Massimo Introvigne, Cristianità n. 311 (2002)
1. L’apologetica in tempi di “nuova religiosità”
Un tempo considerata una realtà sospetta — e, forse, non “politicamente corretta” — l’apologetica sembra essere tornata d’attualità all’interno del mondo cattolico, come testimonia il successo in Italia di una rivista specializzata qual è il Timone. Bimestrale di formazione e informazione apologetica. All’interno del più vasto campo dell’apologetica, un settore importante — ma controverso — è relativo alla critica della nuova religiosità, intesa come insieme sia di credenze “nuove” in Occidente rispetto alla tradizione cristiana maggioritaria, sia di “nuovi” movimenti religiosi (1). Dirigendo un centro di studio e di ricerca che si occupa, precisamente, di nuova religiosità — il CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, fondato nel 1988 — mi capita spesso di essere interpellato, o anche invitato a pronunciarmi pubblicamente, su come “dovrebbe” atteggiarsi un’apologetica cattolica in questo settore. La mia prima risposta è che l’apologetica è cosa diversa dall’attività del CESNUR, che è un centro di per sé non confessionale e che riunisce studiosi interessati allo studio scientifico e accademico della nuova religiosità le cui opinioni e affiliazioni religiose sono le più varie; le pubblicazioni del CESNUR precisano sistematicamente di situarsi su un terreno puramente storico e sociologico e di non voler dare giudizi di valore sulle realtà che presentano. Aggiungo, di solito, che illustrare — sia pure in modo avalutativo — chi sono e in che cosa credono numerosi movimenti religiosi contemporanei fornisce comunque strumenti indispensabili all’apologetica, evitandole di polemizzare contro avversari immaginari o che hanno assunto nel frattempo posizioni diverse. Per esempio, sapere in che cosa credono i mormoni del secolo XXI è certamente necessario per evitare il rimprovero che, in uno studio pubblicato nel 2002 dalla prestigiosa Oxford University Press, lo storico mormone Terryl L. Givens rivolge a molta apologetica anti-mormone protestante, la quale — poco informata sugli sviluppi più recenti — dedica pagine e pagine ad attaccare posizioni che i mormoni non sostengono più da decenni, ottenendo così “vittorie” tanto facili quanto irrilevanti (2). L’apologetica, tuttavia, non è un optional per il cattolico. Pure in genere riluttante a spiegare ad altri che cosa “dovrebbero” fare, invadendo per così dire il loro campo, vorrei cogliere l’occasione per qualche breve riflessione sul tema che mi è offerta dalla lettura di quattro opere, di recente pubblicazione, di padre Joseph-Marie Verlinde, il cui taglio apologetico è originale e presenta elementi particolarmente apprezzabili.
2. Padre Joseph-Marie Verlinde: una carriera singolare
Nato in Belgio nel 1947 in una famiglia cattolica, Joseph-Marie Verlinde è uno studente precoce che ottiene il diploma accademico in scienze a vent’anni — il dottorato seguirà nel 1971 — e diventa in seguito ricercatore, specializzato in chimica nucleare, presso il FNRS, il Fondo Nazionale della Ricerca Scientifica belga. Gradualmente allontanatosi dalla fede cattolica, nel 1968 incontra la Meditazione Trascendentale (3), in cui muove i successivi passi fino a diventare segretario personale del fondatore del movimento, il Maharishi Mahesh Yogi, Mahesh Prasad Varma. Nel 1974 una riflessione critica sull’induismo lo porta a lasciare la Meditazione Trascendentale e a far parte di diversi movimenti esoterici occidentali, fino a quando — nel 1976 — entra nel seminario cattolico di Avignone, in Francia. Dopo ulteriori studi alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, nel 1983 è ordinato sacerdote per la diocesi di Montpellier. Il vescovo gli chiede di completare gli studi all’Università Cattolica di Lovanio, dove si addottora in filosofia nel 1987, quando già da un anno insegna Filosofia della Natura nell’Università Cattolica di Lione. Partecipa alla fondazione di una delle “nuove comunità” francesi legate all’esperienza del Rinnovamento nello Spirito, la Famiglia di San Giuseppe, che comprende una branca laica e una monastica; in quest’ultima pronuncia i voti definitivi nel 1991. Oltre a opere di spiritualità, inaugura nel 1998 con L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère (4) un’opera critica di taglio apologetico sulle spiritualità orientali e la nuova religiosità che prevede quattro volumi: seguono i due tomi di Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, intitolati rispettivamente Quand le voile se déchire… (5) e La Déité sans nom et sans visage (6), in attesa di un quarto volume che sarà consacrato al New Age. Nel corso della Quaresima 2002 è invitato a tenere le prestigiose Conférences Notre-Dame de Paris sul tema Le Christianisme au défi des nouvelles religiosités; il relativo testo (7) diventa rapidamente un best seller nelle librerie cattoliche francesi. Sugli stessi temi, padre Joseph-Marie Verlinde anima il sito internet <www.ouroboro s.info>.
3. Il metodo apologetico di padre Verlinde
L’opera di padre Verlinde si presenta singolare nel peculiare contesto francese, segnato da una campagna “anti-sette” condotta dallo Stato in prima persona con argomenti di natura squisitamente “laica” quali la manipolazione mentale, lo sfruttamento economico o l’evasione fiscale: una campagna che non ha veri paralleli in alcun altro paese europeo e la cui virulenza è apparsa sorprendente anche agli osservatori sociologici più pacati e meglio disposti verso il governo francese (8). In questo contesto, la tentazione è forte anche per una certa apologetica cattolica di mettersi semplicemente al traino della polemica anti-sette laica, utilizzandone gli stessi argomenti e liquidando i fenomeni della nuova religiosità come realtà di semplice competenza della polizia e della magistratura, di cui una critica filosofica o teologica sarebbe perfino superflua. Questo atteggiamento non è assente nella pubblicistica cattolica francese, nonostante le tempestive messe in guardia contro la sua sterilità — e i rischi che le critiche rivolte alle “sette” da una prospettiva laicista si estendano anche alla Chiesa cattolica — da parte di monsignor Jean Vernette, responsabile della commissione della Conferenza Episcopale Francese sui problemi pastorali posti dalle “sette” e dalle nuove credenze (9). Un’altra strada su cui facilmente può incamminarsi l’apologetica cattolica è quella eresiologica, che — di fronte a centinaia di movimenti e di sigle — li cataloga, in concorrenza, per così dire, con le opere scientifiche, mostrando per ognuno in che cosa le loro dottrine e pratiche sono incompatibili con la fede cattolica. L’accostamento eresiologico, a sua volta, non è persuasivo, perché la molteplicità di sigle porta alla costruzione di “cataloghi” che da una parte, se compilati con la necessaria acribia e rigore scientifico, disorientano il lettore cattolico alla ricerca di semplici ragioni della sua fede; dall’altra, se sono invece prodotti in modo frettoloso e senza riguardo alle fonti critiche, confidando nella tolleranza del lettore non specializzato, facilmente ricadono nel rischio — già citato — di criticare correnti e movimenti prima ancora di averli descritti con la necessaria accuratezza.
Le opere di padre Verlinde non comportano né una critica della prospettiva anti-sette corrente in Francia né dei limiti di quella eresiologica, ed è certamente importante non far loro dire quanto non dicono esplicitamente. Tuttavia, seguono una prospettiva diversa che — dal punto di vista metodologico — potrebbe emergere utilmente dalle controversie presenti e rivelarsi feconda. Pur fornendo informazioni sommarie sulle correnti e sui personaggi di volta in volta citati, le quattro opere adottano un accostamento tematico anziché storico o fenomenologico, facendo emergere i grandi temi su cui le soluzioni offerte dalla nuova religiosità si rivelano alternative rispetto alla fede cattolica, e mostrando quindi la verità della prospettiva cattolica in una chiave — qui sì — propriamente apologetica. Il religioso belga si sforza di trattare i movimenti e gli autori che critica in modo e con un linguaggio dialogico e rispettoso. Colpisce favorevolmente l’assenza pressoché totale di argomentazioni — e della stessa terminologia — relativa alle “sette”, al “lavaggio del cervello” o all’evasione fiscale da parte dei movimenti religiosi. Le opere pubblicate dalla Saint-Paul sono in forma d’intervista e qualche rara caduta di tono al riguardo è piuttosto dell’anonimo intervistatore; quando, all’inizio del primo volume, padre Verlinde parla a proposito delle sue esperienze neo-induiste di “legami di dipendenza malsana” (10) ci si accorge, dopo poche righe, che il riferimento è alle “entità spirituali che reggono i domini occulti” (11) con cui si rischia, a suo dire, d’entrare in contatto in certe forme di meditazione, tema delicato e del resto caro agli ambienti di Rinnovamento nello Spirito, ma comunque diverso dalle metafore psicologiche e psichiatriche sul lavaggio del cervello.
4. Una critica delle esperienze religiose orientali
Il mondo criticato nella prima opera — L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère — sembra a prima vista diverso da quello dei movimenti esoterici preso di mira nei due tomi del La Déité sans nom et sans visage. Le Défi de l’ésotérisme au christianisme; tuttavia, l’accostamento apologetico dell’autore è a suo modo unitario, come emerge anche — in chiave riassuntiva — nelle conferenze quaresimali del 2002 tenute nella cattedrale di Parigi, Notre-Dame. Sulla base delle sue esperienze personali e della sua competenza filosofica, padre Verlinde stabilisce una distinzione fondamentale fra mistiche naturali e mistica trascendente, che è poi la distinzione stessa fra l’esperienza religiosa induista e buddhista, analoga — ma non identica — a quella di certi movimenti occidentali di matrice esoterica e della nuova religiosità, e l’esperienza religiosa cristiana. Quest’ultima “[…] orienta verso un Dio personale, in vista di un incontro che si espande in una comunione d’amore rispettando l’alterità” fra Dio e l’uomo (12). L’”altra” esperienza invece porta a rientrare sempre più profondamente in sé stessi, fino a rimanerne prigionieri in un “narcisismo senza Narciso” (13): la formula è del missionario e indologo francese don Jules Monchanin (1895-1957). Due espressioni sembrano all’autore particolarmente pertinenti a distinguere questa esperienza “altra” da quella cristiana, e ritornano di frequente nelle diverse opere. La prima è quella di “enstasi”, che il fenomenologo rumeno delle religioni Mircea Eliade (1907-1986) distingue rigorosamente dall’estasi: nell’“enstasi” si entra sempre di più in sé stessi — e ci si chiude a ogni possibile trascendenza —, mentre nell’estasi ci si apre al di fuori di sé verso un Dio trascendente (14). Padre Verlinde cita, al riguardo, un brano dell’indologo francese Jean Varenne secondo cui il neologismo coniato da Eliade va usato per tradurre l’espressione indiana samadhi, a proposito della quale “[…] la traduzione “estasi”, che è talora stata proposta, è del tutto erronea. Lo yogi in stato di samadhi non “esce” affatto da sé stesso, non è “rapito” come lo sono i mistici; esattamente al contrario rientra completamente in sé stesso, s’immobilizza totalmente per l’estinzione progressiva di tutto quanto causa il movimento: istinti, attività corporale e mentale, la stessa intelligenza” (15). Beninteso, le tecniche sono le più varie — padre Verlinde insiste, per esempio, sulla diffusione del tantrismo e delle varianti occidentali della magia sessuale —; ma l’esperienza rimane sempre “enstatica” e non “estatica”. La seconda espressione spesso citata dal religioso belga è del filosofo cattolico francese Jacques Maritain (1882-1973). Questi definisce l’esperienza ultima nelle religioni orientali non come “metafisica” (16), in polemica, nell’occasione, implicita, con l’esoterista francese René Guénon (1886-1951) — in quanto non si rivolge all’essere nel senso classico del termine — ma piuttosto “metafilosofica” (17), in quanto “esperienza […] dell’esse sostanziale dell’anima” (18), da ultimo — secondo padre Verlinde — “esperienza di ordine puramente esistenziale” (19), in cui si cerca — e nel migliore dei casi si trova — il fondo più intimo dell’esistenza, “[…] il Sé inteso come atto primo di esistenza [che] è soltanto e sempre l’atto di un essere creato e non dell’Essere divino increato” (20). L’esistenza, comunque la si esamini e la si approfondisca, non è l’essere.
5. Tecniche orientali e meditazione cristiana
A ben vedere, l’opposizione fra “enstasi” ed estasi, e fra esperienza del fondo intimo dell’esistenza ed esperienza dell’Essere costituisce la trama soggiacente all’intera opera fin qui pubblicata di padre Verlinde in tema di critica della nuova religiosità. Per quanto egli affermi, giustamente, che sarebbe semplicistico stabilire una genealogia che rintracci nell’induismo e nel buddhismo — nonché nel tantrismo, sia questo induista o buddhista — gli antecedenti unici e sempre diretti dell’esoterismo occidentale e della nuova religiosità, che si tratti della Società Teosofica, dell’Antroposofia, delle letture correnti della qabbalah, del pensiero del mistico luterano tedesco Jacob Böhme (1575-1624) o del New Age, i fili e le genealogie sono difficili da ricostruire sul piano storico, ma dal punto di vista dell’apologetica cattolica l’obiezione rimane la stessa: nel migliore dei casi, concedendo all’interlocutore la maggiore sincerità e dedizione — che, naturalmente, non si riscontrano sempre né dovunque — si tratta comunque di “enstasi” e di esplorazioni che rimangono chiuse nel cerchio dell’esistenza e dell’immanenza, dove si possono occasionalmente trovare tesori terreni — insieme a draghi che li custodiscono e che possono divorare l’incauto cercatore —, ma non il tesoro eterno dell’accesso all’Essere increato. Non è possibile, in questa sede, rendere conto di tutti i temi trattati da padre Verlinde, ma vanno almeno segnalate una raffinata analisi della reincarnazione (21) e accenni alla riduzione del ruolo di Gesù Cristo a puro principio cosmico — “il” Cristo, che non è più il Gesù di Nazareth della storia —, maestro di saggezza fra i molti o uno fra molteplici avatara (22), l’espressione, sostanzialmente intraducibile, con cui nell’induismo s’indica una “discesa” del divino nella storia: una riduzione indispensabile se si vuole mantenere una prospettiva immanentista, e che l’autore si riserva di approfondire nel quarto volume, in preparazione, della sua quadrilogia. In polemica con diversi autori cattolici — ma in sintonia con la Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana della Congregazione per la Dottrina della Fede, del 15 ottobre 1989, ripubblicata in appendice a L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère (23) —, padre Verlinde manifesta molti dubbi sull’importazione all’interno della vita spirituale cristiana di tecniche di derivazione induista e buddhista. “Non esiste, a rigore — scrive — uno “yoga cristiano”, così come non esiste una preghiera d’orazione indù. Esiste uno yoga indù praticato da uomini e donne che credono in Cristo e nel Vangelo e che s’immaginano di poter trarre profitto da queste tecniche per il loro sviluppo fisico, psichico e anche spirituale. Ma il rischio di confusione è enorme. Mi permetto d’insistere: la serenità naturale ottenuta attraverso il lento processo di dissoluzione della coscienza personale non ha molto a che vedere con la Pace soprannaturale dello Spirito del Cristo risuscitato, e non prepara ad accoglierla: è piuttosto il contrario” (24). Più in generale, l’autore si mostra convinto del fatto che — fatte salve le ragioni del dialogo inter-religioso, così come il Magistero cattolico le espone e le ricorda — di fronte alla nuova religiosità non sia sufficiente limitarsi a criticare effetti contemporanei senza risalire alle cause profonde, il che domanda alla prospettiva apologetica di dotarsi senza reticenze di strumenti critici nei confronti dell’induismo e del buddhismo, considerati anche nelle loro manifestazioni più antiche e tradizionali e non solo nei movimenti che hanno generato negli ultimi secoli.
6. Di fronte all’esoterismo
Nei due volumi su Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, padre Verlinde si trova di fronte alla necessità di parlare di argomenti poco noti al grande pubblico, e questo gli pone un problema. Rispetto al volume sulla religiosità orientale e neo-orientale, l’autore sceglie di consacrare un buon numero di pagine — altrove, almeno ampie note — a una presentazione della vita e delle opere dei principali autori che critica, dalla fondatrice della Società Teosofica Helena Blavatsky (1831-1891) a Rudolf Steiner (1861-1925), da Annie Besant (1847-1933) al citato Guénon. Se da una parte questo accostamento aiuta il lettore inesperto, verosimilmente disorientato, dall’altro rischia di ingenerare un equivoco. D’esordio, padre Verlinde precisa che “[…] non intraprendiamo qui un lavoro “scientifico”” (25) e di non aver competenze specifiche come storico. Il rischio, tuttavia, è che il lettore — persuaso dalle argomentazioni dell’autore in materia filosofica e teologica — non si renda conto di questo limite, pure espressamente e correttamente denunciato, e rischi di scambiare trattazioni dove l’essenziale è una serrata critica di carattere apologetico per quello che non sono, cioè opere — appunto — “scientifiche” di ricostruzione storica. Da questo punto di vista, il lettore s’imbatterebbe in errori di dettaglio frequenti: per esempio, il “massone di frangia” italiano Cagliostro (1743?-1795) non “[…] muore in prigione a Roma nel 1795″ (26), ma nella Rocca di San Leo, in Romagna; l’esoterista inglese Aleister Crowley (1875-1947) è “il secondo Imperator della Golden Dawn” (27) solo secondo Crowley medesimo, mentre per gli storici ne guida al più uno scisma; il pastore presbiteriano scozzese James Anderson (1680?-1739), redattore delle Costituzioni massoniche del 1723 che portano il suo nome, non è però fra coloro che prendono l’“iniziativa” (28) che porta alla costituzione della Gran Loggia di Londra nel 1717; e parlare oggi del CLIPSAS, il Centre de Liaison et d’Information des Puissances maçonniques signataires de l’Appel de Strasbourg, (29) come organismo internazionale delle massonerie “liberali” che seguono il modello del Grande Oriente di Francia richiederebbe la precisazione secondo cui a quest’organismo è ora subentrata l’AML, l’Association des Maçonneries Liberales; e così via. L’autore descrive anche la sua esperienza di membro del movimento gnostico-esoterico Lectorium Rosicrucianum (30), terminata — secondo quanto riferisce — quando, in un “Centro di formazione per iniziati” il “Consiglio dei Saggi”, preso atto delle sue esperienze pregresse neo-induiste di “risalita della kundalini“, ebbe a considerarlo come “irrimediabilmente “perduto”” (31). Premesso che per il Lectorium Rosicrucianum la “risalita della kundalini“ non è, effettivamente, priva di rischi, le espressioni “Centro di formazione per iniziati” e “Consiglio dei Saggi” non fanno parte del linguaggio di questo movimento, e l’intera “avventura” richiede forse qualche maggiore precisazione. Questi rilievi non vogliono essere pedanti, ma intendono attirare l’attenzione su problemi di tipo metodologico: le ricostruzioni storiche soffrono, nei due volumi sull’esoterismo, di un uso delle fonti da cui trarre le informazioni che sembra mettere sullo stesso piano autori accademici e semplici giornalisti, senza distinzione gerarchica, nonché della scelta — da parte di un autore che evidentemente conosce l’inglese — di utilizzare esclusivamente fonti di lingua francese — e talora italiana —, quando su una serie di punti non secondari esiste un’ampia letteratura storica anglofona.
7. Il problema della definizione dell’esoterismo
Tutto questo premesso, la critica dell’“esoterismo” e dell’“iniziazione” da parte dell’autore e la sua motivata riconduzione allo stesso “orizzonte ontologico comune” (32) delle “mistiche naturali” (33) comportano molti spunti interessanti e meritevoli di ulteriori riflessioni. Sollevano però anche il problema della definizione dell’esoterismo. “Non sostengo — scrive padre Verlinde — che l’esoterismo occidentale sia perfettamente unificato […]. Ma emerge tuttavia una tendenza generale” (34). Si tratta qui di capire esattamente quale sia il genere letterario dell’autore e in che senso egli parli di “esoterismo”. Premesso — ancora una volta — che il suo scopo è apologetico, non storico, il religioso belga costruisce un idealtipo — per usare l’espressione del sociologo tedesco Max Weber (1864-1920) — dell’esoterismo che probabilmente non si trova, allo stato puro, in nessuna corrente o movimento, ma che rappresenta abbastanza fedelmente un denominatore comune a molti dei gruppi con i quali un ricercatore spirituale, un frequentatore delle correnti più “spiritualiste” ed esoteriche della massoneria, o un giovane che arrivi all’esoterismo dal New Age ha le maggiori possibilità di venire in contatto. Dal punto di vista metodologico quella di padre Verlinde è una figura (35) dell’esoterismo, che rappresenta, riduce a unità e spiega in funzione di un progetto teoretico specifico un gran numero di elementi diversi, scelti fra altri che sono stati invece messi tra parentesi, e che ha con la realtà un rapporto non di “fotografia” ma di analogia. Una volta chiarite le sue premesse metodologiche, è un modo di procedere sia legittimo, sia assolutamente comune. Si tratta, beninteso, dell’esoterismo come sistema e non dell’esoterismo inteso come semplice metodo, secondo una nota distinzione di Antoine Faivre, lo storico francese dell’esoterismo che padre Verlinde cita, ma non su questo punto (36). Mentre rimane aperto il problema se l’unica possibile rappresentazione di qualunque esoterismo sia questa figura (37), che, per esempio, considera essenziali all’esoterismo — e utili a distinguerlo, nonostante le analogie, dalle mistiche naturali — gl’interessi per le “percezioni extrasensoriali” (38) e anche per gli “”esseri spirituali” che abitano i mondi sottili” (39).
8. La questione della massoneria
Non aperto, invece — checché se ne dica — è, ricorda l’autore, il problema della “doppia appartenenza” di cattolici alla massoneria e a organizzazioni di tipo massonico, che rimane vietata in virtù della dichiarazione del 26 novembre 1983 della Congregazione per la Dottrina della Fede, di cui padre Verlinde propone un’esegesi non banale riflettendo sia sulla nozione di relativismo sia sull’immanentismo che — ancora una volta — questa nozione e la sua pratica nel metodo massonico presuppongono, così che le antiche censure di “naturalismo” del Magistero cattolico, ben comprese, non appaiono a tutt’oggi infondate (40). Qui, peraltro, il religioso belga compie davvero il suo massimo sforzo di comprensione e di dialogo, riconoscendo generosamente le ragioni di coloro che si sono opposti, sia da parte cattolica sia da parte massonica, al documento magisteriale del 1983 — che egli invece personalmente condivide —, e insistendo sul fatto che il chiaro rifiuto della “doppia appartenenza” non preclude comunque un dialogo, che non verta sulla possibilità dei cattolici di appartenere alla massoneria — qui il dialogo è già avvenuto, con l’esito noto — ma dove si confrontino le reciproche posizioni su temi come i diritti dell’uomo, lo studio e il significato dei simboli e la critica del materialismo (41).
9. Per concludere
Padre Verlinde sta dunque proponendo una vasta impresa apologetica di critica tematica, filosofica e teologica, della nuova religiosità contemporanea. A prescindere dalle questioni di dettaglio, e dalle risposte di volta in volta apportate ai vari quesiti, si tratta — già di per sé stesso — di un progetto che merita di essere preso in attenta considerazione per il modo stesso in cui imposta i problemi. A me sembra, in qualche modo rispondendo alla domanda iniziale, che sia questa la strada giusta per un’apologetica matura che si ponga in tutta serietà e consapevolezza di fronte alla “sfida delle nuove religiosità”. Una strada tanto più feconda in quanto — presupponendo le ricostruzioni storiche e sociologiche della ricerca accademica, piuttosto che facendo loro in qualche modo una concorrenza che non potrebbe sostenere ad armi pari — rimanga fedele all’intuizione iniziale, dipanando dall’immensa matassa delle molteplici nuove religiosità i grandi temi di fondo, che offrono l’occasione di far emergere la diversa risposta cattolica, e di cogliere quindi nella stessa babele spirituale contemporanea l’occasione per riproporre le ragioni della fede. In questo, in fondo, si riassume la natura stessa dell’apologetica.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Sui problemi terminologici, cfr. il mio La questione della nuova religiosità. In appendice la relazione generale al Concistoro Straordinario del 1991 di S. Em. il card. Francis Arinze, Cristianità, Piacenza 1993.
(2) Cfr. Terryl L. Givens, By the Hand of Mormon. The American Scripture that Launched a New World Religion, Oxford University Press, Oxford-New York 2002. Sui limiti dello studio di Givens, cfr. la mia recensione sul sito <www.cesnur.org/2002/mi_given s.htm>.
(3) Cfr. una scheda sulla Meditazione Trascendentale, in Massimo Introvigne, PierLuigi Zoccatelli, Nelly Ippolito Macrina e Verónica Roldán, Enciclopedia delle Religioni in Italia, Elledici, Leumann (Torino) 2001, pp. 533-535.
(4) Cfr. padre Joseph-Marie Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, Saint-Paul, Versailles 1998.
(5) Cfr. Idem, Quand le voile se déchire… Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. I, Saint-Paul, Versailles 2000.
(6) Cfr. Idem, La Déité sans nom et sans visage. Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. II, Saint-Paul, Versailles 2001.
(7) Cfr. Idem, Le Christianisme au défi des nouvelles religiosités. Conférences Notre-Dame de Paris 2002, Presses de la Renaissance, Parigi 2002.
(8) Cfr. Danièle Hervieu-Léger, La Religion en miettes ou la question des sectes, Calmann-Lévy, Parigi 2001, su cui cfr. il mio Perché in Francia? Un commento a “La Religion en miettes ou la question des sectes” di Danièle Hervieu-Léger, in Cristianità, anno XXIX, n. 306, luglio-agosto 2001, pp. 3-14. Più in generale, sulle peculiarità francesi, cfr. James T. Richardson e M. Introvigne, “Brainwashing” Theories in European Parliamentary and Administrative Reports on “Cults” and “Sects”, in Journal for the Scientific Study of Religion, vol. 40, n. 2, giugno 2001, pp. 143-168, e Iidem, Western Europe, Postmodernity, and the Shadow of the French Revolution: A Reply to Soper and Robbins, ibid., pp. 181-185. Sulla problematica della “manipolazione mentale”, cfr. il mio Il lavaggio del cervello: realtà o mito?, Elledici, Leumann (Torino) 2002.
(9) Cfr., per esempio, monsignor Jean Vernette, Le rapport au Parlement sur les sectes: des interrogations, in M. Introvigne e J. Gordon Melton (a cura di), Pour en finir avec les sectes. Le débat sur le rapport de la commission parlementaire, 3a ed., Dervy, Parigi 1996, pp. 217-220.
(10) Padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., p. 17.
(11) Ibidem.
(12) Ibid., p. 77.
(13) Ibid., p. 81.
(14) Cfr. Mircea Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà, trad. it., a cura di Furio Jesi, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1999, pp. 83-86; cit. in padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., p. 71.
(15) Padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., ibidem, con citazione di Jean Varenne (a cura di), Upanishads du Yoga, UNESCO-Gallimard, Parigi 1971, pp. 42-43.
(16) Cfr. Jacques Maritain, Quattro saggi sullo spirito umano nella condizione di incarnazione, ed. riveduta e accresciuta, 1956, trad. it., Morcelliana, Brescia 1978, p. 121; cit. in padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., p. 72.
(17) J. Maritain, op. cit., p. 119; cit. in padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., p. 73.
(18) J. Maritain, op. cit., ibidem; cit. in padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., ibidem.
(19) Padre J.-M. Verlinde, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., p. 71.
(20) Ibid., p. 73.
(21) Cfr. ibid., pp. 213-229.
(22) Cfr. Idem, Le Christianisme au défi des nouvelles religiosités. Conférences Notre-Dame de Paris 2002, cit., pp. 121-168.
(23) Cfr. ibid., pp. 259-282; cfr. trad. it. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera “Orationis forma” ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana, del 15-10-1989, con presentazione di S. E. mons, Alberto Bovone, introduzione di S. Em. il card. Joseph Ratzinger e commenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1991; cfr. pure don Pietro Cantoni, “Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della meditazione cristiana”, in Cristianità, anno XVIII, n. 178, febbraio 1990, pp. 6-8.
(24) Idem, L’Expérience interdite. De l’ashram au monastère, cit., p. 139.
(25) Idem, Quand le voile se déchire… Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. I, cit., p. 9.
(26) Idem, La Déité sans nom et sans visage. Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. II, cit., p. 150.
(27) Ibid., p. 148.
(29) Ibid., p. 155.
(29) Cfr. ibid., p. 164.
(30) Cfr. una scheda, in M. Introvigne, P. Zoccatelli, N. Ippolito Macrina e V. Roldán, Enciclopedia delle Religioni in Italia, cit., pp. 730-732. Chi scrive ha in preparazione una monografia su questo movimento, che osserva e studia da anni.
(31) Padre J.-M. Verlinde, La Déité sans nom et sans visage. Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. II, cit., pp. 80-81.
(32) Idem, Quand le voile se déchire… Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. I, cit., p. 43.
(33) Ibidem.
(34) Ibid., p. 9.
(35) Cfr., su questa nozione, Enrico di Robilant, Scelte e figure nelle teorie, in AA. VV., Trascendenza Trascendentale Esperienza. Studi in onore di Vittorio Mathieu, CEDAM, Padova 1995, pp. 543-552.
(36) Cfr., per esempio, Antoine Faivre, “What Is Esotericism?”, intervista a cura di Richard Smoley e Jay Kinney, in Gnosis, n. 31, San Francisco (California) primavera 1994, p. 68.
(37) Cfr. in proposito — alla luce di preoccupazioni che non sono estranee a quelle di padre Verlinde — le osservazioni di P. Zoccatelli, Le lièvre qui rumine: autour de Réné Guénon, Louis Charbonneau-Lassay et la Fraternité du Paraclet, Arché, Milano 1999; cfr. pure — in altra prospettiva — Jean Borella, Esoterismo guénoniano e mistero cristiano, ed. it. riveduta e corretta dall’autore, Arkeios, Roma 2002.
(38) Padre J.-M. Verlinde, Quand le voile se déchire… Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. I, cit., p. 43.
(39) Ibidem. L’autore fa ancora riferimento esplicito a Faivre, per il quale però questi elementi si ritrovano spesso nell’esoterismo, ma non sono essenziali alla sua definizione (cfr. A. Faivre, Comment écrire l’histoire de l’ésotérisme occidental?, in Revue de la Société des élèves de la Section des sciences religieuses de l’E.P.H.E [École Pratique des Hautes Études], n. 5, Parigi 1992, pp. 5-21; più ampiamente, cfr. Idem, L’esoterismo: storia e significati, trad. it., SugarCo, Carnago [Varese] 1992). Cfr. un commento ai criteri di Faivre, in P. Zoccatelli, Il paradigma esoterico e un modello di applicazione. Note sul movimento gnostico di Samael Aun Weor, in La Critica Sociologica, n. 135, Roma autunno 2000 (ottobre-dicembre), pp. 33-49, testo da cui si ricavano, fra l’altro, informazioni sull’esoterista colombiano Samael Aun Weor — pseudonimo di Víctor Manuel Gómez Rodríguez (1917-1977) —, un personaggio citato da padre Verlinde che tuttavia, diversamente da quanto avviene per altri, non fornisce a suo riguardo informazioni biografiche.
(40) Cfr. padre J.-M. Verlinde, La Déité sans nom et sans visage. Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. II, cit., pp. 209-235; cfr. ulteriori commenti e documenti, in CESNUR. Centro Studi sulle Nuove Religioni, Massoneria e religioni, a cura di M. Introvigne, Elledici, Leumann (Torino) 1994.
(41) Cfr. padre J.-M. Verlinde, La Déité sans nom et sans visage. Le Défi de l’ésotérisme au christianisme, vol. II, cit., pp. 226-227.