Alfredo Mantovano, Cristianità n. 129-130 (1986)
I principi soggiacenti a una sentenza della Corte Costituzionale che conferma la legittimità delle norme vigenti dal 1982 in materia di rettificazione di attribuzione di sesso.
Sollecitata da un caso singolare
Nota sulla legge italiana e il cambiamento di sesso
1. Anche se oggi è andata quasi del tutto perduta la capacità di meravigliarsi e le stranezze che accadono nel mondo, accompagnate dal bombardamento acritico dei mass media, stupiscono sempre meno, la notizia è di quelle che, nonostante tutto, colpiscono ancora: nel dicembre del 1985 il tribunale civile di Perugia ha accolto il ricorso presentato da una donna, separata dal marito e madre di due bambini, teso a ottenere il cambiamento di sesso mediante un intervento chirurgico. Per i magistrati umbri la signora Rosalba A., che a seguito della sentenza muterà anagraficamente il prenome in Gabriele, «si dimostra decisa a esercitare la sessualità con un corpo che sia maschile e in armonia con il suo sentirsi psichicamente uomo al fine di superare, in maniera definitiva, lo stato di angoscia e di sofferenza in lei derivante da un profondo disgusto nei confronti dei propri caratteri sessuali primari e secondari, che compromette grandemente il suo ruolo sociale e ne coarta ogni aspirazione»; e pertanto, «concorrendo le necessarie condizioni psico-sessuali e risultando necessario un adeguamento dei caratteri sessuali di Rosalba A., da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico […] va concessa la richiesta autorizzazione» (1).
Anche se la decisione è la prima in Italia a consentire il mutamento anagrafico di sesso dal femminile al maschile – normalmente accade il contrario – il tribunale perugino non ha fatto altro che applicare al caso specifico che gli veniva sottoposto la normativa vigente, e in particolare quella legge, approvata da quasi quattro anni, che consente a chi lo richieda di ottenere la «rettificazione di attribuzione di sesso» (2); ciò è possibile attraverso una sentenza autorizzativa «quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico» (art. 3, 1º comma): la sentenza ha in sé anche l’effetto di sciogliere il matrimonio eventualmente contratto dal ricorrente (art. 4).
Quel che più colpisce della vicenda attinente a tale normativa, il cui disegno di legge fu presentato in parlamento nel febbraio del 1980 dal deputato radicale Franco De Cataldo, non è tanto l’applicazione di essa da parte della magistratura ordinaria – cui non è certamente concesso di regolarsi come se non esistesse, pur in presenza di casi singolari come quello prima ricordato -, quanto, piuttosto, la circostanza che essa è di recente passata indenne all’esame dei giudici costituzionali, i quali, con motivazione che passo a esaminare, l’hanno ritenuta conforme alla legge fondamentale dello Stato italiano.
2. La vicenda, che tento di descrivere nei suoi tratti essenziali, parte da una ordinanza della Iª sezione civile della Corte di Cassazione la quale, investita in ultimo grado dal ricorso di un tale che domandava l’autorizzazione a cambiare sesso, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della legge n. 164/1982 e trasmesso i relativi atti alla Corte Costituzionale (3).
Le ragioni che avevano indotto a tanto i giudici della Cassazione erano molteplici: si osservava, fra l’altro, il contrasto tra la legge in questione e la norma dell’art. 29 della Costituzione che tutela la famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio», in quanto «nel caso […] di mutamento artificiale di sesso, uno dei coniugi altera e inverte il suo ruolo naturale, dando luogo, al limite, a situazioni in cui egli dovrebbe svolgere contestualmente le sue funzioni di “padre” nella famiglia il cui matrimonio viene sciolto a causa del mutamento di sesso, e di “madre” nella famiglia, nei confronti di figli adottivi o fecondati in modo innaturale ed eterologo»; sì che si determina «uno squilibrio nella diversità delle figure genitoriali che la natura e l’ordinamento giuridico esigono per un normale svolgimento della vita familiare e del munus di mantenere, educare e istruire i figli» (4).
Si sottolineava, poi, il pregiudizio che, a causa della novità legislativa, subisce l’istituto del matrimonio, dal momento che, quando la dottrina e la giurisprudenza «pongono la diversità di sesso fra i requisiti di esistenza del matrimonio, si riferiscono evidentemente al sesso avente una base naturale, non a quello ottenuto artificialmente. Ne deriva che la legge n. 164/1982, riconoscendo come legittimo sesso anche quello ottenuto senza un accertato fondamento naturale, ma solo in virtù di interventi medico-chirurgici, consente la celebrazione di un matrimonio inesistente» (5).
3. A distanza di oltre due anni dall’ordinanza della Corte di Cassazione, la Corte Costituzionale, presieduta da Leopoldo Elia – l’estensore della sentenza è il giudice Alberto Malagugini, di orientamento notoriamente comunista – ha disatteso in toto le eccezioni sollevate (6).
I giudici della Consulta sono partiti abbozzando una nozione, più ideologica che giuridica, di transessuale, «soggetto che, presentando i caratteri genotipici e fenotipici di un determinato sesso […] sente in modo profondo di appartenere all’altro sesso […] nel quale, pertanto, vuole essere assunto a tutti gli effetti e a prezzo di qualsiasi sacrificio»; perciò egli desidera «sottoporsi ad intervento chirurgico demolitorio e ricostruttivo che operi, per quanto possibile, la trasformazione anatomica (degli organi genitali); intervento visto come una liberazione, in quanto la presenza dell’organo genitale (del sesso rifiutato) dà luogo a disgusto ed a stati di grave sofferenza e di profonda angoscia» (7). Da ciò deriva una valutazione positiva dell’opportunità concessa dal legislatore, il quale, secondo la Corte, non avrebbe fatto altro che prendere atto di una situazione obbiettiva, né avrebbe violato la Costituzione permettendo, al contrario, al transessuale di vedere «riconosciuta la propria identità e conquistato – per quanto possibile – uno stato di benessere in cui consiste la salute» (8). Il parlamento avrebbe quindi sviluppato e dato concreta attuazione ai principi costituzionali, in particolare a quelli contenuti nell’art. 2 della Costituzione, assicurando «a ciascuno il diritto di realizzare, nella vita di relazione, la propria identità sessuale, da ritenere aspetto e fattore di svolgimento della personalità» (9).
Non intendo certo affrontare il complesso problema delle cause – da esaminare alla luce, di volta in volta, dell’antropologia filosofica, della biologia, della psichiatria e della morale – del transessualismo, che si va progressivamente estendendo come sintomo di un profondo malessere che pervade la società contemporanea; mi limito a mettere in luce le premesse di principio dalle quali i giudici costituzionali hanno ricavato la legittimità delle norme sul cambiamento di sesso. Per la Corte il legislatore italiano, del quale condivide l’orientamento, ha accolto «un concetto di identità sessuale nuovo e diverso rispetto al passato, nel senso che ai fini di una tale identificazione viene conferito rilievo non più esclusivamente agli organi genitali esterni, quali accertati al momento della nascita ovvero “naturalmente” evolutisi, sia pure con l’ausilio di appropriate terapie medico-chirurgiche, ma anche ad elementi di carattere psicologico e sociale», sì che si perviene logicamente a una «concezione del sesso come dato complesso della personalità determinato da un insieme di fattori, dei quale deve essere agevolato o ricercato l’equilibrio, privilegiando – poiché la differenza tra i due sessi non è qualitativa, ma quantitativa – il o i fattori dominanti. […] La l. n. 164/82 si colloca, dunque, nell’alveo di una civiltà giuridica in evoluzione, sempre più attenta ai valori, di libertà e di dignità, della persona umana, che ricerca e tutela anche nelle situazioni minoritarie e anomale» (10).
Volendo sintetizzare il fondamento della logica accettata e seguita prima dal parlamento e poi dalla Corte Costituzionale, si può affermare che oggi, per legge e per giurisprudenza costituzionale, il sesso non è più un dato di natura, che conforma in un certo qual modo il fisico e la psiche della persona e che in quanto naturale è immodificabile al pari della statura o del colore degli occhi, bensì una connotazione che può prescindere dagli «organi genitali esterni» – «esterni» a che cosa? verrebbe da chiedersi – in quanto non qualificante – «la differenza tra i due sessi non è qualitativa» -, ma dipendente esclusivamente da elementi «quantitativi», e perciò controllabili – più correttamente, forse, «manipolabili» – e variabili nel tempo.
4. Le affermazioni della Corte, la cui funzione istituzionale consiste nel valutare il diritto di cittadinanza dei testi di legge nell’ordinamento giuridico dello Stato italiano, sono obbiettivamente gravi sia per le conseguenze che determinano, sia perché rivelano un ben definito retroterra culturale. Non si può ignorare, anzitutto, l’ulteriore contributo che la normativa in questione reca alla disgregazione della famiglia: per tornare al caso dal quale ho preso le mosse, quale giudice, anche se siede alla Corte Costituzionale, potrà mai immaginare e pesare gli effetti sconvolgenti certamente determinati sulla psiche, e non solo su quella, dei figli di Rosalba A. dal fatto di aver visto, da un giorno all’altro, la madre trasformarsi in un «uomo»?
È un fatto ben più drammatico di quello che colpisce una famiglia in cui i genitori divorziano: in questo caso è almeno salva l’identità fisica del padre e della madre, anche se è scissa quella comunione dalla quale derivano l’affetto e la capacità educativa; ma i figli, pur in presenza di una frattura traumatizzante e costretti agli orari durante i quali è loro consentito vedere l’uno o l’altro dei genitori, mantengono ferma la figura patema e quella materna e sanno istintivamente a chi fare riferimento nei diversi momenti della loro vita.
Non è più così se uno dei genitori cambia sesso, poiché in tale caso viene meno anche la materiale possibilità di individuare i termini fisici del legame naturale di figliolanza: quei brandelli di rapporti familiari ancora rimasti, pur separati, dopo il divorzio, vengono in tale modo bruciati e cancellati. Inoltre, può anche presentarsi il caso – la legge non lo vieta – che chi è madre naturale in un certo ambito familiare, una volta cambiato sesso diventi padre adottivo in un nuovo nucleo familiare: come conciliare le due posizioni?
5. Volendo approfondire le valenze «ideologiche» del legislatore che ha varato la legge sul cambiamento di sesso e del giudice che l’ha legittimata, non si può non constatare una riproposizione dell’errore antico che è alla base di ogni ribellione, sia essa individuale o sociale: la rivendicazione da parte dell’uomo dell’assoluta padronanza di sé, al di fuori e al di sopra di ogni vincolo naturale. Oggi è il singolo individuo, e nessun altro, a stabilire, attraverso il divorzio, quando e come sciogliere il legame con la propria famiglia; attraverso la contraccezione artificiale e l’aborto se e quando procreare, e attraverso la fecondazione artificiale, nella vasta gamma di possibilità che essa offre, anche come farlo, cioè se in provetta o in un utero preso in affitto … È sempre l’uomo che, servendosi della droga, decide la «qualità» della propria vita e, scegliendo una fra le tante tecniche di suicidio che ha a disposizione, fissa autonomamente il momento terminale della propria esistenza; è ancora il singolo che, per mezzo dell’eutanasia, giudica della permanenza in vita delle persone a lui più vicine e che cominciano, per età o per malattie, a procurargli fastidio. È infine quest’essere divinizzatosi, che da tempo ha cancellato Dio dalla propria quotidianità, a stabilire anche fino a quando mantenere il sesso che la natura gli ha riservato e, tra breve, a programmare artificialmente, come per un personal computer, il sesso dei propri discendenti.
Ma alla dichiarazione di ontonomia, più che di autonomia, dell’essere umano, si affianca e si sovrappone – l’operazione diventa ancora più evidente nel caso del cambiamento di sesso artificiale e legalmente autorizzato – il riemergere delle tesi gnostiche sull’originario e primordiale stadio di unità e di radicale uguaglianza all’interno dell’universo e sulla attuale necessità di riportare le distinzioni e le disuguaglianze in seguito prodottesi – e da valutare in senso recisamente negativo – a una nuova condizione di completa indistinzione e unità, in cui cessino di esistere differenze di carattere qualitativo, ma domini unicamente la dimensione quantitativa.
Di queste tesi – che hanno costituito nella storia il sostrato in certi tempi neanche tanto nascosto dei principali movimenti rivoluzionari (11) e che, in particolare, sono al fondo di tutte le correnti socialistiche (12) -, una delle più importanti, se non proprio quella centrale, è la negazione della differenza più evidente, cioè quella tra maschio e femmina. Questa negazione nel recente passato ha trovato giuridica attuazione nella congerie di norme che hanno parificato sotto ogni profilo concreto – familiare, economico e di lavoro – la condizione della donna a quella dell’uomo, ma che, con la legge n. 164/1982, ha ricevuto una definitiva consacrazione anche sotto l’aspetto fisiologico.
6. Un’ultima considerazione; è diffusa, anche in ambienti moderati, e comunque non sovversivi, la convinzione che, a differenza degli anni Settanta, caratterizzati da una virulenta esplosione rivoluzionaria, gli anni Ottanta si connotino invece per un ritorno alla ragione e per un ripudio di certi estremismi e di rivendicazioni spinte troppo oltre la realtà. Si tratta di una convinzione che sembra trovare fondamento, a livello di «macrostruttura», nell’apparente acquietarsi del fenomeno del terrorismo – almeno sul piano interno – o nel ridimensionamento delle tensioni sindacali e, a livello di «microstruttura», per esempio, in una ritrovata – se è tale – compostezza nell’abbigliamento; è però una convinzione che, se ci si sforza di spingere lo sguardo poco oltre l’apparenza, si rivela facilmente superficiale ed errata.
Certo, gli anni Settanta sono stati segnati dall’approvazione di leggi disgregatrici quali quelle sul divorzio, sulla droga, sul nuovo diritto di famiglia, sull’aborto, per fermarsi solo al costume, dal momento che l’elenco sarebbe ben più lungo se si passasse anche ad altri settori; ma gli anni Ottanta sono quelli in cui i frutti seminati nel decennio precedente sono maturati e si prestano a essere raccolti, quelli in cui l’immoralità fatta legge mette radici nel corpo sociale e lo invade come una metastasi, quelli in cui, a livello di mentalità corrente, per esempio la convivenza di fatto non costituisce più un’eccezione, l’aborto è diventato una pratica comune, il consumo di stupefacenti interessa tutti gli ambienti sociali, anche quelli in teoria più potenzialmente protetti.
Infine, per tomare all’oggetto di questa nota, gli anni Ottanta sono quelli in cui il sigillo dello Stato viene impresso sulle rivendicazioni più oltranziste e libertarie della sinistra che si agitava negli anni Settanta. Una specie di manualetto delle varie sfaccettature della vita «a sinistra», stampato nel 1976, contiene, fra le altre, un’intervista a tale Angelo Pezzana, allora membro del Partito Radicale, omosessuale, fondatore del FUORI, il quale, dopo aver ribadito, a proposito della distinzione tra uomo e donna, che «i ruoli sono il risultato di condizionamenti dovuti al tipo di società in cui viviamo», al quesito di chi gli chiedeva «qual è la meta che vorresti si realizzasse al più presto?», rispondeva: «con un discorso molto utopistico, quindi positivo, reale, vorrei che scomparissero al più presto le differenze uomo e donna» (13).
Poco meno di un decennio dopo il parlamento e la Corte Costituzionale hanno pubblicato questo «discorso molto utopistico» sulla Gazzetta Ufficiale.
Alfredo Mantovano
Note:
(1) Ricavo l’informazione e la parte della motivazione riportata da il Giornale, 29-12-1985.
(2) Legge 14-4-1982 n. 164, Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, anno 123, n. 106, 19-4-1982. La legge reca la firma, tra gli altri, degli allora ministri democristiani Clelio Darida e Virginio Rognoni.
(3) Ordinanza della Corte di Cassazione del 15-4-1983 (Reg. ord. n. 783/1983), in Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, anno 125, n. 60, 29-2-1984.
(4) Ibidem.
(5) Ibidem.
(6) CORTE COSTITUZIONALE, Sentenza 24-5-1985 n. 161, in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, anno 126, n. 131 bis, 5-6-1985.
(7) Ibidem.
(8) Ibidem.
(9) Ibidem.
(10) Ibidem.
(11) Cfr. in proposito, fra altri, ERIC VOEGELIN, Il mito del mondo nuovo, trad. it., Rusconi, Milano 1970; ed EMANUELE SAMEK LODOVICI, Metamorfosi della gnosi. Quadri della dissoluzione contemporanea, Ares, Milano 1979.
(12) Cfr. al riguardo IGOR SAFAREVIC, Il socialismo come fenomeno storico mondiale, trad. it., «La Casa di Matriona», Milano 1980.
(13) L’intervista è nel volume di EMINA CEVRO-VUKOVIC, Vivere a sinistra. Vita quotidiana e impegno politico nell’Italia degli anni ‘70. Un’inchiesta, Arcana, Roma 1976, pp. 155-160. Angelo Pezzana dirigeva anche la libreria Hellas, punto di ritrovo della sinistra torinese. Sugli stessi temi è istruttiva una rilettura «dieci anni dopo» di Vivere insieme (il libro delle comuni), Arcana, Roma 1974.