MARCO INVERNIZZI, Cristianità n. 237-238 (1995)
Vi sono ricerche e documentazioni che non illustrano tematiche non note e non introducono nuove problematiche, ma servono a reimpostare o a chiarire questioni note ma irrisolte o controverse: fa certamente parte di questa categoria l’opera Murri, Sturzo, De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898-1906), pubblicata da don Lorenzo Bedeschi nel 1994 e dedicata alla ricostruzione, sulla base della documentazione epistolare, del rapporto sviluppatosi, nell’ambito del movimento cattolico italiano, fra don Romolo Murri, don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, a cavallo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento (1).
Le origini della democrazia cristiana in Italia
La questione irrisolta e controversa che l’opera di don Lorenzo Bedeschi contribuisce a chiarire riguarda le origini del movimento democratico cristiano in Italia.
Infatti, è opinione comune che tale movimento sia nato nel 1919 con la fondazione del PPI, il Partito Popolare Italiano, per iniziativa di don Luigi Sturzo, sacerdote nativo di Caltagirone, in Sicilia, e sia poi continuato nel secondo dopoguerra con il partito della DC, la Democrazia Cristiana, di Alcide De Gasperi, per arrivare infine nel 1994, attraverso mezzo secolo di governi a egemonia democristiana, allo scioglimento della DC e alla rifondazione del PPI per iniziativa, fra gli altri, dell’ultimo segretario della DC e primo del PPI, on. Mino Martinazzoli.
Contro questa vulgata, la ricerca di don Lorenzo Bedeschi contribuisce a restituire il giusto rilievo che ebbe, nelle origini della democrazia cristiana, la figura di don Romolo Murri.
Nato a Gualdo, nelle Marche, nel 1870, quando si compiva la Rivoluzione italiana con la Breccia di Porta Pia, Romolo Murri resta ancor oggi una figura scomoda e imbarazzante nella storia del movimento cattolico, a causa delle sue vicissitudini intellettuali e politiche, oltre che umane, che hanno indotto la storiografia cattolica a occultare il suo ruolo e la sua importanza. Già punto di riferimento della corrente democratico-cristiana all’interno dell’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici durante il pontificato di Papa Leone XIII, fondatore di riviste come Vita Nova, nel 1895, e Cultura sociale, nel 1898 — con le quali comincerà a porre le premesse ideologiche della democrazia cristiana — don Romolo Murri entrerà in profondo contrasto con i cattolici intransigenti, che guidavano l’Opera dei Congressi, e in particolare con l’avvocato veneziano Giambattista Paganuzzi, presidente del Comitato Permanente dell’organismo negli ultimi anni dell’Ottocento. Con il pontificato di Papa san Pio X, Romolo Murri entrerà in contrasto direttamente con la massima autorità ecclesiastica, soprattutto in seguito allo scioglimento dell’Opera dei Congressi voluto dal Papa nel 1903, quando il nuovo presidente dell’Opera, Giovanni Grosoli, sembrerà essere caduto in ostaggio proprio della corrente democratico-cristiana guidata da don Romolo Murri. Allora, il sacerdote marchigiano deciderà di continuare per la sua strada, fondando la Lega Democratica Nazionale, cioè quel movimento politico autonomo dalla Gerarchia ecclesiastica che era sempre stato al vertice dei suoi desideri, giungendo poi a solidarizzare pubblicamente con le idee moderniste che erano state condannate dal Magistero della Chiesa, con l’enciclica Pascendi dominici gregis, del 1907, e con la lettera agli arcivescovi e ai vescovi francesi Notre charge apostolique, del 1910 (2). Arriveranno così la sospensione a divinis, nel 1907, e quindi la scomunica nel 1909, in seguito alla sua candidatura al Parlamento in una lista sostenuta dalla Lega Democratica Nazionale, dai radicali e dai socialisti; e la vicenda di Romolo Murri continuerà con il suo matrimonio in Campidoglio nel 1912, la nuova candidatura nelle file dei radicali alle elezioni politiche del 1913, che questa volta lo vedranno sconfitto, la simpatia per il fascismo durante la nuova attività di giornalista presso il Resto del Carlino e, infine, il suo ritorno alla comunione con la Chiesa cattolica poco prima della morte, avvenuta 12 marzo 1944.
Il modernismo di don Romolo Murri, che manifesterà pubblicamente soltanto dopo la scomunica, era originale come quello di tutti gli altri modernisti, diventati — dopo aver rotto la comunione con la Santa Sede — chiesa a sé stessi. Esso aveva probabilmente avuto origine con il tentativo di unire l’insegnamento del cardinale gesuita Louis Billot (1846-1931) — che era stato suo insegnante di dogmatica all’Università Gregoriana, a Roma — con quello dello studioso marxista Antonio Labriola (1843-1904) — del quale aveva seguito le lezioni all’università di Roma —; si trattava così, secondo il progetto di don Romolo Murri, di combinare la filosofia scolastica del teologo francese con il materialismo storico dello studioso socialista italiano, in particolare la “tecnica logica” del primo con la supposta “attenzione alla realtà” caratteristica del secondo (3).
Come per ogni modernista, la sua posizione nasceva dal disagio di fronte all’affermarsi di una cultura anticristiana e dall’inadeguatezza con cui la cultura cattolica e le associazioni ufficiali del movimento cattolico cercavano di fronteggiare il processo di secolarizzazione in atto. Ma questa legittima preoccupazione portava don Romolo Murri — e come lui, in genere, i modernisti di tutte le epoche — ad assumere numerosi atteggiamenti negativi: un complesso d’inferiorità e un tentativo di emulazione nei confronti di quanto cresceva fuori dalla Chiesa, in particolare verso il concetto di democrazia mutuato dai princìpi liberali della Rivoluzione francese (4); il tentativo impossibile di conciliare lo sviluppo immanentistico del pensiero moderno con la filosofia dell’essere; infine, l’insofferenza verso le posizioni della Gerarchia, che lo avrebbe portato alla ribellione. Su tutto, inoltre, la mancanza contro la virtù teologale della speranza, che rende consapevoli del fatto che la Chiesa si salva per volontà del suo Fondatore, con i tempi e i modi scelti dal Signore Gesù Cristo, e che, se è compito dei cattolici annunciare fedelmente la verità perenne cercando anche le modalità più opportune per tale annuncio nei diversi tempi storici, sono preventivamente dovuti attenzione e rispetto alle scelte pastorali effettuate dalla Gerarchia.
L’incontro con don Luigi Sturzo
Dall’intensa azione culturale di don Romolo Murri nell’ultimo scorcio del secolo XIX nascono il Circolo Universitario Cattolico dedicato a san Sebastiano, fondato a Roma nel 1894, con il quindicinale di sociologia, letteratura e cose d’università Vita Nova — pubblicato nel biennio 1895-1896 — e, l’anno successivo, la FUCI, la Federazione Universitaria Cattolica Italiana, che ricevette anche una lettera d’approvazione da parte di Papa Leone XIII il 7 gennaio 1896, ma che nel 1898, durante il Congresso Cattolico di Fiesole, verrà annessa d’autorità all’Opera dei Congressi.
Il 3 settembre 1900 il sacerdote marchigiano fonda a Roma la Democrazia Cristiana Italiana, alla presenza di un centinaio di giovani, fra i quali molti avranno un ruolo significativo nella storia del movimento democratico-cristiano non soltanto italiano, come per esempio Marc Sangnier, fondatore del Sillon, il movimento politico francese condannato da Papa san Pio X con la già ricordata lettera Notre charge apostolique. E fra i fondatori vi è don Luigi Sturzo.
I due sacerdoti si erano conosciuti a Roma alla fine dell’Ottocento e ne era nato un rapporto di stima e di amicizia che durerà fino al 1906, coinvolgendo anche le rispettive famiglie.
Nato a Caltagirone, in Sicilia, un anno prima di Romolo Murri, don Luigi Sturzo comincia a collaborare alle riviste promosse da don Romolo Murri e a far conoscere il movimento democratico-cristiano nella sua terra d’origine: “[…] fu Murri a spingermi definitivamente verso la democrazia cristiana. Da allora vi sono rimasto fedele”, scriverà nel 1946 in un messaggio inviato alla sezione della DC di Gualdo di Macerata, in occasione dello scoprimento di una lapide sulla casa natia dell’antico leader democratico-cristiano da parte della locale sezione dell’appena ricostituita DC (5).
Don Romolo Murri gli pubblica i primi lavori, Conservatori cattolici e Democratici cristiani, nel 1900, L’Organizzazione di classe e le Unioni professionali, nel 1901, e Sintesi Sociali, nel 1906, e viene invitato a Caltagirone da don Luigi Sturzo per tenervi una serie di conferenze.
Ma, mentre la collaborazione fra i due esponenti della democrazia cristiana viene trattata con molta discrezione, per decenni, dagli studiosi del movimento cattolico, in particolare da Gabriele De Rosa, il principale biografo di don Luigi Sturzo, don Lorenzo Bedeschi mette in risalto l’influenza esercitata da don Romolo Murri sul sacerdote di Caltagirone, distinguendone quattro ambiti ben precisi: ecclesiastico, letterario, culturale e socio-politico (6).
Don Romolo Murri è il maestro e don Luigi Sturzo ne subisce profondamente l’influenza — in questi termini si può schematizzare la tesi di don Lorenzo Bedeschi —, così che il sacerdote di Caltagirone gli è sensibilmente debitore, soprattutto sul piano ideologico. Si può senz’altro immaginare una eccessiva enfatizzazione di questo rapporto di sequela da parte di don Lorenzo Bedeschi, che non nasconde il suo tentativo — non soltanto attraverso quest’opera, ma con tutta la sua produzione intellettuale — di rivalutare la figura di don Romolo Murri come anticipatore della democrazia cristiana e del riformismo politico-religioso, che soltanto in seguito sarebbe penetrato nel mondo cattolico. Ma i fatti che porta a fondamento della sua tesi sono reali, così come fondata appare la tesi secondo cui don Romolo Murri verrà “dimenticato” perché, essendo stato scomunicato, poteva soltanto danneggiare l’opera di don Luigi Sturzo, almeno fino alla riconciliazione con la Chiesa del sacerdote marchigiano, nel 1944. Sarà lo stesso don Luigi Sturzo a ricordarlo, ancora nel 1946: “Ora giustamente rievochiamo la sua figura di pioniere della democrazia cristiana. Dio misericordioso ci ha concesso di poter dire che Murri è nostro, nonostante la temporanea deviazione in zone ideali e politiche non nostre” (7).
Tuttavia appare anche una reale differenza fra i due personaggi, una distinzione che potrebbe essere considerata soltanto tattica — don Luigi Sturzo pragmatico e don Romolo Murri “idealista” —, ma che mi sembra riveli anche una sostanziale indifferenza di don Luigi Sturzo verso le tematiche dottrinali sollevate dal modernismo; un’indifferenza, va aggiunto, anche verso la lotta contro il modernismo, e questo mi pare molto più grave, un’indifferenza che, per esempio, non aveva un altro democratico-cristiano, ma sicuramente ortodosso e fedele al Magistero, qual era Giuseppe Toniolo.
Don Luigi Sturzo comincia a manifestare i primi dubbi nei confronti delle modalità d’azione del fondatore della democrazia cristiana già durante gli ultimi anni del pontificato di Papa Leone XIII; in particolare manifesta le sue perplessità in una lettera a don Romolo Murri del 18 luglio 1903, nella quale, con parole ferme, lo accusa di danneggiare il movimento democratico-cristiano con prese di posizione polemiche, com’era avvenuto poco tempo prima quando don Romolo Murri aveva scritto e pubblicato una lettera di forte contestazione contro Giuseppe Toniolo (8). Comincia a emergere l’atteggiamento di grande accortezza operativa che caratterizzerà l’azione del futuro fondatore del PPI, di chi sa aspettare i tempi favorevoli per cercare di raggiungere i propri obbiettivi, di chi, soprattutto, non vuole inimicarsi l’autorità ecclesiastica. Gli ideali democratico-cristiani rimangono tuttora comuni e le parole di don Luigi Sturzo lo confermano: egli è infatti preoccupato che le finalità del movimento possano essere pregiudicate dai colpi di testa dell’amico. “Io penso che il nostro è il momento di disinteressarsi di tutto il movimento interno in quanto è pro o contro il modernismo; e di tirar dritto nel campo della cultura e nel campo delle opere pratiche”, scriverà in una delle ultime lettere a don Romolo Murri, nel maggio del 1906, aggiungendo: “Non credere che io sia o voglia essere un opportunista o un prudentone […]. Io invece sono e voglio essere pratico; cioè arrivare allo scopo intero e senza transazioni; ma anche studiando il terreno sul quale si cammina, per non cadere in trabocchetti, e per non scivolare e perdere quel che si è guadagnato” (9).
Il distacco
Quando don Romolo Murri, ormai in rotta con il nuovo Papa, san Pio X, si lancia nell’avventura della Lega Democratica Nazionale, don Luigi Sturzo decide di separare le proprie responsabilità da quelle dell’amico e collaboratore. Lo fa con un’ultima lettera, scritta il 18 giugno 1906, nella quale prende commiato dal movimento e dall’amico, consigliandogli di dedicarsi all’attività intellettuale in qualche università, ma di uscire definitivamente dalla politica operativa.
Don Romolo Murri era ormai diventato un amico scomodo: l’anno successivo verrà sospeso a divinis, tre anni dopo, nel 1909, scomunicato, e nel 1912, con il matrimonio in Campidoglio, cesserà ogni rapporto con il mondo cattolico.
Tuttavia un certo rapporto fra i due continuerà, seppure indirettamente, soprattutto dopo la fondazione del PPI nel 1919. Nonostante il tentativo di sottacere le origini murriane del movimento democratico-cristiano, e quindi del PPI, non si poteva impedire l’emergere della polemica fra don Romolo Murri, che rivendicava la paternità del movimento e la continuità con esso del PPI, e quanti le negavano, fra i quali si distingueva il capufficio stampa del PPI, don Giulio De Rossi. E la polemica infatti scoppiò, con don Romolo Murri ancora vivente, sempre pronto a rivendicare la paternità della sua creatura (10).
Un problema irrisolto: modernismo e prima democrazia cristiana
Rimane tuttavia un problema irrisolto, almeno sulla base della documentazione presentata da don Lorenzo Bedeschi, e cioè la portata del modernismo nella prima democrazia cristiana fondata da don Romolo Murri.
Secondo le indicazioni di don Lorenzo Bedeschi, don Luigi Sturzo sembra staccarsi da don Romolo Murri per non incorrere nelle sanzioni disciplinari che stavano per abbattersi sul sacerdote di Gualdo, e che erano largamente prevedibili già nel 1906. Lo stesso don Romolo Murri, del resto, giudicava don Luigi Sturzo insensibile alla problematica modernista, in quanto esclusivamente proteso all’azione amministrativa e politica, sostenendo oltretutto che la prima democrazia cristiana non aveva nulla a che fare con il modernismo. Tuttavia, in una intervista al Giornale d’Italia durante il secondo Congresso del PPI, svoltosi a Napoli nel 1920 — intervista cui don Lorenzo Bedeschi non fa riferimento — don Romolo Murri sostiene la tesi che la differenza fra lui e i popolari consisteva proprio nel fatto che la sua riforma andava ben al di là dell’aspetto politico, in quanto prevedeva proprio la riforma della Chiesa nel senso auspicato dal modernismo (11).
Così, le domande che meriterebbero una risposta sono numerose, e vale la pena almeno di enunciarle:
- La condanna di don Romolo Murri era stata comminata soltanto per ragioni disciplinari inerenti alla sua candidatura alle elezioni, oppure implicava la sua appartenenza a una prospettiva modernista, almeno al modernismo politico-sociale condannato nella Notre charge apostolique?
- Quanto di queste supposte posizioni moderniste — in particolare riguardo al concetto di democrazia intesa come sovranità popolare — entrerà a far parte del bagaglio ideologico di don Luigi Sturzo, attraverso don Romolo Murri, e, quindi, nella cultura politica del PPI?
- Quando don Luigi Sturzo scrive che la prima democrazia cristiana ebbe molto a soffrire dall’incontro con il modernismo (12), si riferisce soltanto all’aspetto disciplinare, in quanto rischiò di essere annientata dalla reazione antimodernista durante il pontificato di Papa san Pio X, oppure intendeva parlare della sofferenza che scaturiva da un accostamento indebito fra due posizioni inconciliabili, quella modernista e quella democratico-cristiana “ortodossa”, che venne soltanto lambita dal modernismo senza esserne contagiata?
Alcide De Gasperi e don Romolo Murri
Quando, alla fine della seconda guerra mondiale, Alcide De Gasperi ricostruisce il partito democratico-cristiano, non ha nessuna remora a riprendere il nome che le aveva attribuito don Romolo Murri nel 1900. Anche il suo ufficio stampa — ricorda sempre don Lorenzo Bedeschi —, ristampando il vecchio libro di don Giulio De Rossi sulle origini del movimento democratico-cristiano, diversamente da quanto era stato fatto nel 1919, lo corregge mettendo adeguatamente in risalto la continuità fra la democrazia cristiana di don Romolo Murri e il PPI (13).
Ciononostante, nelle rievocazioni storiche delle origini, anche Alcide De Gasperi — secondo don Lorenzo Bedeschi (14) — tacerà l’influenza di don Romolo Murri, sostituendo la figura del sacerdote marchigiano come punto di riferimento con quella, ineccepibile dal punto di vista dell’ortodossia, di Giuseppe Toniolo, nei confronti del quale, peraltro, aveva avuto qualche parola di critica (15).
Più giovane di don Romolo Murri di undici anni, Alcide De Gasperi lo aveva conosciuto a Roma nel 1902, quando la crisi all’interno dell’Opera dei Congressi era già in corso. Gli scriverà alcune lettere fino al 1904, manifestando la sua simpatia e la sua adesione alle idee democratico-cristiane, e farà conoscere il movimento e le opere di don Romolo Murri in Trentino.
Accanto alla condivisione, dalle lettere di Alcide De Gasperi emerge anche l’incomprensione per le ansie riformistiche di don Romolo Murri, soprattutto in campo filosofico e, in genere, religioso. Secondo don Lorenzo Bedeschi, l’ostilità di Alcide De Gasperi verso il riformismo modernista era da attribuirsi alla sua formazione strettamente tomista, ricevuta dal sacerdote e professore Ernesto Commer (1847-1928), un teologo che aveva insegnato in diverse università prima di approdare a Vienna, dove aveva avuto la possibilità di influenzare il giovane studente trentino. Sarà grazie a questa educazione tomista che Alcide De Gasperi guarderà con sospetto l’estendersi della propaganda murriana in ambiti diversi da quello politico, per il quale soltanto manifestò la sua adesione; in seguito, in occasione della condanna del modernismo, difenderà la “sana filosofia” contro il riformismo modernista (16) e, nel 1911, Alcide De Gasperi arriverà a polemizzare direttamente con don Romolo Murri in occasione di una conferenza tenuta da quest’ultimo “a Rovereto per conto dei liberali”, definendolo un “misero apostata” (17).
Anche dalla lettura delle poche lettere di Alcide De Gasperi a don Romolo Murri, emerge come il loro rapporto sia stato molto breve e di scarsa intensità intellettuale e di amicizia, a differenza di quello fra don Romolo Murri e don Luigi Sturzo. Da questo rapporto emerge soprattutto la volontà di Alcide De Gasperi di tenere separati l’ambito politico — nel quale continuerà sempre a manifestare la sua preferenza per le prospettive democratico-cristiane — da quello strettamente religioso, dove si manterrà sostanzialmente fedele all’insegnamento tomista ricevuto tramite il “maestro” Ernesto Commer.
Volendo trarre qualche conclusione da questo breve excursus sui rapporti fra don Romolo Murri, don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, si può senz’altro confermare l’impressione, già ricordata, dell’insensibilità di don Luigi Sturzo e di Alcide De Gasperi relativamente alle problematiche moderniste sollevate dal sacerdote marchigiano. Quanto questa insensibilità sia stata prodotta dalle condanne contro il modernismo da parte della Gerarchia ecclesiastica e quanto invece sia il risultato di un loro reale convincimento rimane un problema storico da accertare, se possibile. La posizione culturale di entrambi può essere più esattamente riconducibile al filone ottocentesco del cattolicesimo liberale, che teneva rigorosamente separati l’ambito religioso e quello politico, cioè li guardava più nell’ottica della separazione che in quella della distinzione. Quindi, in entrambi, appare comunque assente ogni desiderio di ricostruzione della società nella prospettiva della regalità anche sociale del Signore Gesù Cristo.
Marco Invernizzi
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(1) Cfr. Lorenzo Bedeschi, Murri, Sturzo, De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898-1906), San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 1994. Pubblicato nel cinquantesimo anniversario della morte di don Romolo Murri (1870-1944), è la più recente fatica di don Lorenzo Bedeschi, che ha dedicato gran parte della sua attività di storico allo studio del modernismo, fondando il Centro per la Storia del Modernismo e istituendo la Fondazione Romolo Murri presso l’Università di Urbino, dove per molti anni è stato ordinario di storia dei partiti e dei movimenti politici.
(2) Cfr. san Pio X, La concezione secolarizzata della democrazia. Lettera agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi “Notre charge apostolique”, del 25-8-1910, Cristianità, Piacenza 1993.
(3) Cfr. L. Bedeschi, Murri, Sturzo, De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898-1906), cit., p. 24.
(4) Cfr. ibid., pp. 42-44.
(5) Ibid., p. 48.
(6) Cfr. ibid., pp. 64-72.
(7) Ibid., pp. 48-49.
(8) Cfr. ibid., pp. 214-217.
(9) Ibid., p. 243.
(10) Cfr. ibid., pp. 106-113.
(11) Cfr. Giornale d’Italia, 10-4-1920.
(12) Cfr. Luigi Sturzo, L’Abbè Naudet, in El Matì, 13-4-1935, in Idem, Scritti storico-politici (1926-1949), Cinque Lune, Roma 1984, p. 259.
(13) Cfr. L. Bedeschi, Murri, Sturzo, De Gasperi. Ricostruzione storica ed epistolario (1898-1906), cit., p. 111.
(14) Cfr. ibid., p. 145.
(15) Cfr. Idem, Il giovane De Gasperi e l’incontro con Romolo Murri, Bompiani, Milano 1974, p. 72. Il legame di Alcide De Gasperi con l’opera di Giuseppe Toniolo non sembra tuttavia occasionale, dal momento che, secondo la testimonianza di Giovanni Spadolini, lo statista trentino, due settimane prima della morte, era impegnato “[…] nella lettura della grossa biografia di Toniolo scritta dal Vistalli: la stessa biografia […] che doveva ispirargli le famose considerazioni, tante volte riportate anche se non sempre seguite o capite, della lettera-testamento a Fanfani” (L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Mondadori, Milano 1994, p. XVII).
(16) Cfr. L. Bedeschi, Il giovane De Gasperi e l’incontro con Romolo Murri, cit., p. 64.
(17) Ibid., p. 69.