Di Michele Brambilla
La V domenica di Quaresima, afferma Papa Francesco alla recita dell’Angelus del 29 marzo, pone davanti l’episodio evangelico della risurrezione di Lazzaro. «Lazzaro», spiega il Pontefice ripercorrendo il Vangelo del giorno (cfr Gv 11,1-45), «era fratello di Marta e Maria; erano molto amici di Gesù. Quando Lui arriva a Betania», il villaggio a meridione di Gerusalemme in cui Lazzaro, Marta e Maria vivevano, «Lazzaro è morto già da quattro giorni», tuttavia il Signore, profondamente commosso dalla sorte dell’amico, dà l’ordine di aprirne la tomba e lo risuscita.
In questo modo, osserva il Papa, «Gesù si fa vedere come il Signore della vita, Colui che è capace di dare la vita anche ai morti» perché è Egli stesso la Vita. «Qui tocchiamo» davvero «con mano che Dio è vita e dona vita, ma si fa carico del dramma della morte. Gesù avrebbe potuto evitare la morte dell’amico Lazzaro, ma ha voluto fare suo il nostro dolore per la morte delle persone care, e soprattutto ha voluto mostrare il dominio di Dio sulla morte. In questo passo del Vangelo vediamo che la fede dell’uomo e l’onnipotenza di Dio, dell’amore di Dio si cercano e infine si incontrano».
«Anche oggi», oppressi dalla grande mortalità che ha portato il coronavirus, «Gesù ci ripete: “Togliete la pietra”. Dio non ci ha creati per la tomba, ci ha creati per la vita, bella, buona, gioiosa. Ma “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap 2, 24), dice il Libro della Sapienza, e Gesù Cristo è venuto a liberarci dai suoi lacci» per mezzo della Sua morte e risurrezione. Oltre che anticipazione degli eventi pasquali di Cristo, «la risurrezione di Lazzaro è segno anche della rigenerazione che si attua nel credente mediante il Battesimo», che ci spinge ad essere “alter Christus” per i nostri fratelli.
Per essere davvero discepoli del Risorto occorre, secondo Francesco, «[…] togliere le pietre di tutto ciò che sa di morte: ad esempio, l’ipocrisia con cui si vive la fede, è morte; la critica distruttiva verso gli altri, è morte; l’offesa, la calunnia, è morte; l’emarginazione del povero, è morte». Proprio per questo il Pontefice chiede che «l’impegno congiunto contro la pandemia» in corso «possa portare tutti a riconoscere il nostro bisogno di rafforzare i legami fraterni come membri di un’unica famiglia. In particolare, susciti nei responsabili delle Nazioni e nelle altre parti in causa un rinnovato impegno al superamento delle rivalità. I conflitti non si risolvono attraverso la guerra! È necessario superare gli antagonismi e i contrasti, mediante il dialogo e una costruttiva ricerca della pace».
Il pensiero del Santo Padre corre anche ad altre situazioni rese insostenibili dal COVID-19: «in questo momento il mio pensiero va in modo speciale a tutte le persone che patiscono la vulnerabilità di essere costretti a vivere in gruppo: case di riposo, caserme… In modo particolare vorrei menzionare le persone nelle carceri. Ho letto un appunto ufficiale delle Commissione dei Diritti Umani che parla del problema delle carceri sovraffollate, che potrebbero diventare una tragedia. Chiedo alle autorità di essere sensibili a questo grave problema e di prendere le misure necessarie per evitare tragedie future».
Lunedì, 30 marzo2020