GIOVANNI CANTONI, Cristianità n. 328 (2005)
In data 23 marzo 2005, sul Corriere della Sera, è comparsa un’intervista al sen. Giulio Andreotti, raccolta dal dottor Aldo Cazzullo, relativamente ai referendum in tema di Procreazione Medicalmente Assistita, cioè all’aggressione radicale alla Legge 40/04, intervista nel corso della quale l’uomo politico ha affermato di «inchinarsi» all’indicazione del presidente della CEI, la Conferenza Episcopale Italiana, card. Camillo Ruini, che, per la difesa della legge in questione, suggerisce l’astensionismo, cioè la non partecipazione ai referendum stessi (1), la cui celebrazione è stata fissata per i giorni 12 e 13 giugno.
Ne è nato un certo interesse per il fatto e, di conseguenza, per il significato dell’«inchinarsi» dell’esponente politico, quindi per l’ubbidienza alle indicazioni dell’autorità ecclesiastica da parte dei cattolici, interesse di cui è stata espressione — fra l’altro — una trasmissione, Otto e mezzo, condotta su La 7 dal dottor Giuliano Ferrara con la dottoressa Ritanna Armeni e andata in onda il 24 marzo 2005, che traeva precisamente spunto dalla dichiarazione del sen. Andreotti circa il suo «allineamento» alla posizione proposta dal card. Ruini (2).
Consuetamente si tratta di trasmissione che aiuta a chiarire i problemi che di volta in volta vengono affrontati. Poiché mi è parso che, nel caso, le cose siano andate un poco diversamente, mi permetto d’intervenire in quanto il problema, con il generico riferimento all’ubbidienza, mi è sembrato non correttamente presentato e, quindi, francamente, piuttosto confuso che illuminato.
1. L’ubbidienza all’autorità religiosa cattolica può dire riferimento esclusivamente al contenuto dogmatico e morale, cioè — nel caso — all’apprezzamento appunto morale della legge in questione per relazione a un suo peggioramento nel caso della vittoria dei «sì» ai quesiti referendari. Il comportamento proposto dal card. Ruini intende, attraverso l’astensione, evitare tale peggioramento. Il sen. Andreotti ha, in un primo momento, pensato di raggiungere lo stesso risultato recandosi a votare «no». Quindi, fra i due — l’alto prelato e l’uomo politico — non vi era, e non vi è, differenza sostanziale, ma vi è stata solamente una differenza relativa al metodo per conseguire il medesimo risultato. Dunque, il sen. Andreotti — oltre l’enfasi retorica — non si è «inchinato» a una posizione dottrinale da lui non condivisa, ma ha accettato una proposta operativa non vincolante, da lui — forse res melius perpensa, «meglio valutata la cosa» — giudicata in un secondo tempo come più efficace. Quindi, si sarebbe potuto parlare di ubbidienza solamente se il sen. Andreotti fosse passato dal «sì» al «no». Ma questo non è accaduto. Sì che, al massimo, si può parlare in proposito di clericalismo, ma solo ipotizzando che il mutamento operativo del sen. Andreotti sia stato dettato da interesse o da piaggeria: però, in entrambi i casi, il giudizio comporta una discutibile — e deprecabile — irruzione impropria nel «cuore» dell’uomo politico e un giudizio sulle sue intenzioni. Invece e comunque, senza porre comportamenti impropri, si possono qualificare come «disubbienti» solamente coloro che intendono «peggiorare» la legge, non coloro che hanno pensato — o, forse imprudentemente, pensano ancora — di difenderla votando «no».
2. Quanto all’indicazione operativa proposta dal card. Ruini, non può essere oggetto né di ubbidienza né di disubbidienza, ma solamente di valutazione prudenziale, cioè politica, assolutamente non di coscienza. Per esempio, nel secolo scorso, era espressione di ubbidienza non essere socialcomunisti o filo-socialcomunisti; era prudenziale essere o non essere democristiani. La prima posizione ha chiarissime implicazioni dottrinali, la seconda no.
3. Poiché, in occasione della trasmissione e in altre, si è parlato di doverosità della partecipazione elettorale, mi limito a una considerazione di diritto positivo, dal momento che non mi pare assolutamente pertinente scomodare la morale cattolica, per la quale — è il vertice dell’anti-machiavellismo — a fin di bene non è lecito commettere neppure un peccato veniale. Mentre l’astensione elettorale — che, come si sa o si dovrebbe sapere, non è la scheda bianca, ma molti confondono e assimilano — è registrata dalla pubblica autorità, l’astensione referendaria è da essa prevista come espressione di atteggiamento rilevante, sì che registrarla sarebbe equivalente a schedare come l’elettore, l’avente diritto al voto, lo esprime. Ergo, invitare all’astensione non significa proporre un illecito civile. Perciò, pensare all’utilizzo della consueta percentuale di astenuti non è una «furbata» di dubbio gusto e di dubbia natura, ma equivale a servirsi, in una guerra nel deserto, di una duna, che esiste già e che risparmia la costruzione di un riparo con sacchetti di sabbia.
Giovanni Cantoni
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(1) Cfr. Andreotti: mi inchino a Ruini, non andrò più a votare, intervista a cura di Aldo Cazzullo, in Corriere della Sera, 23-3-2005.
(2) Cfr. Giuliano Ferrara e Ritanna Armeni (conduttori), Otto e mezzo. Programma di approfondimento quotidiano, trasmissione La virtù dell’obbedienza, del 24-3-2005, in onda su La 7.