di Alfredo Mantovano
Giovanni Cantoni era solito spiegare nozioni complesse con esempi semplici, che permettevano a chi lo ascoltava di cogliere senza fatica il senso del discorso. Ricordo come se fosse oggi – pur se sono trascorsi decenni – una sua conversazione sulla relazione fra il “politico” e il “tecnico”: il primo chiamato a una scelta – talora difficile e controversa -, che costituisce esercizio della responsabilità connessa alla funzione che svolge, il secondo chiamato a dare esecuzione a quella scelta o, in fase preventiva, a prospettare le modalità di realizzazione delle differenti opzioni. Se chiami l’idraulico per installare la doccia a casa tua – questo era l’esempio -, sarà il tecnico delle tubature più bravo della città (ed è opportuno che chiami proprio lui, così previeni guasti futuri), ma per prima cosa ti porrà un quesito in senso lato politico, diciamo di politica familiare: dove la colloco? Devi essere tu a indicarglielo, perché se tu fossi così avventato da lasciare a lui la scelta, potresti ritrovarti la doccia nel soggiorno: perfettamente funzionante, per carità, ma montata dove non avrebbe mai dovuto.
L’insegnamento è valido oggi più di quando l’ho ascoltato, a fronte del tratto che il Presidente del Consiglio ha seguito fin dall’insorgere della crisi da Covid-19. Non mi interessa qui esaminare i provvedimenti di volta in volta adottati, né la forma che essi hanno preso, fra D.L. e d.P.C.M., né il loro intersecarsi convulso. Mi interessa un profilo strutturale, finora poco considerato: il rapporto durante l’emergenza gestita dal Governo Conte fra quest’ultimo e i c.d. tecnici.
Parto da una premessa scontata: la sovranità dello Stato italiano, e al suo interno dell’istituzione demandata a scegliere, cioè il Governo, è da tempo limitata per volontaria e deliberata cessione di sovranità agli organismi europei. Quella sovranità è stata, a partire dall’inizio degli anni 1990, ulteriormente compressa, non per deliberato ma per subìto cedimento all’invadenza della giurisdizione: da quella della Corte delle leggi, arrivata a creare norme e a introdurle nell’ordinamento, a quella inquirente, specializzata nell’aprire indagini ma non a chiuderle (copyright Sabino Cassese), senza escludere la magistratura amministrativa, che decide quali navi possono entrare o meno nei porti e quali opere pubbliche si realizzano e quali no.
Sui residui margini operativi di un Governo nazionale, stretto fra i vincoli europei e gli sgambetti giudiziari, l’attuale Premier ha introdotto a seguito della emergenza una ulteriore limitazione: quella degli “esperti”. A scanso di equivoci: vi è una drammatica necessità di persone che capiscano e che sappiano orientare in territori complicati e, come è per il Covid-19, inesplorati. Ce ne fossero stati di capaci, soprattutto nelle settimane iniziali, quando i virologi – venuti sulla scena mediatica -, le stesse persone fisiche, hanno alternato messaggi rassicuranti a improvvisi dietro front!
Immaginiamo però che si riesca a individuare fra la congerie di “esperti”, che paiono frequentare tg e talk show più che laboratori e ospedali, i veramente capaci, i meno oscillanti, i più affidabili. Il problema strutturale del prof. Conte è non già che faccia ricorso a loro per ottenere quadri informativi e valutativi alla cui stregua assumere le decisioni: questo è doveroso per adottare in modo ponderato e scientificamente fondato quel che è necessario per fronteggiare la pandemia. Il problema è che fa decidere a loro. Costituisce una task force e demanda a essa le scelte: lo ha fatto (qui il copyright è di Alessandro De Angelis) col comitato scientifico per gestire la fase 1, lo ha iniziato a fare per gestire la ripresa delle attività, la c.d. fase 2, con l’ampio raggruppamento tecnico appena insediatosi (16 unità), coordinato dal dott. Vittorio Colao. Lo fanno altri esponenti del suo Governo per settori meno rilevanti, come le fake news, prontamente affrontate da apposita task force. E’ tutto un fiorire di strutture tecniche e di gruppi di esperti, mentre – se di esse vi è tanta necessità – qualcuno comincia a dubitare dell’utilità dei vecchi ministeri e dei loro apparati, abbondantemente esautorati.
Il problema è la confusione fra consiglio – necessario, di competenza degli esperti – e decisione, che spetta a chi svolge la funzione di governo. Non mi interessa neanche sapere perché il Premier ha imboccato questa strada – reale difficoltà a decidere, avere qualcuno su cui scaricare la colpa dei fallimenti… -: più delle illazioni interessa la gravità della lesione strutturale che la sua impostazione comporta. Se, a proposito delle forti restrizioni ai movimenti degli italiani e delle altre misure di contenimento adottate, egli ha inizialmente paragonato sé stesso al Churchill dell’ora più buia – questa emergenza ha fatto saltare pure il senso delle proporzioni – non sarebbe male ricordare quella storia per intero. Nel 1940 i “tecnici” britannici avevano descritto al Primo ministro inglese la spaventosa potenza bellica del Reich: per questo gran parte di loro propendeva per un accordo col Fuhrer, e descriveva quel che altrimenti sarebbe accaduto al suolo inglese e a chi ci abitava. La grandezza di Churchill fu che assunse per intero la responsabilità politica di resistere e combattere, pur consapevole della correttezza delle informazioni degli esperti e delle valutazioni prudenziali da loro espresse, peraltro appoggiate da una parte significativa del Parlamento e dello stesso partito conservatore. L’esatto contrario degli slalom, delle mediazioni, delle fughe in avanti seguite da altrettanto improvvise retromarce che hanno caratterizzato la gestione dell’emergenza Covid-19.
E poi, mettete in una stanza i tecnici più bravi e meno lambiti da conflitti di interessi: senza una guida politica che indichi l’obiettivo rispetto al quale individuare la via di più efficace realizzazione, discuteranno fra loro senza fine, richiamandosi chi alla scuola di origine, chi alle tesi elaborate, chi alle sperimentazioni che ha promosso. Vi illudete se attendete da loro decisioni univoche, e più sono e più discetteranno senza venire a capo di nulla.
Servono scelte politiche, delle quali indossare per intero la responsabilità: responsabilità politica, ben inteso, non giudiziaria, perché se poi – come comincia ad accadere – scendono in campo altri “tecnici”, quelli della giurisdizione, ci sarà ben poco da riaprire e da ricostruire.
Serve una guida politica anche per orientare i tecnici. Ancora una volta, non discuto il meccanismo individuato dal D.L. n. 23, c.d. liquidità. Ma come pensiamo che un sistema così complicato possa funzionare in tempi accettabili se il Governo – il Premier, o un suo delegato, o più suoi delegati – non fa interagire l’intero sistema bancario, i suoi soggetti più significativi, le associazioni di categoria? Come si può pensare che le istruttorie per la concessione dei prestiti in tutto o in parte garantiti dallo Stato saranno veloci se non si individuano standard omogenei fra i principali istituti di credito, e i richiedenti non vengono affiancati e aiutati secondo protocolli condivisi? Ciò vale a livello centrale, e vale pure sul territorio, col necessario coordinamento da parte della sola struttura statale esistente – la prefettura – delle banche e delle imprese in aree tendenzialmente provinciali. Questo è il terreno dei tecnici, ma guidati dalla politica.
In una parola, serve azione di governo.
Martedì, 14 aprile 2020