Massimo Introvigne, Cristianità n. 361 (2011)
1. Il Papa in Croazia. Vera e falsa nozione della coscienza
Papa Benedetto XVI ha visitato il 4 e il 5 giugno 2011 la Croazia, accolto da uno straordinario entusiasmo di popolo, mettendo al centro delle sue riflessioni come “tema centrale” (1) quello della coscienza. Il Pontefice ne aveva già parlato in occasione del viaggio apostolico nel Regno Unito dal 16 al 19 settembre 2010 (2), nel corso del quale aveva beatificato il cardinale John Henry Newman (1801-1890), della cui riflessione filosofica e teologica la coscienza è l’elemento portante. Ma proprio in Gran Bretagna Benedetto XVI aveva precisato che si tratta di un argomento vastissimo, che in quell’occasione poteva solo iniziare a impostare e su cui sarebbe tornato.
Al Teatro Nazionale di Zagabria il Pontefice ha definito quello della coscienza un tema “trasversale rispetto ai diversi campi” (3) e “fondamentale per una società libera e giusta, sia a livello nazionale che sovranazionale” (4). La modernità, ha ricordato Benedetto XVI, è spesso definita come l’epoca che mette al centro della cultura e della politica l’aspirazione alla libertà di coscienza. E in effetti “[…] le grandi conquiste dell’età moderna, cioè il riconoscimento e la garanzia della libertà di coscienza, dei diritti umani, della libertà della scienza e, quindi, di una società libera, sono da confermare e da sviluppare” (5). Questa rivendicazione della libertà di coscienza può sfuggire all’ambiguità solo “[…] mantenendo però aperte la razionalità e la libertà al loro fondamento trascendente, per evitare che tali conquiste si auto-cancellino, come purtroppo dobbiamo constatare in non pochi casi” (6).
La Chiesa trova la centralità della coscienza nella sua tradizione. Ma tutto sta a intendere che cosa s’intende per coscienza. “La qualità della vita sociale e civile, la qualità della democrazia — ha affermato il Pontefice — dipendono in buona parte da questo punto “critico” che è la coscienza, da come la si intende e da quanto si investe sulla sua formazione. Se la coscienza, secondo il prevalente pensiero moderno, viene ridotta all’ambito del soggettivo, in cui si relegano la religione e la morale, la crisi dell’occidente non ha rimedio e l’Europa è destinata all’involuzione. Se invece la coscienza viene riscoperta quale luogo dell’ascolto della verità e del bene, luogo della responsabilità davanti a Dio e ai fratelli in umanità — che è la forza contro ogni dittatura — allora c’è speranza per il futuro” (7).
Ancora una volta il Papa presenta la vicenda culturale e sociale contemporanea in termini drammatici. L’alternativa, aveva scritto nell’enciclica Spe salvi (8), è fra un sì o un no all’equilibrio armonioso tra fede e ragione. E nell’enciclica Caritas in veritate del 2009 (9) aveva mostrato il bivio fra una politica fondata sulla verità e una sull’arbitrio della tecnocrazia che considera lecito tutto quello che è tecnicamente possibile. Entrambe le alternative rimandano proprio alla questione della coscienza (10). Tutti celebrano la libertà di coscienza. Ma per il pensiero maggioritario della modernità l’appello alla coscienza, declinato in modo soggettivistico, significa che ciascuno fa quello che vuole, seguendo i suoi impulsi e i suoi desideri. Chi segue la nozione soggettivistica di coscienza, ha detto il Papa ai giovani nella veglia di preghiera con loro, si lascia “[…] disorientare da promesse allettanti di facili successi, da stili di vita che privilegiano l’apparire a scapito dell’interiorità” (11), cede “[…] alla tentazione di riporre fiducia assoluta nell’avere, nelle cose materiali, rinunciando a scorgere la verità che va oltre, come una stella alta nel cielo” (12).
L’intera società, ha affermato al suo arrivo all’aeroporto di Zagabria, finisce allora per essere dominata dalla “poca stabilità” (13) e “[…] segnata da un individualismo che favorisce una visione della vita senza obblighi e la ricerca continua di “spazi del privato”” (14). Per la grande tradizione classica e cristiana, al contrario, la coscienza è il luogo dove si ascoltano la verità e il bene, la voce che non incita a fare quello che si vuole ma quello che si deve, quanto la ragione indica come conforme al vero e al buono. Da queste due opposte nozioni di coscienza nascono due civiltà, due concezioni della famiglia, due Europe.
La Croazia si appresta a entrare nell’Unione Europea, un passo — ha detto il Papa nell’intervista sul volo verso la Croazia — “logico, giusto e necessario” (15). Ma di quale Europa si tratterà dipende da quale nozione della coscienza finirà per prevalere. I segnali che giungono dalle istituzioni comunitarie non sono sempre positivi, così che Paesi di profonde tradizioni cattoliche che entrano nell’Unione hanno qualche ragione per diffidare. “Si può capire — ha aggiunto nella stessa intervista il Pontefice — anche un certo scetticismo se un popolo numericamente non grande entra in questa Europa già fatta e già costruita. Si può capire che forse c’è una paura di un burocratismo centralistico troppo forte, di una cultura razionalistica, che non tiene sufficientemente conto della storia e della ricchezza della storia e anche della ricchezza della diversità storica” (16). Il “razionalismo astratto” (17) spinge anche a negare “le radici cristiane” (18) — ha detto il Papa al Teatro Nazionale di Zagabria — contro la “verità storica” (19) e a celebrare la nascita d’istituzioni quali ospedali e università senza “[…] comprendere il perché e il come ciò sia avvenuto” (20), non volendo ricordare che sono nate dalla Chiesa.
L’occasione della visita di Papa Benedetto XVI è stata il primo Incontro Nazionale delle Famiglie Croate. Celebrando la Messa all’Ippodromo di Zagabria, il Pontefice è tornato sul tema centrale dei due modelli. Se si adotta il modello soggettivistico della coscienza, se “si assolutizza una libertà senza impegno per la verità” (21), allora “[…] si coltiva come ideale il benessere individuale attraverso il consumo di beni materiali ed esperienze effimere, trascurando la qualità delle relazioni con le persone e i valori umani più profondi; si riduce l’amore a emozione sentimentale e a soddisfazione di pulsioni istintive, senza impegnarsi a costruire legami duraturi di appartenenza reciproca e senza apertura alla vita” (22). Ma questa separazione della coscienza dalla verità porta fatalmente a “una crescente disgregazione della famiglia” (23), a una “[…] mentalità secolarizzata che propone la convivenza come preparatoria, o addirittura sostitutiva del matrimonio” (24), a una politica che nega “[…] l’intangibilità della vita umana dal concepimento fino al suo termine naturale, il valore unico e insostituibile della famiglia fondata sul matrimonio e la necessità di provvedimenti legislativi che sostengano le famiglie nel compito di generare ed educare i figli” (25), che il Papa ha voluto ricordare anche al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel messaggio indirizzatogli al momento di lasciare l’Italia verso la Croazia (26).
Incitandoli a tornare alla nozione della coscienza ordinata alla verità il Papa ha ricordato ai croati alcuni loro grandi modelli. Anzitutto lo scienziato Ruggero Giuseppe Boscovich (1711-1787), di cui la Croazia celebra nel 2011 il terzo centenario della nascita e che Benedetto XVI aveva già ricordato in un discorso dell’11 aprile 2011 (27). Boscovich testimonia con la sua attività di scienziato l’unità tra fede e scienza e con la sua fedeltà al suo ordine, i gesuiti, perseguitato dall’Illuminismo europeo, il coraggio di fare costantemente prevalere le vere ragioni della coscienza.
Boscovich, ha detto il Papa, “[…] impersona molto bene il felice connubio tra la fede e la scienza, che si stimolano a vicenda per una ricerca al tempo stesso aperta, diversificata e capace di sintesi. La sua opera maggiore, la Theoria philosophiae naturalis, pubblicata a Vienna e poi a Venezia a metà del Settecento, porta un sottotitolo molto significativo: redacta ad unicam legem virium in natura existentium, cioè “secondo l’unica legge delle forze esistenti in natura”” (28). In quest’opera “[…] c’è lo studio di molteplici rami del sapere, ma c’è anche la passione per l’unità. E questo è tipico della cultura cattolica” (29). Gli storici della scienza, ha ricordato Papa Benedetto XVI, “dicono che la sua teoria della “continuità”, valida sia nelle scienze naturali sia nella geometria, si accorda in modo eccellente con alcune delle grandi scoperte della fisica contemporanea. Che dire? Rendiamo omaggio all’illustre Croato, ma anche all’autentico Gesuita; rendiamo omaggio al cultore della verità che sa bene quanto essa lo superi, ma che sa anche, alla luce della verità, impegnare fino in fondo le risorse della ragione che Dio stesso gli ha dato. Oltre all’omaggio, però, occorre far tesoro del metodo, dell’apertura mentale di questi grandi uomini. Ritorniamo dunque alla coscienza come chiave di volta per l’elaborazione culturale” (30).
Ai giovani, nella veglia di preghiera a loro dedicata, il Pontefice ha ricordato il beato Ivan Merz (1896-1928), un giovane intellettuale cattolico pioniere del movimento liturgico, nato in Bosnia da famiglia croata e prematuramente scomparso che — dopo studi alla Sorbona e a Vienna — aveva conseguito il dottorato a Zagabria con una tesi consacrata all’influenza della liturgia sui letterati francesi moderni. Anche il beato Merz è stato un gigante della coscienza. Il Papa lo ha ricordato come “un giovane brillante, inserito a pieno titolo nella vita sociale, che dopo la morte della giovane Greta [Teschner (1896-1913)], il suo primo amore, intraprende il cammino universitario. Durante gli anni della prima guerra mondiale si trova di fronte alla distruzione e alla morte, ma tutto ciò lo plasma e lo forgia, facendogli superare momenti di crisi e di lotta spirituale. La fede di Ivan si rafforza al punto che si dedica allo studio della Liturgia ed inizia un intenso apostolato tra i giovani stessi. Egli scopre la bellezza della fede cattolica e capisce che la vocazione della sua vita è vivere e far vivere l’amicizia con Cristo” (31).
Ma che cosa sia veramente la coscienza emerge soprattutto dalla ripetuta celebrazione che — incurante di critiche dove ancora ci si ostina a proporne un’immagine falsa e distorta di prelato indulgente verso i collaboratori croati del nazionalsocialismo — Papa Benedetto XVI ha proposto del cardinale Alojzije Viktor Stepinac (1898-1960), proclamato beato nel 1998. Dall’intervista sul volo verso la Croazia ai vespri del 5 giugno presso la sua tomba, il Pontefice ha voluto ricordare nel beato Stepinac “un grande esempio non solo per i croati, ma per tutti noi” (32), “viva immagine del Cristo, anche sofferente” (33), “[…] la cui eroica esistenza ancora oggi illumina i fedeli delle Diocesi croate” (34). Il cardinale, ha detto il Papa, è stato nel periodo nazista “difensore degli ebrei, degli ortodossi e di tutti i perseguitati, e poi, nel periodo del comunismo, “avvocato” dei suoi fedeli, specialmente dei tanti sacerdoti perseguitati e uccisi. Sì, è diventato “avvocato” di Dio su questa terra, poiché ha tenacemente difeso la verità e il diritto dell’uomo di vivere con Dio” (35).
L’aggressione comunista al beato Stepinac, ha aggiunto il Papa, “[…] segna il culmine delle violenze perpetrate contro la Chiesa durante la terribile stagione della persecuzione comunista. I cattolici croati, in particolare il clero, sono stati oggetto di vessazioni e soprusi sistematici, che miravano a distruggere la Chiesa cattolica, a partire dalla sua più alta Autorità locale. Quel tempo particolarmente duro è stato caratterizzato da una generazione di Vescovi, di sacerdoti e di religiosi pronti a morire per non tradire Cristo, la Chiesa e il Papa. La gente ha visto che i sacerdoti non hanno mai perso la fede, la speranza, la carità, e così sono rimasti sempre uniti. Questa unità spiega ciò che è umanamente inspiegabile: che un regime così duro non abbia potuto piegare la Chiesa” (36).
Il beato Stepinac è stato in Croazia il grande testimone del primato della coscienza: “proprio grazie alla sua salda coscienza cristiana ha saputo resistere a ogni totalitarismo” (37). Con parole, ha affermato il Papa, ancora attuali e urgenti oggi, “[…] il Beato Cardinale Stepinac così si esprimeva: “Uno dei più grandi mali del nostro tempo è la mediocrità nelle questioni di fede. Non facciamoci illusioni … O siamo cattolici o non lo siamo. Se lo siamo, bisogna che questo si manifesti in ogni campo della nostra vita” (Omelia nella Solennità dei SS. Pietro e Paolo, 29 giugno 1943). L’insegnamento morale della Chiesa, oggi spesso non compreso, non può essere svincolato dal Vangelo” (38).
Far prevalere l’idea corretta della coscienza contro le distorsioni del soggettivismo è un compito oggi molto difficile, “[…] in una società che cerca di relativizzare e secolarizzare tutti gli ambiti della vita” (39) come il Pontefice l’ha definita sulla tomba del beato Stepinac. L’idea di coscienza “ridotta all’ambito del soggettivismo” (40) è sostenuta da una possente propaganda ed “è nella formazione delle coscienze che la Chiesa offre alla società il suo contributo più proprio e prezioso” (41), con un’influenza diretta anche su una politica che sia “non falsamente neutra, ma ricca di contenuti umani, con un forte spessore etico” (42), sempre ispirata alla “dottrina sociale della Chiesa” (43). E questo contributo “comincia nella famiglia” (44), di cui sulla scia del beato Giovanni Paolo II (1978-2005) e dei suoi tre viaggi in Croazia il Papa ha voluto ricordare il nuovo ruolo missionario. All’Ippodromo ha citato il suo predecessore, che affermava nel 2001: “È maturata nella Chiesa l’ora della famiglia, che è anche l’ora della famiglia missionaria (Angelus, 21-10-2001)” (45).
Questo sforzo — ha affermato nella stessa occasione — non potrà essere soltanto intellettuale. Potrà riuscire solo grazie alla vita spirituale, alla preghiera, “ai Sacramenti, specie all’Eucarestia” (46). Sempre attento alle ricorrenze, Papa Benedetto XVI ha ricordato “i 600 anni del “miracolo eucaristico di Ludbreg”” (47), un evento centrale nella storia cattolica della Croazia. Nel 1411 nella cittadina croata di Ludbreg il vino nel calice di un sacerdote che dubitava della presenza reale nell’Eucarestia si trasformò miracolosamente in sangue. L’autenticità del miracolo fu riconosciuta dalla Santa Sede dopo un’indagine particolarmente severa durata quasi cento anni. Nel 1739 il parlamento croato attribuì alla reliquia di Ludbreg la salvezza del Paese dalla peste. Non mancano nuove pesti che oggi minacciano la Croazia, l’Europa e il mondo intero. La memoria del miracolo di Ludbreg ci rammenta che, come ha detto il Papa, se talora pensiamo che l’efficacia della missione cristiana “[…] dipenda principalmente da un’attenta programmazione e della sua intelligente messa in opera” (48), in realtà “prima di qualsiasi nostra risposta” (49) viene l’iniziativa gratuita di Dio che solo ispira e salva.
2. San Marino. Il primato della “dimensione verticale”
Il 19 giugno 2011 Papa Benedetto XVI ha visitato la diocesi di San Marino-Montefeltro, retta da mons. Luigi Negri, incontrando i giovani a Pennabilli e le autorità e la popolazione di San Marino nel Palazzo Pubblico e nella Messa celebrata nello Stadio di Serravalle. La breve ma intensa visita ha avuto a tema il primato della dimensione verticale dell’esistenza che oggi, in una situazione di crisi, è di fatto indispensabile per fondare e difendere i diritti fondamentali della persona. Un accostamento meramente immanente e orizzontale, che prescinda dalla trascendenza e da Dio, non basta.
Il tema fondamentale è stato illustrato nel bel discorso che il Papa ha tenuto ai giovani a Pennabilli. Ogni giovane, infatti, porta in sé la domanda fondamentale: “[…] cosa devo fare, come devo vivere per vivere realmente, per trovare la vita” (50).
“Dentro questo interrogativo — ha detto il Papa — possiamo vedere racchiusa l’ampia e variegata esperienza umana che si apre alla ricerca del significato, del senso profondo della vita: come vivere, perché vivere” (51). Oggi forze potenti tentano di annegare questa domanda in un relativismo assoluto, secondo il quale la domanda è inutile, perché comunque non ci sono risposte. Ma in realtà “l’uomo non può vivere senza questa ricerca della verità su se stesso — che cosa sono io, per che cosa devo vivere — verità che spinga ad aprire l’orizzonte e ad andare al di là di ciò che è materiale, non per fuggire dalla realtà, ma per viverla in modo ancora più vero, più ricco di senso e di speranza, e non solo nella superficialità” (52). Infatti, “i grandi interrogativi che portiamo dentro di noi rimangono sempre, rinascono sempre: chi siamo?, da dove veniamo?, per chi viviamo? E queste questioni sono il segno più alto della trascendenza dell’essere umano e della capacità che abbiamo di non fermarci alla superficie delle cose. Ed è proprio guardando in noi stessi con verità, con sincerità e con coraggio che intuiamo la bellezza, ma anche la precarietà della vita e sentiamo un’insoddisfazione, un’inquietudine che nessuna cosa concreta riesce a colmare. Alla fine tutte le promesse si dimostrano spesso insufficienti” (53).
Questa inquietudine non va affatto, come alcuni tentano di fare, messa a tacere o eliminata. Al contrario, il Pontefice ha invitato i giovani “[…] a prendere coscienza di questa sana e positiva inquietudine, a non aver paura di porvi le domande fondamentali sul senso e sul valore della vita. Non fermatevi alle risposte parziali, immediate, certamente più facili al momento e più comode, che possono dare qualche momento di felicità, di esaltazione, di ebbrezza, ma che non vi portano alla vera gioia di vivere, quella che nasce da chi costruisce — come dice Gesù — non sulla sabbia, ma sulla solida roccia. Imparate allora a riflettere, a leggere in modo non superficiale, ma in profondità la vostra esperienza umana: scoprirete, con meraviglia e con gioia, che il vostro cuore è una finestra aperta sull’infinito! Questa è la grandezza dell’uomo e anche la sua difficoltà” (54).
Quando non elimina la domanda, il pensiero moderno affida la risposta soltanto alla tecnica e alla scienza. “Una delle illusioni prodotte nel corso della storia — ha proseguito il Papa — è stata quella di pensare che il progresso tecnico-scientifico, in modo assoluto, avrebbe potuto dare risposte e soluzioni a tutti i problemi dell’umanità” (55). Oggi noi “[…] vediamo che non è così. In realtà, anche se ciò fosse stato possibile, nulla e nessuno avrebbe potuto cancellare le domande più profonde sul significato della vita e della morte, sul significato della sofferenza, di tutto, perché queste domande sono scritte nell’animo umano, nel nostro cuore, e oltrepassano la sfera dei bisogni. L’uomo, anche nell’era del progresso scientifico e tecnologico — che ci ha dato tanto — rimane un essere che desidera di più, più che la comodità e il benessere, rimane un essere aperto alla verità intera della sua esistenza, che non può fermarsi alle cose materiali, ma si apre ad un orizzonte molto più ampio” (56).
I giovani sanno intuitivamente che la vita non si riduce alla sua dimensione tecnico-scientifica. “Tutto questo — ha detto Papa Benedetto XVI — voi lo sperimentate continuamente ogni volta che vi domandate: ma perché? Quando contemplate un tramonto, o una musica muove in voi il cuore e la mente; quando provate che cosa vuol dire amare veramente; quando sentite forte il senso della giustizia e della verità, e quando sentite anche la mancanza di giustizia, di verità e di felicità” (57).
La scelta cui la cultura moderna ci pone di fronte — si tratta di un tema ricorrente nel Magistero del Pontefice — è drammatica e alternativa. O rimanere imprigionati nella dimensione orizzontale e immanente, dichiarando che è la sola che esiste, o aprirsi alla dimensione verticale e trascendente. Infatti “[…] l’esperienza umana è una realtà che ci accomuna tutti, ma ad essa si possono dare diversi livelli di significato. Ed è qui che si decide in che modo orientare la propria vita e si sceglie a chi affidarla, a chi affidarsi. Il rischio è sempre quello di rimanere imprigionati nel mondo delle cose, dell’immediato, del relativo, dell’utile, perdendo la sensibilità per ciò che si riferisce alla nostra dimensione spirituale” (58). Certamente “non si tratta affatto di disprezzare l’uso della ragione o di rigettare il progresso scientifico, tutt’altro; si tratta piuttosto di capire che ciascuno di noi non è fatto solo di una dimensione “orizzontale”, ma comprende anche quella “verticale”. I dati scientifici e gli strumenti tecnologici non possono sostituirsi al mondo della vita, agli orizzonti di significato e di libertà, alla ricchezza delle relazioni di amicizia e di amore” (59).
In realtà — il Papa lo ricorda in tutti i suoi viaggi — questa scelta è antica. L’Europa, ogni nazione europea, è figlia delle sue radici cristiane, cioè è figlia delle scelte per la dimensione verticale delle prime comunità cristiane che sono all’origine della sua storia. Nella Messa allo Stadio di Serravalle il Pontefice ha ricordato che questo è vero anche per San Marino “nel corso della sua storia antica e gloriosa” (60). Come fa in tutti i Paesi, il Papa ne ha ripercorso la storia. “L’evangelizzazione di questa terra — ha ricordato — è attribuita ai Santi scalpellini Marino e Leone, i quali alla metà del III secolo dopo Cristo sarebbero approdati a Rimini dalla Dalmazia. Per la loro santità di vita sarebbero stati consacrati l’uno sacerdote e l’altro diacono dal Vescovo Gaudenzio e da lui inviati nell’entroterra, l’uno sul monte Feretro, che poi prese il nome di San Leo, e l’altro sul monte Titano, che poi prese il nome di San Marino. Al di là delle questioni storiche — che non è nostro compito approfondire — interessa affermare come Marino e Leone portarono nel contesto di questa realtà locale, con la fede nel Dio rivelatosi in Gesù Cristo, prospettive e valori nuovi, determinando la nascita di una cultura e di una civiltà incentrate sulla persona umana, immagine di Dio e perciò portatore di diritti precedenti ogni legislazione umana. La varietà delle diverse etnie — romani, goti e poi longobardi — che entravano in contatto tra loro, qualche volta anche in modo molto conflittuale, trovarono nel comune riferimento alla fede un fattore potente di edificazione etica, culturale, sociale e, in qualche modo, politica. Era evidente ai loro occhi che non poteva ritenersi compiuto un progetto di civilizzazione fino a che tutti i componenti del popolo non fossero diventati una comunità cristiana vivente e ben strutturata e edificata sulla fede nel Dio Trinitario. A ragione, dunque, si può dire che la ricchezza di questo popolo, la vostra ricchezza, cari Sammarinesi, è stata ed è la fede, e che questa fede ha creato una civiltà veramente unica” (61). Non solo: di San Marino il Papa ha voluto specialmente ricordare — un richiamo di questi tempi mai superfluo — “[…] l’assoluta fedeltà al Vescovo di Roma, al quale questa Chiesa ha sempre guardato con devozione ed affetto; come pure l’attenzione dimostrata verso la grande tradizione della Chiesa orientale e la profonda devozione verso la Vergine Maria” (62).
Ricordare fedelmente le radici cristiane, dunque, ma “[…] il modo migliore di apprezzare un’eredità è quello di coltivarla e di arricchirla” (63). Ci troviamo, ha detto il Papa, “in un momento tra i più decisivi della storia” (64), caratterizzato da “[…] profonde e rapide trasformazioni culturali, sociali, economiche, politiche, che hanno determinato nuovi orientamenti e modificato mentalità, costumi e sensibilità” (65). Trasformazioni non sempre positive: “non mancano difficoltà e ostacoli, dovuti soprattutto a modelli edonistici che ottenebrano la mente e rischiano di annullare ogni moralità. Si è insinuata la tentazione di ritenere che la ricchezza dell’uomo non sia la fede, ma il suo potere personale e sociale, la sua intelligenza, la sua cultura e la sua capacità di manipolazione scientifica, tecnologica e sociale della realtà. Così, anche in queste terre, si è iniziato a sostituire la fede e i valori cristiani con presunte ricchezze, che si rivelano, alla fine, inconsistenti e incapaci di reggere la grande promessa del vero, del bene, del bello e del giusto che per secoli i vostri avi hanno identificato con l’esperienza della fede. Non vanno, poi, dimenticate la crisi di non poche famiglie, aggravata dalla diffusa fragilità psicologica e spirituale dei coniugi, come pure la fatica sperimentata da molti educatori nell’ottenere continuità formativa nei giovani, condizionati da molteplici precarietà, prima fra tutte quella del ruolo sociale e della possibilità lavorativa” (66).
Non si tratta di puri fenomeni sociali, ma di conseguenze — dirette o indirette — della perdita della dimensione verticale dell’esistenza. Nell’incontro con le autorità di San Marino nel Palazzo Pubblico il Papa è tornato su un concetto che ha più volte esposto negli ultimi anni: la “sana laicità” (67), la quale si manifesta quando le istituzioni pubbliche, che per loro natura presiedono alla dimensione orizzontale della vita umana, non negano la dimensione verticale ma vi si aprono, senza confusione e con una disponibilità alla collaborazione. E in questo caso, ha affermato il Pontefice, “la Chiesa, rispettosa della legittima autonomia di cui il potere civile deve godere, collabora con esso al servizio dell’uomo, nella difesa dei suoi diritti fondamentali, di quelle istanze etiche che sono iscritte nella sua stessa natura” (68).
Una sana laicità che non rifiuti la dimensione verticale, pur affermando la propria legittima autonomia, non può negare la legge naturale di cui la Chiesa sa che Dio è l’autore, e dunque i princìpi non negoziabili. Allo Stato che voglia adottare il criterio della sana laicità il Papa chiede “[…] legislazioni civili [che] promuovano e tutelino sempre la vita umana, dal concepimento fino al suo spegnersi naturale. Inoltre, chiede per la famiglia il dovuto riconoscimento e un sostegno fattivo. Ben sappiamo, infatti, come nell’attuale contesto l’istituzione familiare venga messa in discussione, quasi nel tentativo di disconoscerne l’irrinunciabile valore. A subirne le conseguenze sono le fasce sociali più deboli, specialmente le giovani generazioni, più vulnerabili e perciò più facilmente esposte al disorientamento, a situazioni di auto-emarginazione ed alla schiavitù delle dipendenze. Talvolta le realtà educative faticano a dare ai giovani risposte adeguate e, venendo meno il sostegno familiare, spesso essi si vedono precluso un normale inserimento nel tessuto sociale. Anche per questo è importante riconoscere che la famiglia, così come Dio l’ha costituita, è il principale soggetto che può favorire una crescita armoniosa e far maturare persone libere e responsabili, formate ai valori profondi e perenni” (69).
Dopo avere messo al primo posto — come sempre — i valori non negoziabili della vita, della famiglia e dell’educazione, il Papa ha ricordato anche altri valori: il lavoro e l’accoglienza, così come nella recita dell’Angelus ha chiesto attenzione ai rifugiati. La crisi economica, ha affermato tornando su un tema della sua ultima enciclica, “[…] spinge a riprogettare il cammino e diventa occasione di discernimento (cfr Enc. Caritas in veritate, 21); essa infatti pone l’intero tessuto sociale di fronte all’impellente esigenza di affrontare i problemi con coraggio e senso di responsabilità, con generosità e dedizione, facendo riferimento a quell’amore per la libertà che distingue il vostro popolo. A questo riguardo, vorrei ripetervi le parole rivolte dal Beato Giovanni XXIII [1958-1963] ai Reggenti della Repubblica di San Marino, durante una loro visita ufficiale presso la Santa Sede: “L’amore della libertà — diceva Papa Giovanni — vanta tra voi squisitamente radici cristiane, e i vostri padri, cogliendone il vero significato, vi insegnarono a non disgiungere mai il suo nome da quello di Dio, che ne è il suo insostituibile fondamento” (Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni XXIII, I, 341-343: AAS 60[1959], 423-424). Questo monito del grande Papa conserva ancora oggi il suo valore imperituro: la libertà che le istituzioni sono chiamate a promuovere e difendere a livello sociale, ne manifesta una più grande e profonda, quella libertà animata dallo Spirito di Dio, la cui presenza vivificante nel cuore dell’uomo dona alla volontà la capacità di orientarsi e determinarsi per il bene” (70).
La citazione di Papa Roncalli non è un mero richiamo storico e torna all’essenziale del viaggio pontificio. Anche i problemi politici, alla fine, si risolvono solo con l’apertura alla dimensione verticale e all’incontro con Dio, “bontà che non ci lascia” (71) e che, pur potendo distruggere il peccatore, viene invece a offrirgli il perdono. “Nel mondo c’è il male, c’è egoismo, c’è cattiveria e Dio potrebbe venire per giudicare questo mondo, per distruggere il male, per castigare coloro che operano nelle tenebre. Invece Egli mostra di amare il mondo, di amare l’uomo, nonostante il suo peccato, e invia ciò che ha di più prezioso: il suo Figlio unigenito. E non solo Lo invia, ma ne fa dono al mondo. Gesù è il Figlio di Dio che è nato per noi, che è vissuto per noi, che ha guarito i malati, perdonato i peccati, accolto tutti” (72).
Occorre però comprendere bene in che cosa consista l’apertura alla dimensione verticale, che non è un mero esercizio intellettuale. Ancora ai giovani il Papa ha voluto ricordare che “l’incontro con Cristo non si risolve nell’adesione ad una dottrina, ad una filosofia, ma ciò che Lui vi propone è di condividere la sua stessa vita e così imparare a vivere, imparare che cosa è l’uomo, che cosa sono io” (73). Alla fine, “la parola di Cristo mostra che la vostra vita trova significato nel mistero di Dio, che è Amore: un Amore esigente, profondo, che va oltre la superficialità! Che cosa sarebbe la vostra vita senza questo amore? Dio si prende cura dell’uomo dalla creazione fino alla fine dei tempi, quando porterà a compimento il suo progetto di salvezza. Nel Signore Risorto abbiamo la certezza della nostra speranza! Cristo stesso, che è andato nelle profondità della morte ed è risorto, è la speranza in persona, è la Parola definitiva pronunciata sulla nostra storia, è una parola positiva” (74). Nessun’altra parola salva.
Note:
(1) Benedetto XVI, Incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i “leaders” religiosi nel Teatro Nazionale Croato di Zagabria, del 4-6-2011, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 6/7-6-2011.
(2) Cfr. il mio In viaggio con il beato Newman. La visita di Papa Benedetto XVI in Gran Bretagna, in Cristianità, anno XXXVIII, n. 357, luglio-settembre 2010, pp. 1-32.
(3) Benedetto XVI, Incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i “leaders” religiosi nel Teatro Nazionale Croato di Zagabria, cit.
(4) Ibidem.
(5) Ibidem.
(6) Ibidem.
(7) Ibidem.
(8) Cfr. Idem, Lettera enciclica “Spe salvi” sulla speranza cristiana, del 30-11-2007.
(9) Cfr. Idem, Lettera enciclica “Caritas in veritate” sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009.
(10) Cfr. il mio Tu sei Pietro. Benedetto XVI contro la dittatura del relativismo, Sugarco, Milano 2011.
(11) Benedetto XVI, Veglia di preghiera con i giovani nella piazza del Bano Josip Jelačič di Zagabria, del 4-6-2011, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 6/7-6-2011.
(12) Ibidem.
(13) Idem, Cerimonia di benvenuto nell’Aeroporto Internazionale di Zagreb Pleso, del 4-6-2011, ibid. 5-6-2011.
(14) Ibidem.
(15) Idem, Incontro con i giornalisti durante il volo verso la Croazia, del 4-6-2011, ibidem.
(16) Ibidem.
(17) Idem, Incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i “leaders” religiosi nel Teatro Nazionale Croato di Zagabria, cit.
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Ibidem.
(21) Idem, Santa Messa in occasione della Giornata Nazionale delle famiglie cattoliche croate nell’Ippodromo di Zagabria, del 5-6-2011, ibid. 6/7-6-2011.
(22) Ibidem.
(23) Ibidem.
(24) Ibidem.
(25) Ibidem.
(26) Cfr. Idem, Telegramma al Presidente della Repubblica Italiana, del 4-6-2011, ibid. 5-6-2011.
(27) Cfr. Idem, All’Ambasciatore di Croazia presso la Santa Sede, dell’11-4-2011, ibid. 12-4-2011.
(28) Idem, Incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i “leaders” religiosi nel Teatro Nazionale Croato di Zagabria, cit.
(29) Ibidem.
(30) Ibidem.
(31) Idem, Veglia di preghiera con i giovani nella piazza del Bano Josip Jelačič di Zagabria, cit.
(32) Idem, Incontro con i giornalisti durante il volo verso la Croazia, cit.
(33) Idem, Celebrazione dei Vespri con Vescovi, Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Seminaristi, e preghiera presso la tomba del Beato Alojzije Viktor Stepinac nella Cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria e di Santo Stefano a Zagabria, del 5-6-2011, ibid. 6/7-6-2011.
(34) Ibidem.
(35) Ibidem.
(36) Ibidem.
(37) Ibidem.
(38) Ibidem.
(39) Ibidem.
(40) Idem, Incontro con esponenti della società civile, del mondo politico, accademico, culturale e imprenditoriale, con il Corpo Diplomatico e con i “leaders” religiosi nel Teatro Nazionale Croato di Zagabria, cit.
(41) Ibidem.
(42) Ibidem.
(43) Ibidem.
(44) Ibidem.
(45) Idem, Santa Messa in occasione della Giornata Nazionale delle famiglie cattoliche croate nell’Ippodromo di Zagabria, cit.
(46) Ibidem.
(47) Ibidem.
(48) Ibidem.
(49) Ibidem.
(50) Idem, Incontro con giovani della Diocesi di San Marino-Montefeltro in Piazza Vittorio Emanuele a Pennabilli, del 19-6-2011, ibid. 20/21-6-2011.
(51) Ibidem.
(52) Ibidem.
(53) Ibidem.
(54) Ibidem.
(55) Ibidem.
(56) Ibidem.
(57) Ibidem.
(58) Ibidem.
(59) Ibidem.
(60) Idem, Concelebrazione Eucaristica nello Stadio di Serravalle a San Marino, del 19-6-2011, ibidem.
(61) Ibidem.
(62) Ibidem.
(63) Ibidem.
(64) Ibidem.
(65) Ibidem.
(66) Ibidem.
(67) Idem, Incontro ufficiale con i Membri del Governo, del Congresso e del Corpo Diplomatico nella Sala del Consiglio Grande e Generale del Palazzo Pubblico a San Marino, del 19-6-2011, ibidem.
(68) Ibidem.
(69) Ibidem.
(70) Ibidem.
(71) Idem, Concelebrazione Eucaristica nello Stadio di Serravalle a San Marino, cit.
(72) Ibidem.
(73) Idem, Incontro con giovani della Diocesi di San Marino-Montefeltro in Piazza Vittorio Emanuele, cit.
(74) Ibidem.