Marco Invernizzi, Cristianità n. 240 (1995)
“L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98”. Una lettura
Giovanni Spadolini è stato uno dei principali esponenti della cultura “laica” italiana nel secondo dopoguerra. Nato a Firenze nel 1925, dal 1950 docente universitario di Storia Contemporanea, ha poi diretto i quotidiani il Resto del Carlino e Corriere della Sera, dal 1955 al 1972; in questo anno è stato eletto senatore della Repubblica nelle liste del Partito Repubblicano Italiano, iniziando una carriera politica che lo ha portato a diventare il primo presidente del Consiglio non democristiano della storia repubblicana, dal 1981 al 1982, e infine ad accedere alla seconda carica istituzionale dello Stato, la presidenza del Senato, che ha ricoperto dal 1987 al 1994.
Anche la sua scomparsa, avvenuta il 4 agosto 1994, è stata occasione di polemiche per la sua supposta — e speriamo reale — conversione avvenuta sul letto di morte (1); lo storico di grande cultura, l’uomo politico militante in uno dei partiti italiani più anticattolici, colui che ha dedicato la sua vita intellettuale e politica al servizio del riavvicinamento fra cattolici e liberali, cercando di smussare l’intransigentismo dei primi e l’anticlericalismo dei secondi, ha forse sperimentato al termine della vita come, almeno in un’occasione, si sia costretti a compiere una scelta radicale fra abbandonarsi nella fede nel Signore risorto oppure rimanere impantanati nello scetticismo di chi crede che tutto abbia avuto origine e si concluda su questa terra.
Della vastissima produzione di Giovanni Spadolini propongo la lettura di una delle opere principali, L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, la cui prima edizione risale al 1954 (2).
Si deve naturalmente trattare di una lettura critica, che tenga conto delle posizioni dell’autore e della sua tesi già ricordata, presente in tutta la sua produzione storica, in particolare della lettura del Risorgimento e delle sue conseguenze sulla storia nazionale. Ciononostante, lo studio di Giovanni Spadolini rimane uno dei fondamentali sulla storia del movimento cattolico e si lascia apprezzare per le moltissime informazioni trasmesse, ma soprattutto per l’esposizione della storia dei cattolici intransigenti, condotta sempre utilizzando le fonti e facendo così emergere dall’oblio le vicende dell’entusiasmante lotta organizzata dei cattolici italiani contro la violenza istituzionale dello Stato liberale nel periodo che va dal 1870 al 1898. L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98 è quindi indispensabile per chi voglia conoscere una fase sostanzialmente ignota — vedremo perché — della storia dei cattolici italiani, e ignota anche e soprattutto nel mondo cattolico.
L’opera di Giovanni Spadolini ha avuto una notevole risonanza sin dalla prima edizione pubblicata nel 1954, a ridosso del Congresso di Napoli della Democrazia Cristiana, l’assise che, nel giugno di quell’anno, sanciva il tramonto di Alcide De Gasperi alla guida del partito. E proprio Alcide De Gasperi — come ricorda Giovanni Spadolini nella prefazione all’edizione del 1976 — fu uno dei primi a iniziare la lettura de L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, poche settimane prima della morte avvenuta nell’agosto dello stesso 1954: l’ex segretario della Democrazia Cristiana avrà così potuto rilevare la diversità, per il mondo cattolico italiano, fra la sua stagione, quella dell’andata al governo dopo la fine della seconda guerra mondiale, e il trentennio di dura opposizione che caratterizzò la fine del secolo XIX. Alcide De Gasperi — ricorda sempre Giovanni Spadolini — non amava il cattolicesimo intransigente, e ad allontanarlo da questa prospettiva era la sua formazione cattolico-liberale — avvenuta, fra l’altro, nel clima di collaborazione fra Stato e Chiesa nell’Impero austro-ungarico —, che gli rendeva estranea e difficile da comprendere l’opposizione culturale e sociale dei cattolici intransigenti allo Stato italiano.
Infatti si trattò di opposizione e di opposizione globale, che partiva dal rifiuto di riconoscere i fatti compiuti — cioè, in particolare, la presa di Roma nel 1870 da parte dell’esercito italiano — e che si esprimeva nel tentativo di costruire una società alternativa in tutte le sue infrastrutture: il “paese reale” contrapposto al “paese legale”, dominato prima dalla Destra storica poi, dopo il 1876, dalla Sinistra guidata da Agostino Depretis.
E fu un’opposizione assoluta, “[…] che stabiliva un varco insuperabile fra la concezione cattolica della vita e quella razionalistica e liberale” (p. 3) e che veniva ripetutamente affermata dal Magistero della Chiesa a partire dall’enciclica Mirari vos, pubblicata da Papa Gregorio XVI nel 1832, poi ripresa dal successore, il servo di Dio Papa Pio IX, nell’enciclica Qui pluribus, del 1846, nell’allocuzione Iamdudum cernimus, del 1861, e nella lettera apostolica Multiplices inter machinationes, del 1865, quindi nell’enciclica Quanto conficiamur moerore, diretta ai vescovi italiani nel 1863, tutti documenti ampiamente ricordati da Giovanni Spadolini in uno dei due capitoli della Premessa intitolato appunto Il Sillabo e dedicato a ripercorrere la genesi e a presentare i punti principali di questo documento e dell’enciclica Quanta cura, della quale costituisce un’appendice, promulgati l’8 dicembre 1864.
Tutti questi testi del Magistero serviranno da fondamento all’opposizione cattolica contro i princìpi della Rivoluzione e quindi porteranno al rifiuto della Rivoluzione italiana, il cosiddetto Risorgimento, tema al quale Giovanni Spadolini dedica il secondo capitolo della stessa Premessa, analizzando punto per punto la profonda distanza che separa gli enunciati del Magistero della Chiesa dall’ideologia liberale, sia nella sua versione “moderata” che in quella radicale o mazziniana.
Le origini del movimento cattolico
Nati dalla Rivoluzione francese e dalle sue conseguenze — come ricorderà Papa Pio XII (3) — i movimenti cattolici acquisteranno caratteristiche tipiche nelle diverse nazioni; in Italia, dopo la Breccia di Porta Pia, sarà centrale la Questione Romana, tanto che i cattolici si divideranno in “intransigenti” e in “transigenti” proprio di fronte alla possibilità o meno di “transigere” sull’avvenuta espropriazione violenta del potere temporale del Papa.
La maggioranza dei cattolici transigenti aveva accettato parte delle idee liberali e le idee cattolico-liberali avevano potuto così radicarsi in maniera significativa fra alcuni intellettuali di primo piano, come Alessandro Manzoni, Niccolò Tommaseo, il primo Cesare Cantù, e quindi anche nel basso clero — Giovanni Spadolini ricorda la petizione “conciliatorista” di novemila sacerdoti a Papa Pio IX inviata da don Carlo Passaglia nel 1862 — e in esponenti della Gerarchia. Per questo — scrive sempre Giovanni Spadolini — il Sillabo era necessario perché nascesse un movimento cattolico in Italia, perché si potesse sradicare il cattolicesimo liberale grazie a un’azione avallata dalla Gerarchia.
Sorto attorno ai princìpi enunciati nel Sillabo e nella Quanta cura, il movimento cattolico italiano attribuisce alla libertà del Sommo Pontefice la priorità assoluta, tanto che la prima associazione costituitasi a livello nazionale si chiamerà Società cattolica italiana per la libertà della Chiesa in Italia, fondata a Bologna alla fine del 1865 e sciolta dallo Stato italiano durante le persecuzioni dell’anno successivo, diventate ancora più violente in seguito alla III Guerra d’Indipendenza. Lo scopo del movimento cattolico viene così indicato da Giovanni Spadolini: “[…] ricuperare le tradizionali posizioni d’influenza, compromesse o distrutte dall’unità, con un’azione capillare e metodica di carattere assistenziale, educativo, sociale capace di sostituirsi allo Stato e di denunciarne polemicamente le lacune, di svelarne violentemente l’insufficienza e la debolezza” (p. 45). E a questo fine — aggiunge — doveva servire anche l’astensionismo elettorale sancito ufficialmente dalla Chiesa con il non expedit, praticato allo scopo di mantenere unite le forze cattoliche nella radicale contrapposizione allo Stato liberale.
Oggi può apparire strano questo atteggiamento di autoisolamento scelto dai cattolici, ma allora era semplicemente la conseguenza della violenza anticattolica praticata dalle istituzioni statali, che lo storico fiorentino descrive dettagliatamente. Vescovi imprigionati o costretti all’esilio, espropriazione dei beni delle congregazioni religiose, arresto dei principali dirigenti del laicato, chiusura delle sedi: tutti questi provvedimenti verranno presi dallo Stato italiano dalla proclamazione del regno, nel 1860, fino alla nuova guerra contro l’Impero austro-ungarico nel 1866.
Ma la resistenza cattolica non si farà piegare: appena un anno dopo la soppressione della Società per la libertà della Chiesa nasceva la Società della Gioventù Cattolica Italiana, fondata anch’essa a Bologna dal conte Giovanni Acquaderni, che dava corpo all’intuizione avuta dal conte Mario Fani, il quale, pochi mesi prima, aveva fondato a Viterbo il circolo giovanile Santa Rosa.
La caratteristica di fondo della resistenza cattolica consisteva nell’organizzare un laicato militante strettamente legato al Papa: nascevano così numerosi organismi solidaristici e assistenziali, come la Società primaria romana per gli interessi cattolici, con il suo giornale La Voce della verità, associazioni devozionali come l’Opera delle prime comunioni, le Scuole del popolo con scopi educativi, realtà di diverso tipo fuse insieme dal Papa nel 1872 in una Federazione piana, preludio all’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, che costituirà per circa trent’anni il vero organismo unitario dei cattolici italiani.
Quest’ultima verrà costituita nel corso del I Congresso cattolico tenutosi a Venezia dal 12 al 16 giugno 1874, sotto la presidenza del duca Scipione Salviati e del card. Giuseppe Luigi Trevisanato; di questo Congresso, come dei successivi fino alla fine del secolo, Giovanni Spadolini offre una sintesi utilissima, ricavata dagli Atti ufficiali, che permette una ricostruzione obiettiva della storia del movimento cattolico attraverso le relazioni svolte durante le sue assise.
I Congressi vengono organizzati annualmente, e inizialmente sembrano non interessare lo Stato e la cultura laicista; ma, come sempre accade, dalla fase del silenzio le forze anticattoliche passano a quella della persecuzione. Così i circa mille partecipanti al III Congresso, inaugurato a Bologna nella chiesa della SS. Trinità il 9 ottobre 1876, vengono assaliti da una folla di anticlericali, offrendo il pretesto al prefetto per proibire lo svolgimento dei lavori per ragioni di ordine pubblico. Il fatto non è un episodio isolato, ma uno dei tanti attacchi alla presenza cattolica nella società italiana da parte delle forze ostili e, accanto alla repressione istituzionale, si verificano tante manifestazioni di odio anticattolico: aggressioni a circoli cattolici — a Pisa nel 1869 e ad Ancona nel 1871 —, oltraggio a una processione eucaristica a Bologna nel giugno del 1873, immagini di Maria prese a sassate a Gubbio, rovesciamento dell’ostensorio durante una cerimonia pubblica e profanazione del Venerdì Santo a Torino sempre nel 1873, sono alcuni degli episodi che Giovanni Spadolini ricorda nella sua opera.
Lo scontro fra il mondo cattolico e quello liberale è sui fondamenti stessi che hanno dato origine allo Stato nazionale, cioè sui princìpi ispiratori del Risorgimento. Giovanni Spadolini mette anche in luce come la protesta cattolica non si limiti agli aspetti religiosi o alle persecuzioni subite, ma investa la questione sociale: “[…] più volte il Papa richiamerà l’attenzione dei suoi ascoltatori sull’inasprimento dei tributi, sulle sperequazioni sociali che erano seguite all’unità, sulla manomissione delle Opere pie a danno dei poveri e a tutto vantaggio dei ceti censitari e della borghesia, sulla distruzione e sulla disarticolazione di tutti gli organismi assistenziali e previdenziali che preesistevano alla nascita del Regno, sull’aggravamento dei rapporti di classe fra padroni e operai” (p. 109). E alla questione sociale sarà anche dedicato il IV Congresso cattolico, tenuto nella cattolicissima Bergamo dal 10 al 14 ottobre 1877.
Un altro campo che vedrà fortemente impegnato il movimento cattolico sarà quello scolastico, sul versante della istituzione di scuole cattoliche e di corsi per docenti e sull’altro della presenza cattolica nelle scuole dello Stato, soprattutto dopo il tentativo, nel 1877, fermato dal voto contrario del Senato dopo l’approvazione della Camera, della legge Coppino che prevedeva la sostituzione dell’insegnamento della religione nella scuola elementare con “le prime nozioni dei doveri dell’uomo e del cittadino” (p. 127).
Accanto alla lotta contro lo Stato liberale, Giovanni Spadolini dedica molte pagine alle vicissitudini interne al mondo cattolico italiano, in particolare allo scontro fra la classe dirigente dell’Opera dei Congressi e quella della Società della Gioventù Cattolica, uno scontro principalmente generato da personalismi e da divergenze organizzative, che culminerà nell’assorbimento di fatto della Società della Gioventù Cattolica nei Comitati giovanili dell’Opera dei Congressi negli anni conclusivi del secolo XIX.
Più importante lo scontro con i cattolici conciliatoristi o conservatori: quanti volevano la collaborazione della Chiesa con la monarchia attraverso l’attenuazione del rigore anticattolico di quest’ultima e il contemporaneo accantonamento del richiamo alla Questione Romana da parte dei cattolici. Questi cattolici conciliatoristi, che nel 1879 danno vita alla rivista Rassegna Nazionale, si distinguevano dagli intransigenti per ragioni strategiche e politiche, ma non vanno confusi con i cattolici liberali in senso ideologico né tantomeno con i modernisti.
Con il pontificato di Papa Leone XIII, l’azione dei cattolici militanti privilegia sempre più gli aspetti di ricostruzione della società, che obiettivamente, almeno in Italia, versava in condizioni disastrose sotto diversi aspetti. Ormai il movimento cattolico è una realtà che si impone all’attenzione e, ancora, a una nuova persecuzione da parte dello Stato.
La persecuzione nel decennio 1880-1890
Dopo il fallimento dei tentativi conciliatoristi all’inizio del pontificato di Papa Leone XIII (4) e lo sviluppo organizzativo dell’Opera dei Congressi, nel decennio 1880-1890 riprende e s’inasprisce la violenza anticattolica da parte delle istituzioni. Il decennio che Giovanni Spadolini chiama “il periodo dell’accentuazione giacobina dello Stato italiano” (p. 172) aveva visto, la notte del 13 luglio 1881, l’assalto di una folla di anticlericali alla salma di Papa Pio IX durante il trasporto delle spoglie al Verano: l’alto dirigente massonico Luigi Castellazzo farà coniare una medaglia per i giovani che avevano partecipato all’assalto ed erano stati incriminati per atti di violenza e tumulti (5), mentre Agostino Depretis risponderà in Parlamento a un’interrogazione sull’episodio addebitando l’accaduto a una provocazione clericale. Le posizioni anticattoliche del governo spingono i circoli repubblicani e garibaldini a chiedere l’abolizione della Legge sulle Guarentigie e l’occupazione manu militari del Vaticano.
Nel frattempo il movimento cattolico continua a migliorare la propria struttura organizzativa, con la nascita del Banco di Roma nel 1880, il primo grande istituto di credito che sarebbe servito soprattutto per fornire capitali alle diverse realtà del mondo cattolico a basso tasso d’interesse, con la nascita della prima cassa rurale in Veneto, delle società operaie e delle associazioni femminili e quindi, nel 1881, con gli statuti definitivi dell’Opera dei Congressi.
La crescita del movimento si potrà percepire in occasione della petizione nazionale lanciata nel 1888 a sostegno dell’indipendenza e della libertà del Papa e che il governo in carica, presieduto da Francesco Crispi, riterrà “un atto avverso alle istituzioni dello Stato” (p. 198): verranno presentate al Papa 32.712 firme raccolte in Piemonte, 144.563 in Lombardia, 125.658 in Veneto, 36.378 in Emilia, 35.942 in Toscana, 39.216 nel Napoletano, specchio abbastanza fedele della dislocazione delle forze del cattolicesimo militante.
Il 1888, l’anno del giubileo sacerdotale di Papa Leone XIII, è anche l’anno delle controversie suscitate dall’erezione dei monumenti a Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma, opera di Ettore Ferrari, poi Gran Maestro della massoneria, al “cappellano” garibaldino Ugo Bassi a Bologna: “Morte a Cristo, morte allo Spirito Santo”, commentarono gli anticlericali livornesi il 12 giugno (p. 204), mentre il presidente della Società romana per gli interessi cattolici, Adolfo Pianciani, protestava contro l’autorizzazione alla costruzione del monumento a Giordano Bruno, sostenendo — come riporta Giovanni Spadolini — che Giordano Bruno “[…] non aveva avuto nessun merito di cittadino, di letterato e di filosofo, e solo in un campo si era distinto: con la sua ostinazione nell’empietà” (p. 204).
Sempre nel 1888 il governo tenta l’assalto alla beneficenza privata, cioè in pratica a quella promossa dai cattolici; vengono approvate due leggi, la prima delle quali, che vieta le questue religiose all’aperto, va a colpire gli ordini mendicanti, mentre la seconda prevede l’incameramento da parte dello Stato delle rendite delle Congregazioni religiose — un patrimonio che Giovanni Spadolini valuta intorno ai cento milioni di lire — costringendo l’Opera dei Congressi ad affrontare con attenzione il tema per limitare i danni dovuti all’applicazione della legge, anche attraverso uno speciale Manuale sulla legislazione delle Opere Pie, elaborato e continuamente aggiornato allo scopo appunto di supportare l’azione degli amministratori cattolici.
Il Magistero di Papa Leone XIII
Il 15 maggio 1891 veniva promulgata la famosa enciclica Rerum novarum, con la quale Papa Leone XIII affrontava la questione sociale e in particolare la condizione del proletariato industriale. Ma bene ha fatto Giovanni Spadolini a ricordare anche gli altri principali documenti del Pontefice, che testimoniano l’ampiezza del disegno di restaurazione sociale che caratterizzerà il suo pontificato.
Comunque, già dal IX Congresso cattolico tenutosi a Vicenza nello stesso anno, si poteva cogliere l’incremento dell’interesse dei cattolici per la questione sociale, che certamente non era mai mancato, ma che con la Rerum novarum andrà ad aumentare e a perfezionarsi. Nascevano così l’Unione per gli Studi Sociali e la Rivista di Scienze Sociali e Discipline Ausiliarie, entrambe dirette da Giuseppe Toniolo, uno dei principali studiosi cattolici di dottrina sociale nel tempo a cavallo fra i due secoli. E con Giuseppe Toniolo nasceva la proposta di una diversa impostazione da dare al movimento cattolico, più propositiva e attenta agli aspetti scientifici e intellettuali rispetto allo stile fino ad allora adottato dalla classe dirigente dell’Opera dei Congressi e da Giambattista Paganuzzi in particolare. Due stili diversi, entrambi in totale sintonia con il Magistero della Chiesa ma all’origine di una polemica, una polemica peraltro completamente diversa da quella che di lì a pochi anni dividerà l’Opera dei Congressi e che sarà la causa della sua soppressione, fra i democratici cristiani di don Romolo Murri e la componente intransigente del movimento cattolico.
Verso l’accordo con i moderati
Nell’ultimo decennio del secolo XIX vengono gettate le basi dell’accordo fra cattolici e moderati, che sfocerà nel Patto Gentiloni del 1913 (6), ma che conoscerà la sua svolta in seguito ai moti popolari del 1898, l’anno in cui si ferma in quest’opera la ricostruzione di Giovanni Spadolini. È importante notare come lo storico fiorentino dia rilievo a questa fase, nella quale la pubblicistica cattolica aumenta la polemica tendente “[…] a svalutare, a screditare, a calpestare tutti i valori del Risorgimento per rendere poi possibile — su un piano di neutralità ideologica — quell’alleanza tattica fra liberali e cattolici che i gesuiti stessi intravedevano come necessaria, alla fine del lungo processo di ascesa del socialismo e delle classi popolari” (pp. 301-302).
L’alleanza tattica fra liberali moderati e cattolici, che prenderà corpo dopo i moti del 1898, comincia già a delinearsi per esempio nelle elezioni amministrative di Milano nel 1895, che vedono la vittoria su misura della lista frutto del “contratto” voluto dall’arcivescovo ambrosiano, card. Andrea Carlo Ferrari, e stipulato fra cattolici e moderati in funzione antisocialista; ma risultati analoghi si verificavano in tutta Italia, spingendo i nemici della Chiesa e degli accordi clerico-moderati a parlare di rinascita clericale.
Così si avvicinava quel 1898 che avrebbe segnato radicalmente la storia politica italiana, costringendo i liberali a rinunciare ad alcune caratteristiche della loro ideologia e ad allearsi con i cattolici in funzione antisocialista, oltre che a cercare di dividere i socialisti in “riformisti”, disponibili a collaborare con il governo, e in “massimalisti rivoluzionari”.
Prima però veniva esperito un ultimo tentativo di costituzione di un fronte nazionale che unisse tutte le “[…] élite del Risorgimento per combattere insieme socialisti e cattolici” (p. 330).
Il tentativo viene fatto dopo la sconfitta delle truppe italiane ad Adua, in Etiopia, nel 1896, con un paese prostrato e umiliato dalla megalomania imperialistica di una classe politica guidata dal capo del governo Francesco Crispi, e si articola attorno al Ministero Rudinì e a una politica di rilancio, fra l’altro, delle origini laiciste dello Stato. Ma fallirà due anni dopo, nel 1898, in seguito alle cannonate del generale Fiorenzo Bava Beccaris sulla folla milanese, che protestava per il rincaro del pane, e che provocheranno ottanta morti: la classe politica liberale prende alcuni provvedimenti repressivi sia contro le forze socialiste che contro quelle cattoliche e il Ministero Rudinì spera di potersi sbarazzare di entrambe le opposizioni con la realizzazione di un unico disegno repressivo.
Ma ormai la base di consenso della classe dirigente liberale si era consunta, costringendola all’apertura alle forze popolari di opposizione e delineando così le caratteristiche dell’imminente “stagione giolittiana”.
Intanto i cattolici avevano celebrato a Milano, dal 30 agosto al 3 settembre 1897, il loro XV Congresso, che verrà considerato l’apogeo dell’intransigentismo perché in esso il presidente Giambattista Paganuzzi potrà elencare i notevoli successi organizzativi ottenuti dall’Opera, che poteva contare in quell’anno su 189 comitati diocesani, 4036 comitati parrocchiali, 708 sezioni giovani, 16 circoli universitari, 698 società di mutuo soccorso, 567 casse rurali e 24 banche.
Ma il problema della strategia politica urgeva le forze cattoliche e sarebbe esploso l’anno successivo dopo le cannonate del generale Fiorenzo Bava Beccaris: favorire il crollo del sistema liberale collegandosi con l’opposizione socialista, come auspicheranno i democratici cristiani di don Romolo Murri e anche don Davide Albertario, oppure cercare una collaborazione con le forze moderate, come era nell’intenzione di Giambattista Paganuzzi e come si realizzerà con gli accordi elettorali del 1904 e del 1909, ma soprattutto con il Patto Gentiloni nel 1913?
Giovanni Spadolini affronta l’argomento dell’accordo fra cattolici e moderati nel capitolo significativamente intitolato Le basi della riconciliazione, dove vengono date le spiegazioni della debole protesta dei dirigenti cattolici dopo la persecuzione del governo successiva ai fatti di Milano del 1898 — una persecuzione che pure aveva fatto chiudere più della metà dei circoli parrocchiali dell’Opera — e dove vengono poste in risalto le contraddizioni in seno alla compagine governativa fra moderati, come il ministro degli Esteri Emilio Visconti Venosta, e il ministro guardasigilli Giuseppe Zanardelli, uno dei liberali più progressisti e anticattolici.
Il seme degli accordi clerico-moderati — come verranno chiamati con intenzione denigratoria — era ormai gettato. Nel 1898 il mondo liberale si divide secondo una logica assai simile a quella dei nostri giorni, quasi cento anni dopo: da una parte i liberali conservatori e moderati, indifferenti di fronte alla questione religiosa e disponibili sulla Questione Romana, dall’altra i liberali progressisti, ideologicamente legati al Risorgimento inteso come liberazione dall’influenza del cristianesimo sulla nazione, indisponibili a qualsiasi ralliement con il mondo cattolico: in concreto, da una parte il pragmatismo di Giovanni Giolitti, dall’altra il rigoroso anticattolicesimo della massoneria.
Anche i cattolici conoscono l’amarezza della divisione: agli accordi tattici ed elettorali dei primi anni del secolo XX con i moderati liberali si opporranno i democratici cristiani, anche quelli che non avevano seguito don Romolo Murri nella sua separazione modernistica dalla Chiesa.
Come ha scritto Fausto Fonzi, dopo il 1898 muta profondamente sia il quadro politico italiano che quello interno al mondo cattolico e, nell’ambito di quest’ultimo, non si parlerà più di intransigenti e di transigenti, ma di cattolici democratici e di cattolici conservatori (7). Questi ultimi ritenevano che il rimedio socialista sarebbe stato peggiore del male da curare, mentre è importante notare come la corrente democratico-cristiana nascerà all’interno del cattolicesimo intransigente — per tutti valga l’esempio di don Davide Albertario —, fra coloro che non riusciranno a dimenticare trent’anni di persecuzione anticattolica da parte dello Stato liberale e quindi non vorranno collaborare neppure con i liberali moderati. Mentre i primi leggevano la Rivoluzione come un progressivo sviluppo di tendenze e di idee anticristiane — e quindi vedevano nel socialismo una prosecuzione peggiore del male liberale —, i secondi pensavano di cogliere gli aspetti positivi della reazione socialista, seppur depurata dall’ateismo (8).
Conclusione
Con il 1898 si chiude l’epoca della prima resistenza cattolica allo Stato liberale, imperniata sul tentativo di contrapporre il “paese reale” al “paese legale”. Per decenni, questa stagione è stata accantonata dai cattolici, sia durante il regime fascista — perché la polemica antirisorgimentale dei cattolici intransigenti rendeva difficile il dialogo con il regime —, sia nel dopoguerra, quando la Democrazia Cristiana si proponeva come erede di tutta la storia nazionale, compreso il Risorgimento. Qualche timida simpatia provenne dagli ambienti della sinistra democristiana di Giuseppe Dossetti, nella prospettiva di vantare antenati nella polemica antiliberale.
La storia del movimento cattolico fino al 1919 rimaneva così nel silenzio, fino alle ricerche storiografiche di qualche decennio fa, che hanno offerto una notevole mole di lavori scientifici anche grazie all’esempio fornito dall’opera di Giovanni Spadolini. Tuttavia, sembra che la storia del movimento cattolico non sia ancora uscita dall’ambito specialistico, né — quindi — sia entrata a pieno titolo nel patrimonio culturale dei cattolici italiani.
Marco Invernizzi
Note:
(1) Cfr. Avvenire e la Repubblica, 6-8-1994.
(2) Cfr. Giovanni Spadolini, L’opposizione cattolica da Porta Pia al ’98, Mondadori, Milano 1994, nona edizione con aggiornamenti bibliografici al dicembre del 1993; tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano all’opera in questa edizione.
(3) Cfr. Pio XII, Discorso al primo Congresso mondiale dell’Apostolato dei laici, del 14-10-1951, in Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, vol. XIII, pp. 291-301 (pp. 294-295).
(4) Cfr. Giuseppe Ignesti, Il tentativo conciliatorista del 1878-1879. Le riunioni romane di Casa Campello, A.V.E., Roma 1988.
(5) Cfr. le precisazioni sull’accaduto, in Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana. Dalle origini ai nostri giorni, nuova ed. aggiornata, Bompiani, Milano 1994, p. 207, n. 28.
(6) Cfr. il mio L’Unione Elettorale Cattolica Italiana. 1906-1919. Un modello di impegno politico unitario dei cattolici. Con un’appendice documentaria, Cristianità, Piacenza 1993.
(7) Cfr. Fausto Fonzi, I cattolici e la società italiana dopo l’unità, Studium, Roma 1960, pp. 35-36.
(8) Cfr. il mio Il movimento cattolico in Italia dalla fondazione dell’Opera dei Congressi all’inizio della seconda guerra mondiale (1874-1939), Mimep-Docete, Pessano (Milano) 1995, pp. 31-34.