di Michele Brambilla
L’udienza generale del 15 aprile giunge all’ottava Beatitudine. Dice Papa Francesco: «mi rallegro che essa capiti subito dopo la Pasqua, perché la pace di Cristo è frutto della sua morte e risurrezione». Tuttavia, «per capire questa beatitudine bisogna», dice il Pontefice, «spiegare il senso della parola “pace”, che può essere frainteso o alle volte banalizzato».
«Dobbiamo», infatti, «orientarci fra due idee di pace: la prima è quella biblica, dove compare la bellissima parola shalòm, che esprime abbondanza, floridezza, benessere», al punto che «quando in ebraico si augura shalòm, si augura una vita bella, piena, prospera, ma anche secondo la verità e la giustizia, che avranno compimento nel Messia, principe della pace (cfr Is 9,6; Mic 5,4-5)». L’altra idea di pace, quella mondana, la confonde spesso con la quiete interiore o con la semplice assenza di conflitti armati tra i Paesi. Francesco ricorda, in proposito, che «anche nel nostro tempo, una guerra “a pezzi” viene combattuta su più scenari e in diverse modalità. Dobbiamo perlomeno sospettare che nel quadro di una globalizzazione fatta soprattutto di interessi economici o finanziari, la “pace” di alcuni corrisponda alla “guerra” di altri. E questa non è la pace di Cristo!».
Quanto alla pace intesa come “pace interiore”, il Papa ritiene che «tante volte è il Signore stesso che semina in noi l’inquietudine per andare incontro a Lui, per trovarlo. In questo senso è un importante momento di crescita; mentre può capitare che la tranquillità interiore corrisponda ad una coscienza addomesticata e non ad una vera redenzione spirituale. Tante volte il Signore deve essere “segno di contraddizione” (cfr Lc 2,34-35), scuotendo le nostre false sicurezze, per portarci alla salvezza».
«A questo punto», sottolinea il Papa, «dobbiamo ricordare che il Signore intende la sua pace come diversa da quella umana, quella del mondo, quando dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27)». Che pace è quella portata da Gesù? Il giorno di Pasqua «abbiamo ascoltato San Paolo dire che la pace di Cristo è “fare di due, uno” (cfr Ef 2,14), annullare l’inimicizia e riconciliare». La divisione che Gesù è venuto a riconciliare è soprattutto quella creatasi tra Dio e l’uomo a causa del peccato originale, deterso dal sacrificio del Golgota: «Egli infatti riconcilia tutte le cose e mette pace con il sangue della sua croce, come dice altrove lo stesso Apostolo (cfr Col 1,20)».
Se la pace che Gesù è venuto a portare coincide con la Redenzione, secondo il Santo Padre diventa lecito domandarsi «[…] chi sono, quindi, gli “operatori di pace”». La risposta è molto semplice: i testimoni dell’amore di Dio nei confronti di ogni creatura. «L’amore per sua natura è creativo», constata il Papa: «[…] cerca la riconciliazione a qualunque costo. Sono chiamati figli di Dio coloro che hanno appreso l’arte della pace e la esercitano, sanno che non c’è riconciliazione senza dono della propria vita, e che la pace va cercata sempre e comunque» perché coincide con la Verità stessa, Cristo. Ergo, «questa non è un’opera autonoma frutto delle proprie capacità, è manifestazione della grazia ricevuta da Cristo, che è nostra pace, che ci ha resi figli di Dio. La vera shalòm e il vero equilibrio interiore sgorgano dalla pace di Cristo, che viene dalla sua Croce e genera un’umanità nuova, incarnata in una infinita schiera di Santi e Sante», operatori di pace perché autentici cercatori di Dio.
Giovedì, 16 aprile 2020