Don Francesco Saverio Venuto, Cristianità n. 398 (2019)
John Henry Newman santo
«Che cosa desidera l’anima più ardentemente della verità? Di che cosa dovrà l’uomo essere avido, a quale scopo dovrà custodire sano il palato interiore, esercitato il gusto, se non per mangiare e bere la sapienza, la giustizia, la verità, l’eternità?» (1). Così sant’Agostino (354-430), nell’urgente desiderio di verità e di compimento, indica la statura e il destino ultimo del cuore umano. Nel beato John Henry Newman (1801-1890), il più illustre membro del cattolicesimo rinascente dell’Inghilterra del secolo XIX — la cui canonizzazione è prevista per il 13 ottobre 2019 —, le parole del santo vescovo di Ippona hanno trovato piena realizzazione, e per tale ragione la vita dell’illustre cardinale è una delle più straordinarie testimonianze di questa fondamentale dimensione dell’uomo. In questa dinamica ogni persona, nell’esercizio della sua libertà e attraverso le circostanze della vita, come un interagire imperscrutabile di ombre e di luci — ex umbris et imaginibus in veritatem, come lo stesso Newman volle per l’epitaffio sulla sua tomba — è, nonostante tutto, sostenuto e accompagnato dalla benevolenza del Mistero, che continuamente crea e riforma a Sua immagine la Sua creatura. Nel giugno del 1833, di ritorno dal suo avventuroso viaggio nel Mediterraneo, Newman, nella sua lirica Lead Kindly Light, «Guidami tu, o luce gentile», ebbe a testimoniare e profetizzare della sua vita proprio questo fattore: «sempre mi benedisse la Tua potenza; ancora oggi mi guiderà per paludi e brughiere, per monti e torrenti, finché svanisca la notte» (2).
Chi è John Henry Newman? Un uomo, educato fin dall’infanzia a «[…] trarre piacere dalla lettura della Bibbia», «senza solide convinzioni religiose sino a quindici anni» (3), ancorato a due evidenze, «me stesso e il mio Creatore» (4), con «la ferma convinzione che il papa fosse l’Anticristo» (5), il quale, dopo il susseguirsi di conversioni, approdò alla Chiesa di Roma. «Perché è stato beatificato? Che cosa ha da dirci? — così, Benedetto XVI (2005-2013), in un suo discorso — Vorrei rilevare soltanto due aspetti che vanno insieme e, in fin dei conti, esprimono la stessa cosa. Il primo è che dobbiamo imparare dalle tre conversioni di Newman, perché sono passi di un cammino spirituale che ci interessa tutti. La forza motrice che spinse Newman lungo il suo cammino di conversione è la coscienza. […] Per lui la coscienza è la capacità dell’uomo di riconoscere la verità. […] Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza» (6). Il ripercorrere, così come suggerito da Benedetto XVI, senza alcuna presunzione di completezza, le «tre conversioni» di Newman, che ne racchiudono i tratti salienti della vita, del pensiero e delle opere, è una proficua occasione per verificare e rafforzare le ragioni della nostra fede, e così trovare per essa conforto e solido nutrimento.
John Henry Newman nasce a Londra il 21 febbraio 1801. Viene battezzato nella Chiesa d’Inghilterra ed educato dalla sua famiglia secondo uno spirito evangelico-calvinista. La Chiesa anglicana, o «d’Inghilterra», costituita sostanzialmente nella propria identità dalla separazione da Roma ad opera del re Enrico VIII Tudor (1491-1547), e successivamente riformata durante i regni di Edoardo VI (1537-1553) ed Elisabetta I (1533-1603), ai tempi di Newman si presentava, nelle istituzioni e nello spirito, come una realtà di natura protestante ma con forme cattoliche, complessa e composita. Vi era una High Church, favorevole a un’interpretazione più tradizionale e cattolica della liturgia e della dottrina, contenute nel The Book of Common Prayer — libro ufficiale per la preghiera, per l’amministrazione dei sacramenti, e contenente i fondamenti dottrinali —, e tuttavia sostenitrice della supremazia del sovrano temporale sulla Chiesa. All’estremo opposto, la Low Church si caratterizzava per una liturgia più semplificata, e per un impianto dottrinale più calvinista. Ma, al tempo di Newman, iniziava ad ottenere successo e crescenti adesioni la cosiddetta Broad Church, una corrente propensa a insistere su pochi princìpi fondamentali, nella speranza di superare le divisioni teologiche interne, assumendo spesso i contorni di un razionalismo a carattere etico e antidogmatico. In questo contesto il cattolicesimo, dopo anni di clandestinità, pur rimanendo impopolare e il più delle volte anche oggetto di disprezzo, nel 1829, grazie all’Atto di Emancipazione, era stato legittimato in sede civile. In questo clima Newman matura le sue «tre conversioni».
La prima conversione: «alla fede nel Dio vivente» (7)
Nel 1816, la vita di Newman viene sconvolta da due avvenimenti: il tracollo finanziario del padre, che avrà come conseguenza un radicale mutamento di stile di vita della sua famiglia, e una dolorosa malattia. In particolare, il secondo evento lascia in lui una profonda traccia: «[la malattia], acuta, terribile [accadde] quando ero un ragazzo di 15 anni, e fece di me un cristiano»; e ancora: «lasciato da solo a scuola, i miei amici se ne erano andati via. […] Ero atterrito di fronte alla pesante mano di Dio che scendeva su di me» (8). Ma ecco i tratti caratteristici della «prima conversione»: «Credetti che quell’intima conversione di cui mi rendevo conto (e che ancora costituisce per me una certezza più grande di ogni certezza fisica), sarebbe durata fino alla vita futura; insomma mi ritenevo prescelto per l’eterna Gloria. […] Ritengo che [ciò] abbia avuto qualche influenza sulle mie opinioni […] nel senso di isolarmi dagli oggetti che mi circondavano, di rafforzare la mia diffidenza verso la realtà dei fenomeni naturali e ancorarmi al pensiero di due, e solo due, esseri assoluti, di una intrinseca e luminosa evidenza: me stesso e il mio Creatore» (9).
Intuizione ed esperienza, attraverso le circostanze della vita, caratterizzano il cammino di conversione di Newman. La coscienza sarà la guida fondamentale, intesa come luogo della relazione personale con Dio. In questi anni, l’amico Walter Mayers (1790-1828), ministro anglicano e suo insegnante, appartenente alla corrente dell’evangelicalismo — un movimento di «risveglio» nato nel XVIII secolo in area anglosassone —, suggerisce al futuro cardinale la lettura di alcuni testi: The History of the Church of Christ di Joseph Milner (1744-1797) — fondatore ed esponente del movimento evangelico della Chiesa d’Inghilterra —, che svela a Newman l’universo dei Padri della Chiesa e, allo stesso tempo, l’opera di sir Thomas Newton (1704-1782), vescovo anglicano di Bristol, nella quale il Papa era qualificato come l’Anticristo.
La seconda conversione: il superamento del soggettivismo dell’evangelicalismo e della riduzione del cristianesimo a uno stato di coscienza (10)
Nel 1817, Newman approda nella prestigiosa città universitaria di Oxford, presso il Trinity College. In questo contesto, il dialogo di Newman con il suo Creatore viene gradualmente a caratterizzarsi per una forte sensibilità verso la questione della verità, scopo ultimo del vivere e della crescita nella santità: «per anni seguitai a usare quasi come proverbi […] “la santità piuttosto che la pace” e “la crescita è la sola dimostrazione della vita”» (11). Inoltre, in lui si va rafforzando la convinzione di dover concretizzare con la propria vita una speciale vocazione: «Una possente immaginazione […] si impadronì […] di me che Dio mi volesse in una vita di celibato. Questa previsione si riallacciava più o meno alla convinzione che la mia vocazione vitale esigesse quel sacrificio che è implicito nel celibato, quale, ad esempio, l’avrebbe richiesto un’attività missionaria tra i pagani […]. Così si rafforzò in me quel senso di distacco dal mondo visibile» (12). Questa originale idea di verginità, come offerta totale della propria vita per la giusta causa della Verità, corrispondeva in qualche modo all’esperienza di vita di sant’Agostino, così da lui descritta: «castitas animi in veritate servanda est» (13).
Nel 1822, Newman viene nominato fellow presso l’Oriel College di Oxford e nel 1825 è ordinato presbitero della Chiesa d’Inghilterra. L’impianto dottrinale dell’evangelicalismo, che lo aveva fin qui sostenuto, inizia ad apparirgli riduttivo e rischioso per la natura stessa del cristianesimo, perché riduceva la fede a un’introspezione soggettiva e Cristo a una presenza semplicemente irreale: «È di moda guardare al Salvatore del mondo con uno spirito irriverente e irreale, come una visione o come una semplice idea; parlare di Lui in una maniera angusta e sterile. […] È possibile parlare in maniera vaga del suo amore per noi, e usare il nome di Cristo, senza tuttavia rendersi conto che egli è il figlio vivente del Padre, o senza avere dentro di noi un’ancora per la nostra fede, così da essere fortificati contro qualunque rischio di poterla perdere in futuro» (14). Newman, per la prima volta, inizia a percepire la vita cristiana non soltanto come un forte cammino di perfezione personale, ma soprattutto come un evento storico nella sua vita, grazie al quale è possibile fare l’esperienza oggettiva di Cristo. Allontanatosi dall’evangelicalismo, Newman, nel suo percorso verso la Verità, deve tuttavia affrontare l’incontro con un’altra dottrina, travolgente e di moda per i tempi, ma che ben presto gli si rivela essere la più infida e la più pericolosa per la fede: «La verità è che cominciavo a preferire una perfezione intellettuale ad una perfezione morale; ero entrato nella scia del liberalismo del tempo» (15). La «tentazione» di assecondare l’ideologia liberale viene «provvidenzialmente» arrestata dall’accadere di eventi dolorosi: la morte di sua sorella Mary e la sua malattia. «Fui duramente ridestato — così, annotava Newman nella sua autobiografia — dal mio sogno alla fine del 1827 da due gravi colpi: la malattia e il lutto» (16). Ma nel 1828, la vita di Newman viene come ravvivata da due particolari avvenimenti: la nomina a Vicar (parroco) presso la Saint Mary Church, la parrocchia universitaria di Oxford, e l’incontro con i Padri della Chiesa, attraverso i quali riscopre la cattolicità e l’apostolicità della Chiesa: «Non so quando cominciai a vedere nella Chiesa primitiva l’autentica esponente delle dottrine del cristianesimo e il fondamento della Chiesa anglicana […]. Certe parti del loro [i Padri della Chiesa] insegnamento […] giungevano come una musica all’orecchio della mia anima quasi fossero la risposta a idee che […] io accarezzavo da tanto tempo. Si basavano sul principio mistico e sacramentale, e trattavano delle varie economie e dispensazioni dell’Eterno» (17). Tutto ciò era in netto contrasto con la condizione reale della Chiesa d’Inghilterra, la quale appariva a Newman dimentica della sua apostolicità e cattolicità, e maggiormente propensa a identificarsi con il protestantesimo. «Verso il 1830, Hugh Rose, che col rev. Lyall (primo decano di Canterbury) stava cercando scrittori per una “biblioteca teologica”, mi fece la proposta di scrivere per loro una storia dei concili. Accettai e mi misi subito al lavoro sul Concilio di Nicea. Fu come lanciarmi in un oceano dalle innumerevoli correnti […]. Alla fine, l’opera uscì col titolo “The Arians of Fourth Century”» (18). Lo studio delle grandi questioni trinitarie che scossero la Chiesa dei Padri conduce Newman a rendersi conto della sorprendente somiglianza fra l’approccio ariano alla Rivelazione e l’imperante liberalismo degli ambienti universitari di Oxford. Entrambe le ideologie, secondo lui, pur con le dovute distinzioni, utilizzavano la sola ragione come criterio ultimo di giudizio sulla Rivelazione. In più, il pensiero liberale confinava l’atto di fede alla sola sfera del sentimento e dell’irrazionale. Se la tendenza liberale in teologia avesse continuato a influenzare in modo capillare le menti dei pastori e dei fedeli della Chiesa d’Inghilterra, la dottrina cristiana sarebbe stata ridotta ad una mera accozzaglia di discutibili opinioni: «Pensavo che se il liberalismo avesse appena trovato un appiglio nella Chiesa, poteva stare sicuro della vittoria finale. Capivo che i principi della Riforma non erano in grado di salvare la Chiesa. L’idea di staccarmene non mi passò neppure lontanamente per il capo, ma avevo sempre dinanzi agli occhi il fatto che vi era qualcosa di più grande della Chiesa ufficiale, ed era la Chiesa Cattolica e apostolica, stabilita fin dall’inizio, di cui l’altra era solo l’incarnazione e lo strumento in un determinato luogo, e se non era questo, non era nulla» (19). Tuttavia, queste riflessioni persuadono il Dottore di Oxford a considerare insufficienti i princìpi formali della Riforma, ovvero la «sola scriptura» e il libero esame, dovendo così avvallare l’ipotesi di una realtà (la Tradizione) e di un organo autorevole (il Magistero) che garantissero la relazione con il dato rivelato.
Al termine del 1832, Newman accoglie l’invito del suo amico Richard Hurrell Froude (1803-1836) (20) per un viaggio attraverso il Mediterraneo. Il riposo e la lontananza avrebbero giovato alla salute del futuro cardinale, che in Italia, e in particolare a Roma, viene in contatto con il modello cattolico-romano, rimanendo affascinato dalla vitalità e dalla profonda religiosità dei cattolici. Tuttavia, di essi non sopporta alcune esternazioni religiose devozionali, specialmente quelle verso il Papa: a suo modo di vedere, somigliavano a forme di idolatrie pagane e superstiziose. Le occasioni di incontro con il clero cattolico destano in lui motivi di profonda antipatia: ai suoi occhi era rozzo, poco preparato, e soprattutto chiuso nella «corruzione» del modello cattolico-romano. Il soggiorno in Italia non riesce a distogliere la mente di Newman dal profondo dolore di fronte ai fatti che sconvolgevano la sua Chiesa. Lo scoraggiamento è tale da indebolire pesantemente il suo corpo. Newman, sfinito da una violenta febbre, teme oltretutto per la sua stessa vita. Ma il futuro cardinale avverte che qualcosa di misterioso e allo stesso tempo di meraviglioso «bussava» alla sua coscienza in pena, come per indicargli un compito e una missione dai confini ancora confusi e indefiniti: «Il successo liberale mi angustiava internamente. Mi inferocii contro i suoi strumenti e manifestazioni […]. Ora abbiamo un lavoro da fare in Inghilterra» (21).
«Il mio domestico pensava che morissi e mi chiese le ultime istruzioni. […] “Non morrò”. Ripetevo: “Non morrò perché non ho peccato contro la luce”» (22). Nel viaggio di ritorno Newman comporrà la celebre lirica Lead Kindly Light:
«Guidami Tu, Luce gentile,
attraverso il buio che mi circonda,
sii Tu a condurmi!
La notte è oscura e sono lontano da casa,
sii Tu a condurmi!
Sostieni i miei piedi vacillanti:
io non chiedo di vedere
ciò che mi attende all’orizzonte,
un passo solo mi sarà sufficiente.
Non mi sono mai sentito come mi sento ora,
né ho pregato che fossi Tu a condurmi.
Amavo scegliere e scrutare il mio cammino;
ma ora sii Tu a condurmi!
Amavo il giorno abbagliante e, malgrado la paura,
il mio cuore era schiavo dell’orgoglio;
non ricordare gli anni ormai passati.
Così a lungo la tua forza mi ha benedetto,
e certo mi condurrà ancora,
landa dopo landa, palude dopo palude,
oltre rupi e torrenti, finché la notte scemerà;
e con l’apparire del mattino
rivedrò il sorriso di quei volti angelici
che da tanto tempo amavo e per poco avevo perduto» (23).
Tornato in patria, Newman, illuminato dalla «Luce gentile», aderisce con grande entusiasmo al «grido di battaglia», «Assize Sermon», sull’apostasia nazionale (14 luglio 1833), di John Keble (1792-1866) (24). Con questo sermone il ministro anglicano Keble, amico di Newman, denuncia apertamente una serie di gravi ingerenze da parte del Parlamento e del governo inglesi nella vita interna della Chiesa anglicana, ridotta ormai alla stregua di un ente governativo (25). Nasce così il Movimento di Oxford (26). Newman, insieme a Keble, a Edward Bouverie Pusey (1800-1882) (27), a Froude e ad altri, s’impegna nell’ardua impresa di restaurare la Chiesa d’Inghilterra, tentando di liberare quest’ultima dagli insidiosi tentacoli del secolarismo e della teologia liberale. Ben presto il gruppo di amici di Oxford passa all’azione, avviando una campagna di sensibilizzazione attraverso la pubblicazione dei Tracts for the Times, una raccolta di saggi, allo scopo di ridestare innanzitutto i responsabili della Chiesa d’Inghilterra, ma in fondo tutti i suoi membri, di fronte al pericolo dell’ideologia liberale: «Parlar io devo; poiché i tempi sono assai malvagi, e tuttavia nessuno si esprime contro di essi. […] Non riconosciamo noi tutti il pericolo in cui si trova la Chiesa, e ciò nonostante restiamo immobili, ciascuno fermo nel proprio isolamento […]? Di conseguenza tolleratemi mentre tento di trascinarvi via da quei piacevoli luoghi di ritiro di cui fino a questo momento abbiamo goduto come di una benedizione, per riflettere in modo concreto sulla condizione attuale e le prospettive future della nostra Santa Madre» (28).
Nei suoi primi passi il Movimento di Oxford si caratterizzerà per il profondo desiderio di rianimare la Chiesa d’Inghilterra. Newman e i suoi amici teorizzano la cosiddetta Via Media, una posizione ecclesiologica alternativa sia al sistema liberale-protestante, sia a quello cattolico-romano: «Volevo realizzare in maniera concreta una vivente Chiesa d’Inghilterra, con una posizione sua propria, fondata su principi bene individuati; […] una Chiesa viva, di carne e di sangue, con una sua voce, un suo colorito, un suo modo di muoversi e di agire, una sua volontà» (29). La teoria ecclesiologica della Via Media si consolidava su alcuni principi: la conformazione al modello della Chiesa primitiva, indivisa e originaria, di cui la Chiesa d’Inghilterra era uno dei rami; il fondamento dogmatico; la testimonianza della Scrittura e dei Padri; la corruzione dottrinale e pratica della Chiesa di Roma. Il giudizio contrario a quest’ultima in Newman rimane praticamente intatto e convinto, anche di fronte all’accusa di implicite simpatie verso il papismo: «Il mio sentimento somigliava a quello di chi in tribunale sia costretto a testimoniare contro un amico; o somigliava anche a quello che provo ora, dopo aver detto, e avendo ancora da dire, tante cose di cui preferirei tacere. Per un caso di coscienza, dunque anche contraddicendo i miei sentimenti, io mi sentivo in dovere di protestare con la Chiesa di Roma […]. Credevo a quel che dicevo, e in realtà misuravo le parole che usavo; ma d’altro canto riconoscevo in me la tentazione di esprimermi più che potevo contro Roma, per difendermi dall’accusa di papismo» (30). I Tracts, ma soprattutto le idee in essi contenute, trovano un vasto e variegato pubblico: ecclesiastici, politici, gente comune. Nel 1839, la Via Media, secondo la teoria di Newman, pareva vincente. Ma qualcosa di nuovo stava per apparire all’orizzonte.
La terza conversione: l’approdo al cattolicesimo romano (31)
Newman, tornando sulla questione trinitaria al tempo della Chiesa dei Padri e, nello specifico, sul problema cristologico, si convince a mutare il proprio giudizio su Roma e ritratta la tesi della Via Media, rivelatasi una pura congettura. Ma il punto di svolta più sconvolgente avviene quando inizia a scorgere una somiglianza fra gli eresiarchi della Chiesa antica e le autorità della Chiesa anglicana: entrambi, sebbene in un contesto differente, si erano ribellati alla legittima autorità di Roma per poter sostenere e diffondere le proprie dottrine. A Newman pare ormai evidente che non esisteva differenza alcuna fra la Roma rinnegata dai movimenti eterodossi della Chiesa dei secoli IV e V, e il papato oppresso dalle accuse della Riforma, con tutti i suoi derivati: «Fu durante questa serie di letture che mi colse un serio dubbio di sostenere l’anglicanesimo […]. La mia roccaforte era l’antichità; ed ora, nel bel mezzo del quinto secolo, trovavo (o così mi parve) rispecchiata la cristianità del sedicesimo secolo e del diciannovesimo secolo. Vidi il mio volto in quello specchio: era il volto di un monofisita. La Chiesa della Via Media occupava il posto della comunità orientale, Roma il suo posto di sempre e i protestanti erano gli eutichiani […]. Era difficile capire in che cosa consistesse l’eresia degli eutichiani o monofisiti, a meno di non considerare eretici anche i protestanti e gli anglicani, era difficile trovare contro i Padri tridentini degli argomenti che non reggessero anche contro i Papi del quinto secolo […]. I principi e i procedimenti della Chiesa d’oggi erano identici a quelli della Chiesa d’allora; i principi e i procedimenti di allora erano quelli dei protestanti di oggi […]. La teoria della Via Media fu completamente polverizzata» (32).
Una conferma di tale intuizione giunse a Newman da un’affermazione di sant’Agostino, suggeritagli da un amico, il teologo e matematico William George Ward (1812-1882), convertitosi al cattolicesimo in seguito all’influsso del Movimento di Oxford: «Il mio amico, uomo ardentemente religioso, che mi è caro oggi come allora e che è ancora protestante, mi fece notare le parole lampanti di Sant’Agostino […]. Securus judicat orbis terrarum. Ripeté queste parole più volte, e quando se ne fu andato io continuai a sentirmele risuonare all’orecchio. […] Una nuda frase — quell’espressione di Sant’Agostino — mi colpì con una Potenza che non avevo mai trovato prima in altre parole. […] Securus judicat orbis terrarum! Da quelle grandi parole dell’antico padre, che interpretavano e riassumevano il lungo e vario corso della storia della Chiesa, la teoria Via Media fu completamente polverizzata» (33). Fin da principio la Chiesa cattolica espose con radicalità le sue posizioni, né in virtù di una tradizione, né in forza di una coerenza dei propri membri, né per una formale adesione alla dottrina, quanto piuttosto per la consapevolezza di essere di Cristo il corpo vivente, reale e presente.
La coscienza di Newman viene letteralmente scossa. La Verità stava interpellando il suo desiderio, chiedendogli un sacrificio non da poco, se non addirittura un tradimento: l’abbandono della fede della sua famiglia, la rinuncia agli amici e alla sua carriera in Oxford. Newman decide di andare a fondo della questione: sarebbe rimasto nella Chiesa d’Inghilterra, finché non avesse trovato la ragione ultima per abbandonarla definitivamente.
Il clima universitario di Oxford diviene tuttavia sempre più rovente: le molte conversioni al cattolicesimo di giovani discepoli di Newman preoccupano i quadri dirigenti di Oxford, mentre la componente liberale, irrigidendosi nelle proprie posizioni, si va rafforzando. A tutto ciò si aggiunge un altro fattore. Gli aderenti al Movimento di Oxford si rammaricano del fatto che i «Trentanove articoli di religione» (34), testo dottrinale normativo della Chiesa d’Inghilterra, fossero stati ridotti a una pura formalità per l’accesso all’università, alle cariche civili ed ecclesiastiche. Inoltre, la corrente liberale della Chiesa d’Inghilterra ritiene gli articoli di fede materia opinabile, alla quale ognuno poteva liberamente aderire secondo la propria coscienza: l’autorità dottrinale era così eliminata a favore di un sincretismo di posizioni perfino contrapposte. Newman risponde con un suo personale Tract, il numero 90. Con questo suo intervento il futuro cardinale fa un ultimo tentativo di interpretare in senso cattolico, ma ancora con delle riserve sulle posizioni «romane», l’impianto dottrinale della Chiesa d’Inghilterra: il valore oggettivo e vincolante dei suoi dogmi, l’apostolicità della Chiesa, la validità e la legittimità dei suoi ministri, l’efficacia dei suoi sacramenti, l’autonomia dallo Stato. L’impresa fallisce. La maggior parte dei vescovi anglicani, deboli nel difendere il dogma e orgogliosi della loro autonomia, si oppongono strenuamente a Newman, accusando lui e gli aderenti al Movimento di Oxford di condurre la Chiesa d’Inghilterra verso Roma. A tutto ciò si aggiunge anche il caso della nomina del vescovo di Gerusalemme. Il governo britannico e quello prussiano avevano trovato un accordo di alternanza fra un anglicano, un luterano e un calvinista per quella sede episcopale: la Chiesa d’Inghilterra dimostrava così la sua natura protestante. Una profonda crisi avvolge Newman, inducendolo a guardare a Roma come unica garante di un’autentica fedeltà alla Rivelazione. Così, l’anglicano Newman percepisce che il devozionismo romano, disprezzato in quanto segno di superstizione e corruzione, altro non era che un fattore accidentale. Il carattere essenziale della Chiesa di Roma si evidenziava nell’essere vero Corpo di Cristo, permanente nel tempo. Newman, nel 1842, si congeda dalla sua amata Oxford, recandosi in un vicino sobborgo, Littlemore, dove in condizione monastica trascorre gli ultimi anni da anglicano, fino al 1845, superando gli ultimi ostacoli che lo tenevano lontano da Roma: la presenza di pratiche e dottrine assenti nella Chiesa primitiva e aspetti di errore e di peccato. Alla luce di questi dubbi, Newman compone il suo capolavoro storico-teologico, An Essay on the Development of Christian Doctrine (35): «Avevo iniziato il mio Essay on the Development of Christian Doctrine ai primi del 1845, e ci lavorai intensamente per tutto l’anno, fino ad ottobre. Mentre procedevo, i dubbi mi si chiarirono, tanto che cessai di parlare di cattolici romani e li chiamai arditamente cattolici e basta. Prima di giungere al termine dell’opera decisi di entrare nella Chiesa Cattolica» (36).
L’oggetto principale della sua riflessione è la Chiesa con la sua dottrina. Di essa comprende che si trattava non di un’istituzione formale e avulsa dalla storia, ma di una realtà concreta e vivente. Esaminando i fondamenti della vita naturale, fino al pensiero e alle idee umane, Newman sostiene che le idee viventi, ovverosia quelle che durano nel tempo, lungo il corso della storia, hanno la capacità di condizionare la vita e la società, mantenendo nel loro sviluppo l’unità con le proprie origini. Newman si convince che la Chiesa Cattolica romana è un corpo vivente: in essa sono verificabili l’unità con la sua origine e i suoi fondamenti, e lo sviluppo come un conservarsi attraverso l’avvicendamento dei secoli. Le caratteristiche singolari delle «idee vive» sono attuate nella Chiesa Cattolica romana: essa, come una realtà vivente, accresce nel tempo la consapevolezza del proprio depositum fidei. In questo processo vi è anche acclusa la possibilità della corruzione della componente umana: «Quando la ordinaria debolezza umana è unita a quella fede assoluta che i cattolici possiedono, si trovano atti di incoerenza, di superstizione, di violenza, […] che non sono da considerare come qualcosa di esterno alla Chiesa cattolica […]. La corruzione della Chiesa è esistita dal tempo di Giuda Iscariota: essa è totalmente inscindibile dall’idea stessa di cristianesimo da costituire quasi un dogma» (37).
Così il futuro cardinale trova nella Chiesa di Roma il carattere della «santità»: «Nessuno infatti negherà che […] il Battista e san Paolo sono nella storia della loro vita e nel loro modo di vivere […], in ciò che vi è di esteriore e di visibile in loro […] più simili a un predicatore domenicano o a un missionario gesuita o a un frate carmelitano […] che a una qualsiasi persona […] che possa trovarsi nelle altre confessioni cristiane» (38). Newman giunge al culmine della sua riflessione. Tutta la sua persona si è messa in movimento, e non soltanto la capacità di ragionamento: «Nel mio caso non era la logica a spingermi avanti […]. Si ragiona con tutto l’essere, nella sua concretezza; passa un certo numero di anni e mi avvedo che il mio pensiero non è più al punto di prima; come mai? Si muove l’uomo tutto intero: la logica scritta è solo una testimonianza di questo movimento. Tutta la logica del mondo non avrebbe potuto spingermi più in fretta verso Roma; dire che sono arrivato alla fine del viaggio perché vedo davanti a me la Chiesa del paese, non sarebbe più assurdo di asserire che il lungo cammino che la mia anima dovette percorrere prima di giungere a Roma poteva essere evitato se avessi capito più chiaramente che Roma era il mio ultimo traguardo» (39).
La sera piovosa dell’8 ottobre 1845, il padre passionista Domenico Barberi (1792-1849), missionario in Inghilterra, ascolta la confessione generale di Newman, ricevendolo nella comunione della Chiesa Cattolica romana (40). In questo modo ha inizio il periodo cattolico di Newman. Gioia e sofferenza si alternano, ma alla luce di questo suo chiaro giudizio: «Come protestante, la mia religione mi sembrava misera, non però la mia vita. E ora, da cattolico, la mia vita è misera, non però la mia religione» (41).
Al termine di questo breve percorso sulle «tre conversioni» di John Henry Newman vale la pena rammentare il cosiddetto Biglietto speech (42), discorso pronunciato il 12 maggio del 1879 nel Palazzo della Pigna, a Roma, in occasione dell’elevazione alla dignità cardinalizia da parte di Papa Leone XIII (1878-1903). L’intervento di Newman, privo di ogni formalità di circostanza, nel quale si possono leggere in sintesi la sua vita e il suo testamento spirituale, avrà una eco straordinaria al tal punto che, oltre a L’Osservatore Romano del 14 maggio di quell’anno, anche La Civiltà Cattolica — allora di orientamento intransigente e certamente non simpatizzante per il futuro cardinale inglese — riporterà l’intera esposizione, definendola «un importantissimo discorso» (43). Attraverso alcuni passaggi di questo discorso si comprende l’intero cammino compiuto dal beato John Henry Newman: un’intera vita offerta alla causa della Verità («animi castitas in veritate servanda est»), in contrasto con l’ideologia liberale. Quanta profezia nelle accorate parole di Newman: «Ho dovuto passare attraverso molte prove, ma avvicinandomi ormai alla fine di tutto, mi sentivo in pace. Tuttavia non è forse possibile che io sia vissuto tanti anni proprio per vedere questo giorno? Nella mia lunga vita ho commesso molti sbagli. Non ho nulla di quella sublime perfezione che si trova negli scritti dei santi, cioè l’assoluta mancanza di errori. Ma ciò che credo di poter dire riguardo tutto ciò che ho scritto è questo: la mia retta intenzione, l’assenza di scopi personali, il senso dell’obbedienza, la disponibilità ad essere corretto, il timore di sbagliare, il desiderio di servire la santa Chiesa, e, solo per misericordia divina, un certo successo. […] E mi compiaccio di poter aggiungere che fin dall’inizio mi sono opposto ad una grande sciagura. Per trenta, quaranta, cinquant’anni ho cercato di contrastare con tutte le mie forze lo spirito del liberalismo nella religione. Mai la santa Chiesa ha avuto maggiore necessità di qualcuno che vi si opponesse più di oggi, quando, ahimè! si tratta ormai di un errore che si estende come trappola mortale su tutta la terra; e nella presente occasione, così grande per me, quando è naturale che io estenda lo sguardo a tutto il mondo, alla santa Chiesa e al suo futuro, non sarà spero ritenuto inopportuno che io rinnovi quella condanna che già così spesso ho pronunciato. Il liberalismo in campo religioso è la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro, e questa è una convinzione che ogni giorno acquista più credito e forza. È contro qualunque riconoscimento di una religione come vera. Insegna che tutte devono essere tollerate, perché per tutte si tratta di una questione di opinioni. La religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale; non un fatto oggettivo o miracoloso; ed è un diritto di ciascun individuo farle dire tutto ciò che più colpisce la sua fantasia. La devozione non si fonda necessariamente sulla fede. Si possono frequentare le Chiese protestanti e le Chiese cattoliche, sedere alla mensa di entrambe e non appartenere a nessuna. Si può fraternizzare e avere pensieri e sentimenti spirituali in comune, senza nemmeno porsi il problema di una comune dottrina o sentirne l’esigenza. Poiché dunque la religione è una caratteristica così personale e una proprietà così privata, si deve assolutamente ignorarla nei rapporti tra le persone. Se anche uno cambiasse religione ogni mattina, a te che cosa dovrebbe importare? Indagare sulla religione di un altro non è meno indiscreto che indagare sulle sue risorse economiche o sulla sua vita familiare. La religione non è affatto un collante della società. […] Ora questa struttura civile della società, che è stata creazione del cristianesimo, sta rigettando il cristianesimo. […] per la fine del secolo, se Dio non interviene, sarà del tutto dimenticato. Finora si pensava che bastasse la religione con le sue sanzioni soprannaturali ad assicurare alla nostra popolazione la legge e l’ordine; ora filosofi e politici tendono a risolvere questo problema senza l’aiuto del cristianesimo. Al posto dell’autorità e dell’insegnamento della Chiesa, essi sostengono innanzitutto un’educazione totalmente secolarizzata, intesa a far capire ad ogni individuo che essere ordinato, laborioso e sobrio torna a suo personale vantaggio. Poi si forniscono i grandi principi che devono sostituire la religione e che le masse così educate dovrebbero seguire, le verità etiche fondamentali nel loro senso più ampio, la giustizia, la benevolenza, l’onestà, ecc.; l’esperienza acquisita; e quelle leggi naturali che esistono e agiscono spontaneamente nella società e nelle cose sociali, sia fisiche che psicologiche, ad esempio, nel governo, nel commercio, nella finanza, nel campo sanitario e nei rapporti tra le Nazioni. Quanto alla religione, essa è un lusso privato, che uno può permettersi, se vuole, ma che ovviamente deve pagare, e che non può né imporre agli altri né infastidirli praticandola lui stesso. […] non dimentichiamo che nel pensiero liberale c’è molto di buono e di vero; basta citare, ad esempio, i principi di giustizia, onestà, sobrietà, autocontrollo, benevolenza che, come ho già notato, sono tra i suoi principi più proclamati e costituiscono leggi naturali della società. È solo quando ci accorgiamo che questo bell’elenco di principi è inteso a mettere da parte e cancellare completamente la religione, che ci troviamo costretti a condannare il liberalismo. Invero, non c’è mai stato un piano del Nemico così abilmente architettato e con più grandi possibilità di riuscita. E, di fatto, esso sta ampiamente raggiungendo i suoi scopi, attirando nei propri ranghi moltissimi uomini capaci, seri ed onesti, anziani stimati, dotati di lunga esperienza, e giovani di belle speranze. Ecco come stanno le cose in Inghilterra, ed è un bene che tutti ce ne rendiamo conto; ma non si pensi assolutamente che io ne sia spaventato. Certo ne sono dispiaciuto, perché penso possa nuocere a molte anime, ma non temo affatto che abbia la capacità di impedire la vittoria della Parola di Dio, della santa Chiesa, del nostro Re Onnipotente, il Leone della tribù di Giuda, il Fedele e il Verace, e del suo Vicario in terra. Troppe volte ormai il cristianesimo si è trovato in quello che sembrava essere un pericolo mortale; perché ora dobbiamo spaventarci di fronte a questa nuova prova. Questo è assolutamente certo; ciò che invece è incerto, e in queste grandi sfide solitamente lo è, e rappresenta solitamente una grande sorpresa per tutti, è il modo in cui di volta in volta la Provvidenza protegge e salva i suoi eletti. A volte il nemico si trasforma in amico, a volte viene spogliato della sua virulenza e aggressività, a volte cade a pezzi da solo, a volte infierisce quanto basta, a nostro vantaggio, poi scompare. Normalmente la Chiesa non deve far altro che continuare a fare ciò che deve fare, nella fiducia e nella pace, stare tranquilla e attendere la salvezza di Dio» (44).
Don Francesco Saverio Venuto
(*) Nato a Torino nel 1973, è sacerdote di questa diocesi dal 1998. Ha conseguito il dottorato in Storia della Chiesa nel 2010 presso la Pontificia Università Gregoriana ed è docente di Storia della Chiesa presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale – Sezione parallela di Torino. Ha collaborato alla redazione di alcune voci per il Dizionario dell’Età delle Riforme. 1492-1622, a cura di Stefano Cavallotto e Luigi Mezzadri (Città Nuova, Roma 2006). Ha pubblicato La recezione del Concilio Vaticano II. Riforma o discontinuità? (Effatà, Cantalupa (Torino) 2011); e Il Concilio Vaticano II. Storia e recezione a cinquant’anni dall’apertura (Effatà, Cantalupa (Torino) 2013).
(1) Agostino d’Ippona, Commento al Vangelo di Giovanni, trad. it. di don Emilio Gandolfo (1919-1999), Città Nuova, Roma 2005, p. 513.
(2) John Henry Newman, The Pillar of the Cloud, in Idem, Verses on Various Occasions, XII, 90, nel sito web <http://www.newmanreader.org/works/verses/verse90.html> (tutti gli indirizzi Internet citati nel testo sono stati consultati il 17-9-2019).
(3) Idem, Apologia pro vita sua (1864), trad. it., Jaca Book, Milano 1994, p. 17 (d’ora in poi Apo).
(4) Apo, p. 22.
(5) Apo, p. 25.
(6) Benedetto XVI, Discorso ai cardinali, arcivescovi e vescovi, prelatura romana, per la presentazione degli auguri natalizi, del 20-12-2010.
(7) «Vorrei qui mettere in risalto solo la prima conversione: quella alla fede nel Dio vivente. […] Dove avviene una tale conversione, non cambia semplicemente una teoria, cambia la forma fondamentale della vita» (ibidem).
(8) Idem, Autobiographical Writings, Sheed and Ward, Londra-New York 1956, p. 150.
(9) Apo, p. 22.
(10) Cfr. Joseph Ratzinger, Discorso in occasione del centenario della morte del card. John Henry Newman, del 28-4-1990, nel sito web <http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19900428_ratzinger-newman_it.html>.
(11) Apo, p. 24.
(12) Apo, pp. 26-27.
(13) Agostino d’Ippona, De mendacio, VII, 10.
(14) J. H. Newman, Parochial and plain sermons, III, 10, nel sito web <http://www.newmanreader.org/works/parochial/volume3/sermon10.html>.
(15) Apo, p. 37.
(16) Ibidem.
(17) Ibid., p. 53.
(18) Ibidem.
(19) Ibid. p. 59.
(20) Froude, ordinato nel 1829, fu il più intimo amico di Newman. Dal 1833 partecipò attivamente alla nascita e allo sviluppo del Movimento di Oxford.
(21) J. H. Newman, Autobiographical Writings, cit., p. 136.
(22) Apo, 61-63. Sulla sua malattia, cfr. ibid., pp. 109 ss.
(23) Idem, The Pillar of the Cloud, cit.
(24) Cfr. John Keble, National apostasy considered in sermon preached in St. Mary’s, Oxford, Collingwood, Oxford 1833. Keble, autore dell’opera Christian Year, fu uno dei principali animatori del Movimento di Oxford.
(25) Con il Church Temporality Act del 1833 il Parlamento inglese soppresse dieci diocesi in Irlanda e impose un’imposta sul reddito del clero per il mantenimento delle chiese.
(26) A riguardo, cfr., fra l’altro, Carlo Lovera di Castiglione (1884-1955), Il movimento di Oxford, Morcelliana, Brescia 1935.
(27) Pusey, ministro anglicano e docente universitario a Oxford, fu un animatore del Movimento di Oxford e successivamente dell’anglo-cattolicesimo.
(28) J. H. Newman, Thoughts on the Ministerial Commission, in Tracts for the Times, 1, nel sito web <http://www.newmanreader.org/works/times/tract1.html>.
(29) Apo, p. 101.
(30) Apo, pp. 83-84.
(31) «La sua terza conversione, la conversione al cattolicesimo, gli imponeva di abbandonare quasi tutto ciò che era caro e prezioso per lui: i suo averi e la sua professione, la sua posizione accademica, i legami familiari e molti amici» (Benedetto XVI, Discorso ai cardinali, arcivescovi e vescovi, prelatura romana, per la presentazione degli auguri natalizi, cit).
(32) Apo, pp. 143-148.
(33) Apo, pp. 147-148.
(34) I Trentanove articoli — compromesso fra dottrina cattolica, luterana e calvinista —, espressione ufficiale della dottrina confessata dalla Chiesa d’Inghilterra, erano stati inseriti nella terza edizione del The Book of Common Prayer (1559), ai tempi della regina Elisabetta I.
(35) Cfr. J. H. Newman, Lo sviluppo della dottrina cristiana, trad. it., Jaca Book, Milano 2003 (d’ora in poi Dev.).
(36) Apo, p. 252.
(37) Idem, Letters and diaries, Dessain, Oxford 1970, vol. XX, p. 465.
(38) Dev., p. 128.
(39) Apo, p. 197.
(40) Cfr. ibid., p. 253.
(41) Idem, Autobiographical Writings, cit., p. 254.
(42) Idem, Biglietto speech, nel sito web <http://www.newmanfriendsinternational.org/il-biglietto-speech-di-john-henry-newman>.
(43) Il discorso pronunciato da Newman venne tradotto dal padre gesuita Pietro Armellini e pubblicato nella Cronaca contemporanea, in La Civiltà Cattolica, anno XXX, serie X, vol. X, Firenze 1879, pp. 614-616.
(44) J. H. Newman, Una trappola mortale su tutta la terra, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 9-4-2010.