo Movimento degli Studenti.
Le prospettive ideologiche di questo Movimento non appaiono ancora completamente definite, anche se certamente orientate a sinistra. In particolare, il Movimento sembra essere al centro di una tensione ideologica che – oltre lo scontro tra i vari gruppi per il predominio politico-organizzativo – vede opposta una sinistra riformista, pragmatica, laicista e relativista, a una sinistra comunista o massimalista sostanzialmente erede, nelle sue diverse articolazioni – FGCI, Democrazia Proletaria e Autonomia – e con qualche tentativo di aggiornamento, delle posizioni ideologiche che furono predominanti negli anni del Sessantotto (10).
Non si deve comunque dimenticare ciò che queste due posizioni hanno in comune, cioè il relativismo più o meno aggressivo, che porta entrambe a negare l’esistenza di una verità oggettiva sul piano filosofico e morale e a identificare il vero nemico – chiamato integralismo – in chiunque affermi l’esistenza di una verità che salva, che non è da inventare e a cui è doveroso conformarsi sia nell’ordine intellettuale che in quello morale, personale ma anche sociale.
5. La maggiore differenza tra la situazione culturale attuale e quella del Sessantotto riguarda proprio il diverso «stato di salute» del mondo cattolico italiano.
Esso sembra – in alcune sue componenti – avere abbandonata quel complesso di inferiorità verso la cultura moderna, radicale e marxista, che ne aveva paralizzato l’azione apostolica e che era certamente una delle principali cause del «passaggio a sinistra» o dell’abbandono di molti quadri e militanti cattolici: particolarmente clamorosa fu la perdita di due milioni di militanti dell’Azione Cattolica, sotto la presidenza di Vittorio Bachelet, in soli sei anni, dal 1964 al 1970 (11).
Questa maggiore consapevolezza della necessità che «non si appiattisca la verità cristiana, e non si nascondano le differenze, finendo in ambigui compromessi» (12) ha portato i movimenti cattolici Gioventù Studentesca e Cattolici Popolari a non aderire e a non partecipare alle manifestazioni del Movimento dell’Ottantacinque, con la motivazione che «non esiste un movimento unico e non deve esistere. Il movimento unico è come il partito unico leninista, totalitario» (13).
Sul versante della «destra» politica, il Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale, di fronte all’emergere della protesta studentesca sembra trovarsi ancora in una situazione di empasse, indeciso tra il desiderio di aderire alle manifestazioni dei Coordinamenti Studenteschi – come è avvenuto in alcune città soprattutto all’inizio della protesta – e quello di opporvisi, anche in seguito al riemergere dell’«antifascismo militante» che, soprattutto a Milano, sembrerebbe volere ricreare le condizioni successive al Sessantotto, demonizzando i giovani missini e impedendo loro ogni agibilità politica nel Movimento (14).
Qualunque sarà la collocazione – ancora incerta – del Fronte della Gioventù rispetto alla protesta studentesca, credo sia però possibile avanzare una ipotesi relativamente a quella del mondo cattolico.
Ogni movimento rivoluzionario ha bisogno di un «nemico» per innescare il processo dialettico, ma non ha bisogno soltanto di un «nemico» fuori dalla scuola – il governo che non concede aule e che aumenta le tasse scolastiche -, ma ha anche la necessità di avere un «nemico» dentro la scuola, dove si articola la maggior parte della vita studentesca, per impedire che cali la tensione rivoluzionaria quando gli studenti si accorgono della irraggiungibilità o della inutilità degli obiettivi concreti attorno a cui sono stati mobilitati.
Saranno i cattolici questo «nemico»? Sarà il loro cosiddetto integralismo a essere demonizzato? Saranno accusati di cercare di rompere l’unità del «movimento unico», definito da loro «leninista, totalitario»?
È soltanto un’ipotesi, anche se sostenuta da qualche indizio e soprattutto da una diffusa atmosfera di ostilità che sembra unire le sinistre ai cosiddetti «cattolici democratici» nella polemica contro l’integralismo (15).
Un’altra ipotesi potrebbe essere quella che il Movimento dell’Ottantacinque ignorasse i cattolici. Ma sarebbe possibile, in una situazione in cui i cattolici accettino di operare nella storia per incarnare i principi cristiani, non solo con la testimonianza ma anche con lo sforzo di diffondere e possibilmente di realizzare la dottrina sociale della Chiesa?
Forse, a differenza degli anni Sessanta, quando scelsero di estraniarsi dalla storia, oggi i cattolici si stanno rendendo conto della impossibilità di proporre la verità cristiana senza polemizzare con gli errori che ne ostacolano l’accettazione: ciò porterà inevitabilmente a tenere presente l’esistenza «nella società di forze capaci di grande influenza che agiscono con un certo spirito ostile verso la Chiesa» (16). E siccome queste forze manifestano, nella società e quindi nella scuola, «l’opera del “principe di questo mondo” e del “mistero d’iniquità”» (17), sarà realisticamente impossibile non arrivare all’aperta polemica dottrinale con esse.
6. A prescindere dalle ipotesi sul futuro rapporto tra i giovani cattolici e quelli del Movimento dell’Ottantacinque, vi sono alcuni grandi temi che in ogni caso i cattolici non dovrebbero dimenticare.
Ricordo i due forse più importanti: la libertà della cosiddetta scuola privata, sia dal punto di vista economico che da quello del rapporto con i programmi ministeriali, e la infima retribuzione degli insegnanti, che rispecchia una concezione punitiva e mortificante del lavoro intellettuale (18). È auspicabile che il mondo cattolico trovi la forza e l’entusiasmo per proporli con energia, perché non vengano fatti dimenticare nel dibattito sulla scuola, soffocato e monopolizzato dalle richieste del Movimento dell’Ottantacinque, che sono astratte – «una scuola più efficiente» – oppure più esplicitamente trasgressive del fondamentale rapporto gerarchico tra docente e discente – come nel caso dell’«autogestione».
L’importanza del contenuto dei programmi – soprattutto nel caso di alcune materie – è molto grande, perché rimanda più da vicino al problema della verità.
Infatti, quali che siano i futuri schieramenti di fronte al Movimento dell’Ottantacinque, al di là dello sviluppo ideologico e politico che avrà il Movimento stesso, il problema essenziale è conoscere e dire la verità a tutti i giovani, a quelli che scendono nelle piazze e a quelli che rimangono a scuola, a quelli delle scuole pubbliche come a quelli delle cosiddette scuole private, cercando di evitare che una doverosa e necessaria difesa di queste ultime inneschi una pericolosa dialettica tra i giovani stessi.
In realtà, nonostante il relativismo e lo storicismo imperanti nella cultura moderna e fondamento dei programmi ministeriali e della grande parte dei libri di testo, dell’educazione e dell’istruzione correnti, non esiste giovane che non senta e non si ponga il problema della verità, perché «la verità è la luce dell’intelletto umano. Se, fin dalla giovinezza, esso cerca di conoscere la realtà nelle sue diverse dimensioni, ciò fa allo scopo di possedere la verità: per vivere di verità. La fame di verità costituisce la sua fondamentale aspirazione ed espressione» (19).
E «vivere di verità» significa allontanare i fantasmi delle ideologie e realizzare le parole, del Signore «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» (20), nella scuola oggi, nella società domani e per sempre nell’eternità.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Corriere della Sera, 10-11-1985.
(2) Il Giorno, 10-11-1985.
(3) ReporteR, 12-11-1985.
(4) Secondo Pietro Folena, segretario nazionale della Federazione Giovanile Comunista, «c’è la possibilità di far incontrare gli studenti con le lotte per il lavoro che stanno crescendo in alcune importanti zone del paese» (Jonas, Mensile della sinistra giovanile promosso dai giovani comunisti, anno 11, n. 13, novembre 1985).
(5) Per accostarsi al «nodo» sudafricano cfr. MASSIMO INTROVIGNE, Rapporto sul Sudafrica, in Cristianità, anno XIII, n. 126, ottobre 1985.
(6) «Nelle università molti dei giovani che lottano sono quelli delle battaglie per la pace. I germi di una ripresa d’iniziativa dei giovani che sono stati sparsi dal movimento per la pace e dalle manifestazioni contro mafia e camorra hanno negli ultimi tre-quattro giorni lasciato un segno. Non ovunque è così. […] Comunque è da quelle esperienze che ha preso forza gran parte della sinistra giovanile: la stessa Fgci è figlia di quelle lotte. E da quelle lotte nascono le condizioni di questa seconda fase segnata direttamente da una “domanda di futuro” dei giovani» (Jonas, cit.).
(7) ENZO PESERICO, Capire o dimenticare il Sessantotto?, in Cristianità, anno XIII, n. 126, cit.
(8) ERIC VOEGELIN, Il mito del mondo nuovo. Saggio sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo, trad. it., Rusconi, Milano 1976, p. 125.
(9) Sulla crisi del «cattolicesimo ufficiale» di fronte alla contestazione del Sessantotto e in particolare sulla sua «grande occasione perduta», cfr. l’appassionato e documentato saggio di EMANUELE SAMEK LODOVICI, I cattolici nella tempesta, in AA.VV., Dov’è finito il ’68? Un bilancio per gli anni 80, Ares, Milano 1979, pp. 133-151.
(10) Cfr., per esempio, lo scambio di lettere tra Pietro Folena e Vittorio Craxi, segretario della Federazione Giovanile Socialista di Milano, in Rinascita, anno 42, n. 46, 7-12-1985.
(11) Cfr. SILVIO TRAMONTIN, Profilo di storia della Chiesa italiana dall’unità ad oggi, Marietti, Torino 1980, p. 126.
(12) GIOVANNI PAOLO II, Per iscrivere la verità cristiana sull’uomo nella realtà della nazione italiana. Loreto 11 aprile 1985, Cristianità, Piacenza 1985, p. 17.
(13) Dichiarazione del responsabile nazionale del Movimento Popolare on. Roberto Formigoni, in Corriere della Sera, 10-11-1985.
(14) Cfr. la notizia di cronaca Bloccati dalla polizia studenti usciti con spranghe alla falsa notizia di una «azione dei neofascisti», in Corriere della Sera, 22-12-1985, che, oltre a descrivere il clima delle scuole milanesi, è un esempio da manuale di come nel Sessantotto si tenne continuamente alta la tensione rivoluzionaria tra gli studenti attraverso il pretesto della «costante minaccia» della «provocazione fascista». A chi si cercherà di attribuire questo compito di fronte al Movimento dell’Ottantacinque?
(15) Cfr. Parsifal crumiro, in il manifesto, 13-11-1985; e la dichiarazione di Pietro Folena, «Altro che demonizzazione dei cattolici! Combatto fermamente il progetto politico-culturale di Cl, ma ritengo che in Gioventù aclista, in Azione cattolica, in altre formazioni ci sia una modernità, proprio attorno ai temi dell’esistenza e di un nuovo ruolo dell’individuo, di grande valore proprio per un’idea nuova della sinistra» (in Rinascita, cit.), in cui è evidente l’intenzione di dividere e contrapporre tra loro le associazioni cattoliche. Peraltro, molte di queste ultime, purtroppo, facilitano questo tentativo chiudendo gli occhi di fronte alla realtà del Movimento dell’Ottantacinque e in alcuni casi partecipano alle sue iniziative. Cfr. le interviste ai responsabili di Gioventù Aclista, Coordinamento Interregionale Studenti – Gruppi «Confronto», Federazione Universitaria Cattolici Italiani (FUCI), movimento studenti di Azione cattolica e Agesci, in Appunti di cultura e di politica, Rivista mensile della Lega Democratica, anno VII, n. 10, novembre-dicembre 1985.
(16) SINODO DEI VESCOVI, «La Chiesa nella parola di Dio celebra i misteri di Cristo per la salvezza del mondo», Relazione finale della seconda assemblea generale straordinaria, I, 4.
(17) Ibidem.
(18) Ha detto Giorgio Pozzatto, preside del liceo classico Parini di Milano: «Un insegnante guadagna all’inizio un milione, e alla fine della carriera un milione e trecentomila lire. I ragazzi sanno queste cose? Sanno che molti di noi, i famosi corsi di aggiornamento se li pagano? Che c’è un senso di impotenza?» (Corriere della Sera, 17-12-1985).
(19) GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica ai giovani e alle giovani del mondo in occasione dell’Anno Internazionale della Gioventù, del 31-3-1985, n. 12.
(20) Gv. 8, 32.