Marco Invernizzi, Cristianità n. 134-135 (1986)
Intervista con monsignor Bismarck Carballo
La voce della Chiesa perseguitata in Nicaragua
Monsignor Bismarck Carballo ha soltanto trentasei anni, ma una intensa esperienza di ciò che significa soffrire per Cristo. Direttore di Radio Católica di Managua, ha dovuto assistere impotente alla sua chiusura da parte del governo sandinista, cioè comunista, il primo gennaio del 1986; vicario episcopale per le comunicazioni sociali dell’arcidiocesi di Managua, è costretto a vivere in un regime che ha tolto alla Chiesa ogni accesso ai mass media chiudendo, il 12 ottobre 1985, il periodico ufficiale Iglesia e confiscando la tipografia di proprietà della Curia che poi, con un decreto del 9 aprile 1986 del ministero della Giustizia, è diventata di proprietà dello Stato.
Monsignor Carballo è venuto in Italia come portavoce di S.E. il cardinale Miguel Obando Bravo, arcivescovo di Managua, di cui è anche segretario, e che era stato invitato da Alleanza Cattolica a portare nella nostra nazione la testimonianza delle vessazioni cui è sottoposta la Chiesa nicaraguense. In soli quattro giorni, dal 27 al 30 maggio, ha tenuto tre incontri pubblici, a Modena, a Torino e a Milano; ha incontrato numerosi giornalisti ed è stato ricevuto dall’arcivescovo di Modena, S.E. mons. Santo Bartolomeo Quadri, e da S.E. mons. Giovanni Saldarini, vescovo ausiliare di Milano, che gli ha consegnato una lettera in cui viene espressa la solidarietà della Chiesa ambrosiana con quella del Nicaragua e, in particolare, con la persona del cardinale Obando Bravo.
Mentre lo accompagno a prendere l’aereo che lo riporterà in patria, ho ancora l’opportunità di rivolgergli alcune domande, che inevitabilmente finiscono per essere l’occasione per un bilancio di questa sua breve ma intensa visita in Italia. Ho l’impressione che monsignor Carballo sia rimasto soddisfatto della tournée, ma anche un poco sorpreso dalla contestazione che la sua presenza in Italia ha provocato a Torino e a Milano, certamente da parte di gruppi minoritari, ma comunque indicativa dell’opera di disinformazione prodotta da una forsennata campagna propagandistica a favore del regime comunista nicaraguense che, anche in Italia, ha purtroppo lasciato tracce. Deve essere sembrato incredibile per chi ha visto, nell’arco di sette anni, il progressivo svelamento totalitario della Rivoluzione sedicente «sandinista», che nel 1979 ha conquistato il potere; per chi ha assistito alla scomparsa di ogni libertà sia civile che religiosa, constatare che all’estero esistono gruppi organizzati che difendono il regime comunista del Nicaragua e si augurano l’avvento di qualcosa di simile anche nel loro paese: «Credo che le ideologie – mi dice – siano una specie di benda che impedisce di vedere».
D. Che impressione ha ricevuto dal pubblico italiano?
R. Ho colto il desiderio di conoscere il Nicaragua, tranne che in gruppi minoritari, che hanno un’immagine romantica del mio paese: ciò impedisce loro di vedere la realtà della sofferenza della Chiesa nicaraguense.
D. E dalla stampa del nostro paese?
R. In Nicaragua vi è un giornalismo aggressivo e ideologizzato, che è in contrasto con il giornalismo italiano, almeno con quello che ho incontrato, che mi è parso molto equilibrato. Credo che il giornalista debba sempre cercare la verità e spogliarsi del proprio soggettivismo per poter descrivere la realtà ai lettori.
D. Tra poche ore sarà di nuovo in Nicaragua. Teme che questo viaggio in Italia possa provocare reazioni negative da parte del governo comunista nei confronti della Chiesa?
R. So che questi gruppi «spontanei» – come l’Associazione Italia-Nicaragua – sono informatori faziosi del governo sandinista: però credo che il governo abbia cambiato tattica, cessando di attaccare direttamente i sacerdoti e cercando invece di staccare i laici dalla Chiesa. Durante lo scorso mese di aprile circa cento dirigenti cattolici sono stati sottoposti a forti pressioni da parte di funzionari della Pubblica Sicurezza, la DGSE, perchè abbandonassero la Chiesa oppure si convertissero in informatori.
Inoltre, il governo vuole trarre vantaggi dai contatti in corso con il gruppo di Contadora e ritengo, quindi, che non abbia interesse ad attaccare la Chiesa in questo momento.
Bisogna però tenere presente che qualunque cosa può sempre succedere, almeno a me personalmente.
D. Come mai queste cose non si vengono a sapere nel mondo libero?
R. I marxisti hanno saputo usare molto bene i mezzi di comunicazione sociale e fanno un lavoro più concreto del nostro, passando le ventiquattro ore del giorno a studiare come screditare la Chiesa. Questo è un elemento che deve far riflettere su ciò che non va nel sistema democratico occidentale.
Non bisogna essere ingenui di fronte ai sandinisti: Lenin diceva che ai nemici si possono lasciare le armi, ma non i mezzi di comunicazione sociale. Potrei portare gli esempi della chiusura del periodico Iglesia e di Radio Católica. Io stesso sono stato testimone della registrazione di Iglesia al ministero degli Interni, che disse che non vi erano problemi: poi, inspiegabilmente, due ore dopo ha ritirato l’autorizzazione. Il pretesto per la chiusura della radio, invece, è stata la mancata trasmissione del discorso di fine anno del presidente Ortega: effettivamente vi fu un errore tecnico, che impedì di collegarsi in tempo, ma per sei anni lo avevamo fatto e ogni mattina avevamo rispettato l’obbligo di trasmettere programmi governativi. Ma il governo sandinista non ha voluto credere a un errore tecnico e ha sostenuto che era una mossa politica: però, di fronte alla catastrofe di Chernobyl, ha detto che si era trattato di un errore tecnico!
D. La Costituzione del Nicaragua prevede la libertà religiosa?
R. Il progetto di Costituzione è ancora in discussione, ma si sta parlando soltanto del progetto sandinista. Quest’ultimo, anzitutto, non menziona l’esistenza di Dio, mentre il popolo lo vorrebbe, perché l’ottanta per cento dei nicaraguensi è cattolico.
Il progetto di Costituzione sandinista prevede che lo Stato non abbia una religione ufficiale: ciò può essere un gioco di parole interpretabile dal governo secondo la propria convenienza.
D. Incontrando i giornalisti, Lei ha detto che la Chiesa in Nicaragua proclama la sua dottrina sociale: qual è l’atteggiamento del governo di fronte a questa azione sociale e qual è la sensibilità sul punto all’interno della Chiesa nicaraguense?
R. Vi è una censura sandinista sui mass media, soprattutto in relazione alla dottrina sociale, e ciò posso testimoniare essendo stato per molti anni direttore di Radio Católica: infatti, l’ottanta per cento del materiale censurato era inerente alla dottrina sociale. Questo aiuta a capire qual è l’atteggiamento del governo riguardo al problema.
Spesso si accusa la Chiesa di fare politica, ma dopo il Concilio Vaticano II non si può chiudere l’azione della Chiesa in sacrestia: essa si occupa di problemi sociali e quindi, indirettamente, di problemi politici. La Chiesa in Nicaragua fa una distinzione ben chiara tra la politica intesa come ricerca del bene comune – di cui tutti si devono occupare – e la politica come ricerca del potere, che in quanto tale non riguarda direttamente l’azione della Chiesa. I sandinisti vorrebbero che l’attività della Chiesa avvenisse fuori dalla realtà politica, ma essa non può rinunciare alla proclamazione della sua dottrina sociale.
Vi sono gruppi, in Nicaragua, che stanno lavorando in questo senso, per diffondere la dottrina sociale e lasciarsi guidare da essa.
Il Partito Social-Cristiano – un partito di opposizione al governo – cerca di applicare questi principi. Il governo sandinista ha provocato al suo interno una scissione analoga a quella che si è prodotta nella Chiesa con la nascita della Iglesia Popular, e così è nato il Partito Popolare Social-Cristiano.
D. L’ultima istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla libertà cristiana e la liberazione ha potuto essere diffusa in Nicaragua?
R. La Chiesa ha cercato di diffonderla, ma non è stato possibile e allora abbiamo fatto fotocopie per distribuirla almeno ai sacerdoti. Qualsiasi pubblicazione deve essere prima autorizzata dal governo e non abbiamo neanche provato a chiedere il permesso, tenendo conto che la tipografia della Curia è stata confiscata dal governo.
D. Cosa si può fare in Italia per aiutare la Chiesa in Nicaragua?
R. È anzitutto importante far conoscere la gravità della situazione in cui si trova la Chiesa nicaraguense e ricordare la verità dei fatti, come, per esempio, che la cosiddetta Iglesia Popular non è «Chiesa» perché ha rotto ogni legame dottrinale e disciplinare con la Gerarchia, e non è «popolare» perché il popolo dei fedeli, nella sua grande maggioranza, non segue i non più di quindici sacerdoti – sui trecentoventi in Nicaragua – che si riconoscono in essa.
Voglio ricordare anche un’ultima menzogna del governo sandinista, relativa alla recente pubblicazione di un articolo del cardinale Obando Bravo su The Washington Post: il cardinale è stato accusato di essere un vendepatria, un traditore della patria, perché ha scritto su un giornale nordamericano. Eppure. quando alcuni anni fa il presidente Daniel Ortega scrisse sullo stesso quotidiano non venne accusato di tradimento! La Chiesa in Nicaragua – in questo anno che ha proclamato anno dell’Eucarestia e che culminerà con il Congresso Eucaristico Nazionale nella prossima festa di Cristo Re – chiede a tutti i cattolici del mondo di essere aiutata nella difesa della propria libertà, per esempio facendo pressione sulle ambasciate del Nicaragua perché vengano rispettati i suoi diritti fondamentali.
a cura di Marco Invernizzi