di Michele Brambilla
Dopo il primo Angelus in streaming, giunge l’ora anche della prima udienza generale totalmente “telematica”. La mattina dell’11 marzo Papa Francesco si collega, infatti, dalla Biblioteca privata per proseguire il ciclo dedicato alla spiegazione delle Beatitudini. Si è giunti all’enunciazione della quarta: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perché saranno saziati» (Mt 5,6).
«Ma cosa significa», chiede il Santo Padre, «avere fame e sete di giustizia?». Qualcuno può subito pensare alla vendetta, ma per il Pontefice essa si porrebbe in radicale contrasto con la prima Beatitudine, quella della mitezza. «Certamente le ingiustizie feriscono l’umanità; la società umana ha urgenza di equità, di verità e di giustizia sociale», ma il grido dell’uomo giunge fino a Dio.
«Nello stesso “discorso della montagna”, poco più avanti, Gesù parla» infatti «di una giustizia più grande del diritto umano o della perfezione personale, dicendo: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20)». È una giustizia, dice Francesco, che non si limita a soppesare le colpe di ciascuno, come nelle diatribe umane: «nelle Scritture troviamo espressa una sete più profonda di quella fisica, che è un desiderio posto alla radice del nostro essere. Un Salmo dice: “O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l’anima mia, a te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua” (Sal 63,2)». Il Santo Padre cita anche sant’Agostino d’Ippona (354-430): «ci hai fatti per te, Signore, e il nostro cuore non trova pace finché non riposa in te» (Le confessioni, 1,1.5).
È quindi una giustizia che si basa sul nostro essere creatura. Significa riconciliare l’uomo con il Suo Creatore. «In ogni cuore, perfino nella persona più corrotta e lontana dal bene, è nascosto un anelito verso la luce, anche se si trova sotto macerie di inganni e di errori, ma c’è sempre la sete della verità e del bene, che è la sete di Dio. È lo Spirito Santo che suscita questa sete». Il Papa, per spiegarsi, trae spunto dalla vita coniugale: «ad esempio, quando un uomo e una donna si sposano hanno l’intenzione di fare qualcosa di grande e bello, e se conservano viva questa sete troveranno sempre la strada per andare avanti, in mezzo ai problemi, con l’aiuto della Grazia». La Chiesa esiste per annunciare a tutti questa Grazia.
Al termine dell’udienza il Pontefice rivolge ancora una volta il pensiero a chi sta combattendo strenuamente contro l’epidemia da coronavirus: «in questo momento, vorrei rivolgermi a tutti gli ammalati che hanno il virus e che soffrono la malattia, e ai tanti che soffrono incertezze sulle proprie malattie. Ringrazio di cuore il personale ospedaliero, i medici, le infermiere e gli infermieri, i volontari che in questo momento tanto difficile sono accanto alle persone che soffrono. Ringrazio tutti i cristiani, tutti gli uomini e le donne di buona volontà che pregano per questo momento, tutti uniti, qualsiasi sia la tradizione religiosa alla quale appartengono». Si augura di nuovo che l’emergenza che attanaglia l’Europa non faccia dimenticare altri drammi, come quello dei profughi siriani in Turchia, e ringrazia i detenuti del carcere “Due Palazzi” di Padova, che hanno scritto le meditazioni della Via Crucis che si dovrebbe tenere al Colosseo il 10 aprile, Venerdì Santo.
Giovedì, 12 marzo2020