Publichiamo il comunicato del Centro Studi “Rosario Livatino” del 20/04/2020. Autore prof. Maria Pia Baccari Vari, Ordinario di Diritto romano, Libera Università Maria S.S. Assunta
- Nel particolare e doloroso momento che stiamo vivendo, in cui sin dal 1° febbraio è stato deliberato lo stato di emergenza nazionale per la pandemia da COVID-19 e sono stati emanati i correlati DL e dPCM, una significativa operazione ideologica è messa in atto da alcuni opinion leaders e gruppi professionali, sostenuti da determinate frange politiche. Un appello rivolto al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute e alla Agenzia Italiana per il farmaco (AIFA) invita a riconsiderare le regole dell’aborto farmacologico e della sua strutturazione/organizzazione a livello territoriale.
La lettera chiede la deospedalizzazione delle pratiche dell’interruzione volontaria della gravidanza per renderle coincidenti con una loro gestione territoriale e domiciliare, che riguardi in modo particolare le fasi di avvio delle procedure e la successiva somministrazione di farmaci ad effetto abortivo.
Il messaggio vede come primi firmatari Pro-choice RICA, LAIGA, AMICA, Vita Di Donna ONLUS ed è sostenuto dall’Agite, associazione di ginecologi territoriali, federata alla SIGO, la Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia. L’istanza chiede di riorganizzare tutte le prestazioni connesse agli adempimenti previsti dalla legge n. 194/1978 norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza, che disciplina le modalità di accesso all’aborto depenalizzato.
L’appello-istanza chiede di adottare misure atte a privilegiare la procedura farmacologica a gestione domiciliare, che tra l’altro consentirebbe di limitare gli accessi in ospedale e pertanto il potenziale rischio di contagio, in quanto sostiene che l’emergenza Coronavirus metta a serio rischio la pratica attuazione della legge sull’aborto: all’insegna del “la legge 194 è minacciata!” mentre “l’aborto è priorità assoluta e chiede immediatezza di intervento!” - Ciò non è corretto, in quanto le procedure di aborto sono considerate prestazioni indifferibili. La letteratura scientifica, peraltro, attesta da anni che la pratica dell’aborto ‘farmacologico’ può esporre la donna a forti rischi per la sua salute, tali da rendere l’aborto farmacologico certamente più pericoloso di quello chirurgico. Come evidenziato da alcuni medici (Avvenire, 16.4.2020, p. 8), inoltre, l’allungamento del termine in cui si potrebbe ricorrere alla RU486 avrebbe come effetto quello d’incrementare “complicanze ed emorragie” con un conseguente aumento del numero di donne costrette a recarsi in pronto soccorso e, dunque, esposte a maggiore rischio contagio da Coronavirus.
Come ben sottolineato da Scienza & Vita in questi giorni, è poi profondamente ingiusto “affidare all’automatismo e alla telemedicina un rapporto medico-due pazienti” – cioè la donna e il concepito – “così delicato e bisognoso di vicinanza umana”. L’aborto on demand rischia, infatti, di privare di qualsiasi garanzia il concepito che, è bene ricordarlo, anche la legge n. 194/1978 afferma, sia pure paradossalmente e contraddittoriamente, di voler tutelare già nel suo art. 1. Non si capisce come il bambino concepito potrebbe trovare, in un aborto in solitudine, la ‘tutela’ richiesta dalla legge: finirebbero per essere violati in particolare gli art. 1 e 2 della legge in questione, nei punti cruciali in cui pongono l’accento sul valore della maternità e della vita, sulla funzione d’informazione e di sostegno anche delle gravidanze indesiderate, con la necessaria rimozione delle cause “a monte” che possono indurre le donne ad abortire. - L’appello dal quale abbiamo preso le mosse rende utile un richiamo all’insegnamento che viene dal diritto romano. Nella prospettiva del sistema giuridico romano l’aborto, come ben spiegato dai giuristi romani, dagli Imperatori e finanche dai retori, è considerato omicidio (necare homines in ventre), mentre il giuramento di Ippocrate, oggi offuscato, recita: “mai aiuterò un uomo a morire … mai una donna ad abortire”. Si tratta di principi di diritto naturale, eterni e universali, che non possono essere violati, in nessun tempo e in nessun luogo, neppure in una situazione tanto grave quale quella indotta dal Coronavirus! Non è un caso che, in un’epoca così difficile, durante la Veglia di Pasqua Papa Francesco abbia fatto un invito accorato a “mettere a tacere le grida di morte”, chiedendo la cessazione degli “aborti, che uccidono la vita innocente”. Lascia sconcertati che molti che si richiamano alla sua voce in un momento drammatico di morte, come quello che stiamo vivendo, ignorino la sua richiesta. Meraviglia anche che ogni volta che qualcuno accenni a trovare soluzioni per proteggere la donna e salvare la vita del concepito ci siano voci che si alzano ‘in favore dell’aborto’, quasi che fosse la soluzione più equa!