P. Tiburzio Lupo S. D. B., Cristianità n. 4 (1974)
Unanime fu sempre, nella Chiesa Cattolica, l’insegnamento dei Pontefici circa la indissolubilità del matrimonio e uniforme il loro comportamento di fronte al divorzio (1).
Il primo documento che affronta direttamente il problema è il Decreto per gli Armeni di Eugenio IV (1439), emanato durante il Concilio Ecumenico di Firenze (1438-1445) che consacrò la riunione, purtroppo di breve durata, della Chiesa Ortodossa con la Chiesa Latina. In esso il Pontefice afferma: “Benché per causa di adulterio sia lecita la separazione dei coniugi, tuttavia non è lecito contrarre altro matrimonio, essendo perpetuo il vincolo legittimamente contratto“.
Altro chiaro pronunciamento fu quello del Concilio Tridentino, che prese posizione contro l’eresia protestante, negatrice del sacramento del Matrimonio. Nella sessione 24ª i Padri conciliari proclamarono dodici canoni riguardanti le nozze. Fra essi ricordiamo in particolare: il 2º che scomunica chi sostenesse la liceità della poligamia; il 5º che condanna chi ritiene solubile il vincolo coniugale per l’eresia di uno dei coniugi, l’abbandono del tetto coniugale o la molesta coabitazione; il 7º che colpisce di anatèma chi dicesse che la Chiesa erra nell’insegnare che, secondo la dottrina evangelica e apostolica, il vincolo matrimoniale non si può sciogliere a causa di adulterio e che anche il coniuge innocente non può contrarre altro matrimonio finché vive l’altro coniuge; il 12º che afferma la spettanza delle cause matrimoniali ai giudici ecclesiastici.
Il Papa Pio VI, nel 1794, con la bolla Auctorem fidei condannò poi l’errore del sinodo scismatico di Pistoia, che aveva attribuito allo Stato il potere di porre impedimenti dirimenti al matrimonio, e aveva affermato che tale potere provenisse alla Chiesa dallo Stato.
LE GRANDI ENCICLICHE PAPALI
In questi ultimi due secoli i Pontefici Romani hanno condensato tutto l’insegnamento patristico e teologico dei secoli precedenti in tre mirabili encicliche che dovrebbero essere il vademecum di tutti i coniugati cristiani.
La prima è Arcanum divinae sapientiae di Leone XIII (1880). Il grande Papa, celebre soprattutto per la Rerum novarum che tratta la questione sociale, afferma che, nel dare ad Adamo una “compagna indivisibile“, Iddio intese che quella prima coppia umana fosse il modello di ogni ulteriore coniugio, poiché quel primo matrimonio “mostrò in sé profondamente impresse e scolpite le sue proprietà principali e nobilissime, l’unità e la perpetuità“.
“Avendo il matrimonio Dio per autore – prosegue il Pontefice – ed essendo stato fin da principio quasi una figura dell’incarnazione del Verbo di Dio, si trova in esso un non so che di sacro e di religioso, non avventizio, ma congenito; non ricevuto dagli uomini, ma inserito da natura, sicché i popoli più progrediti pensavano al matrimonio come fatto congiunto con la religione e rivestito di sacralità e lo celebravano con speciali riti sacri“.
Aggiungendosi poi nei matrimoni dei cristiani la dignità di vero sacramento, sorgente d’una speciale grazia divina, è ben giusto che essi vengano normati e regolati dalla autorità che la Chiesa ha ricevuto direttamente da Cristo, anzi “ripugna assolutamente il volere che una menoma parte di tale potere sia trasferita ai reggitori di cose temporali“. Nel matrimonio cristiano infatti non si può separare il contratto dal sacramento, trappola escogitata dai teologi regalisti del secolo XVIII per sottrarre alla Chiesa le cause matrimoniali.
Il Papa passa poi ad enumerare i più gravi danni prodotti dal divorzio alle famiglie e alla società: “Si danno perniciosi incitamenti all’infedeltà, si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli, si diffondono semi di discordie tra le diverse famiglie, è scemata ed abbassata la dignità della donna, la quale, dopo aver servito alla libidine dell’uomo, corre rischio di rimanere derelitta“.
Elencando poi le ripercussioni sociali del divorzio – slittamento della legge divorzista verso allargamenti progressivi, frodi dei divorziandi per eludere i freni della legge, immoralità dilagante per l’instabilità della famiglia – aggiunge che “le famiglie e la società dovranno stare in continuo timore di essere travolte in quella rivoluzione a cui da gran tempo anelano socialisti e comunisti“. Giustamente qui il sapiente Pontefice fa rilevare che i sovvertitori della famiglia sono gli stessi che vogliono abolire il diritto di proprietà sancito dal 7º comandamento di Dio, per instaurare un utopistico nuovo ordine sociale, che dove è stato imposto con la violenza ha dato frutti attossicati di miseria, di fame e di compressione delle libertà civili.
Egli osserva pure che la Chiesa “mai legiferò intorno al coniugio senza aver riguardo allo stato della società e alla condizione dei popoli, e più volte mitigò essa medesima, per quanto poté, le sue leggi, quando vi furono giuste ragioni“.
Notiamo la frase: “per quanto potè“, cioè secondo il potere ricevuto da Dio, che non è illimitato, dal momento che Gesù stesso si appella ad una legge primordiale di natura, stabilita dal Creatore, per abolire il divorzio tollerato da Mosé: “Da principio non fu cosi!” (2). Ciò dovrebbero tener presente anche i sofistici contestatori dell’enciclica di Paolo VI, Humanae vitae.
Alla Chiesa dunque il compito di legiferare circa il matrimonio, allo Stato invece il dovere di regolarne gli effetti civili, cioè le relazioni economiche, le successioni e (come consente il Concordato Italiano) le separazioni legali. Se le due potestà rimangono ciascuna nel campo proprio senza invadere l’altrui, vi sarà tra loro concordia e collaborazione a tutto vantaggio dei popoli. Oggi si gonfia ad arte il fatto della cosiddetta “secolarizzazione” della vita sociale fino a farne un mito, ma si dimentica che la civiltà in cui viviamo e di cui ci vantiamo è frutto del cristianesimo.
Vuole poi il Pontefice che i fidanzati si preparino alle nozze avendo prima ponderato con molta riflessione i doveri e gli impegni che si assumono col formare una nuova famiglia, e soprattutto “non anticipino le nozze con una serie di peccati, attirandosi, non la benedizione, ma lo sdegno di Dio“. Sconsigliati i matrimoni misti – facile via alla perdita della vera fede e impedimento alla piena unione dei cuori – esorta pastoralmente i vescovi e i sacerdoti a interessarsi di coloro “veramente molto miseri, i quali, trascinati dall’ardore delle passioni e affatto dimentichi della propria eterna salvezza, menano vita licenziosa, congiunti in vincolo di nozze non legittime“.
IL NUOVO CODICE CANONICO E PIO XI
Assecondando i voti dei Padri del Concilio Vaticano I (1869-1870) il Papa s. Pio X nel 1904 istituì una commissione di cardinali e di giuristi incaricata della compilazione di un codice che riordinasse, rinnovasse e riunisse la molteplice e varia legislazione precedente delle cosiddette “Decretali”. Il nuovo codice fu poi promulgato dal suo successore Benedetto XV nella Pentecoste del 1917.
La normazione del matrimonio è contenuta in 131 cànoni (dal 1012 al 1143). La finalità del matrimonio è espressa nel primo comma del can. 1013: “Il fine primario del matrimonio è la procreazione e l’educazione della prole; il fine secondario è il vicendevole aiuto e il rimedio della concupiscenza“.
La sua essenza è espressa nel secondo comma: “Le proprietà essenziali del matrimonio sono l’unità e l’indissolubilità, le quali nel matrimonio cristiano vengono ad assumere una particolare fermezza in ragione del sacramento“. Vediamo qui compendiata tutta la dottrina evangelica, patristica e teologica dei secoli cristiani.
Col progresso dei tempi si sentì il bisogno di una più ampia sintesi del pensiero cristiano su un argomento così importante, purtroppo bistrattato da romanzieri e filosofi anticlericali e anticristiani, e il Papa Pio XI se ne assunse il delicato compito con una nuova enciclica, la Casti connubii (1930), frutto di lunga riflessione e di larga esperienza. Con essa il Papa si propone di esporre “a tutta la Chiesa e a tutto il genere umano la natura del matrimonio cristiano, la sua dignità, i vantaggi e i benefici che ne derivano alla famiglia e alla stessa umana società, nonché gli errori contrari a questo gravissimo punto della dottrina evangelica, i vizi che si oppongono alla vita coniugale e i principali rimedi da apportarvi“.
Sembrerà strano che il Papa si rivolga a tutto il genere umano per parlare del matrimonio cristiano, ma cesserà ogni sorpresa nel leggere l’esordio della profonda e chiara enciclica che prende le mosse dall’insegnamento di Leone XIII.
“Resti anzitutto stabilito questo inconcusso e inviolabile fondamento, che il matrimonio non fu istituito né restaurato dagli uomini, ma da Dio; non dagli uomini, ma da Dio autore della natura; e da Gesù Cristo Redentore della medesima natura fu presidiato di leggi e confermato e nobilitato: le quali leggi perciò non possono andar soggette a verun giudizio umano e a veruna contraria convenzione, nemmeno degli stessi coniugi. Questa è la dottrina della S. Scrittura, questa la costante e universale tradizione della Chiesa, questa la solenne definizione del Concilio di Trento“.
La libertà dell’uomo di fronte al matrimonio è di sposarsi o non sposarsi, di scegliersi liberamente la persona del coniuge; ma la natura del matrimonio è assolutamente sottratta all’arbitrio dei singoli, sicché una volta che uno abbia contratto il matrimonio, resta soggetto alle sue leggi e deve riconoscerne e accettarne le proprietà essenziali.
Il matrimonio quindi non è un semplice contratto umano di cose materiali, ma esso istituisce una nuova condizione di vita a due, assai diversa dalla vita individuale, poiché ha implicanze sociali del massimo rilievo, essendo la famiglia la cellula fondamentale della società e dello Stato. “Mediante il connubio – scrive il Pontefice – si congiungono e si stringono intimamente gli animi, prima e più fortemente che non i corpi, né già per un passeggero affetto sensibile, ma per un volere fermo e deliberato: da questa fusione di anime – così avendo stabilito Iddio – sorge un vincolo sacro e inviolabile“.
Ricordiamo il celebre detto di s. Agostino: Homines sunt voluntates, “gli uomini sono essenzialmente delle volontà”. Chi non ha fermezza di volontà di fronte a impegni sociali, non è degno del nome di uomo.
Sulla traccia di s. Agostino Pio XI sviluppa poi la dottrina dei tre beni del matrimonio: la prole, la fede, il sacramento.
La prole è la continuazione della persona dei due coniugi, fusa in certo modo nelle caratteristiche individuali trasmesse ai figli; è il premio dei loro sacrifizi per il bene della famiglia; è un nuovo vincolo della loro vita coniugale; sarà in cielo la loro corona.
La fede o fedeltà vicendevole deriva dall’unità del matrimonio e costituisce la parte preponderante della “castità coniugale“; è il mezzo precipuo della santificazione dei coniugi e del loro umano perfezionamento; è la base del diritto al debito coniugale; il fondamento della vera parità morale dei due sessi.
Il sacramento per i cristiani è un nuovo motivo d’indissolubilità, poiché il matrimonio cristiano riproduce l’indissolubile connubio di Cristo con la Chiesa e su di questo si modella; è fonte d’una speciale grazia e di un particolare carisma, destinati alla pacifica e cordiale convivenza dei due sposi e all’educazione dei figli, che sarebbe impossibile se il matrimonio fosse solubile.
S. Paolo pronuncia bensì la solubilità di un matrimonio contratto da pagani, qualora uno dei coniugi si converta alla fede cristiana e l’altro non gli consenta la libera professione della sua fede e ne turbi la pacifica coabitazione, ma fa capire che ciò è per una ragionevole gerarchia di valori: la fede cristiana, che è via alla salvezza eterna, è da più della fede coniugale, valore terreno; sicché questo cosiddetto “privilegio paolino” è dai teologi più propriamente chiamato privilegium fidei.
Enumerate poi le insidie, le frodi e i pericoli che attentano al matrimonio, il Pontefice condanna l’onanismo, l’aborto procurato (sia pure a scopo terapeutico), la sterilizzazione (che nelle mani di empi dittatori diventò genocidio), il “matrimonio di prova”; sconsiglia anch’egli i matrimoni misti e condanna il divorzio. Indi, presentate in chiara sintesi tutte le speciose ragioni dei divorzisti (che anche oggi essi ripetono con monotonia esasperante) passa a confutarle una per una, facendo vedere i danni familiari e sociali del divorzio (su cui i divorzisti chiudono gli occhi volentieri) e la sua tendenza ad allargarsi a macchia d’olio e a irrompere come marea fangosa sull’intera umanità.
“La corruzione ognor crescente e l’incredibile depravazione della famiglia nelle regioni pienamente dominate dal comunismo, ben dimostrano con quanta verità tutto ciò sia stato preannunziato cinquant’anni addietro da Leone XIII“.
Pio XI auspica una restaurazione cristiana del matrimonio e invita tutti i fedeli a maggior docilità all’insegnamento ufficiale della Chiesa, e i teologi, anziché invocare come i laicisti l’autonomia della ragione e la libertà d’opinione (oggi si direbbe “il pluralismo teologico”), a educare il popolo a tale docilità in cosa di tanta chiarezza nei libri del Nuovo Testamento, e i fidanzati al senso di responsabilità nel contrarre le nozze. “È di somma importanza la diligenza nella scelta del coniuge; da essa infatti dipende molto la felicità o infelicità futura del matrimonio. Per non dovere dunque pagare per tutta la vita la pena di una scelta inconsiderata, chi desidera sposare sottoponga a matura deliberazione la scelta della persona, con la quale dovrà poi sempre vivere, e non tralasci di richiedere il prudente consiglio dei genitori sulla scelta da fare“.
Infine raccomanda ai pubblici poteri una legislazione sociale protettiva delle famiglie numerose e alla carità dei buoni la supplenza ai casi non previsti dalla legge. Ai legislatori raccomanda l’accordo con la Chiesa perché “non mancano persone che stimano essere loro lecito, anche secondo la legge morale, quanto dalle leggi dello Stato è permesso o almeno non è punito“. Perciò è giusto abolire la legge permissiva del divorzio, che mette tanti cristiani di debole fede sulla. pericolosa via della rottura della famiglia.
IL CONCILIO VATICANO II E PAOLO VI
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha esortato vivamente i laici cristiani ad uno specifico apostolato sociale. “I laici, anche consociando le forze, risanino le istituzioni e le condizioni del mondo, se ve ne siano che spingano i costumi al peccato, così che tutte siano rese conformi alle norme della giustizia e, anziché ostacolare, favoriscano l’esercizio delle virtù” (3). Quali gravi e profonde ingiustizie è destinata a produrre una legge del divorzio che premia il colpevole e lascia alla mercé della loro sorte i figli e il coniuge innocente, per lo più la donna!
Nella costituzione Gaudium et spes il Concilio enuncia il principio: “Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo” (4). Trattando poi della dignità del matrimonio e della famiglia, lamenta che “non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla con identica chiarezza, poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosidetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l’amore coniugale è molto spesso profanato dall’egoismo, dall’edonismo e da usi illeciti contro la generazione” (5).
Era un implicito riconoscimento che in Italia – dove non esisteva la piaga del divorzio – la dignità del matrimonio e della famiglia brillava con maggiore chiarezza che non altrove. Bel servizio ci hanno reso dunque i deputati e senatori divorzisti votando questa legge disgraziata (anche giuridicamente illogica) che ci mette nel novero delle nazioni moralmente sottosviluppate, anche se più ricche! Aveva ragione il celebre statista inglese Gladstone di invidiare la sanità della famiglia italiana in confronto con quella della sua patria, dilaniata dal divorzio imposto dal cattivo esempio di un re corrotto.
“L’intima comunità di vita e d’amore coniugale – prosegue il Concilio – fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale, vale a dire dall’irrevocabile consenso personale. E così, è dall’atto umano con il quale i coniugi mutuamente si dànno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l’istituto del matrimonio che ha stabilità per ordinamento divino. Questo vincolo sacro, in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società, non dipende dall’arbitrio dell’uomo, perché è Dio stesso l’autore del matrimonio” (6).
Parlando infine dell’amore coniugale afferma: “Quest’amore, ratificato da un impegno e più di tutto sancito da un sacramento di Cristo, è indissolubilmente fedele nella prospera e nella cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito, e di conseguenza è alieno da ogni adulterio e divorzio. L’unità del matrimonio confermata dal Signore appare in maniera lampante anche dall’eguale dignità di persona dell’uomo e della donna, che dev’essere riconosciuta nel mutuo e pieno amore” (7).
Nella recente enciclica Humanae vitae (1968), che si riallaccia alla costituzione conciliare Gaudium et spes, il Papa Paolo VI, sebbene si proponga soprattutto di inculcare la “paternità responsabile” evitando le frodi dell’atto coniugale, tanto dannose anche fisicamente, e alla donna in modo speciale, tuttavia all’inizio fa una dichiarazione di principio molto importante: “Nessun fedele vorrà negare che al magistero della Chiesa spetti di interpretare anche la legge morale naturale. Conformemente a questa sua missione, la Chiesa ha sempre dato – e più ampiamente nel tempo recente – un coerente insegnamento, sia sulla natura del matrimonio sia sul retto uso dei diritti e doveri coniugali” (8).
Illustrando poi le caratteristiche del vero amore coniugale (pienamente umano, totale, fedele ed esclusivo, fecondo) così tratteggia la terza: “È amore fedele ed esclusivo fino alla morte. Così infatti lo concepiscono lo sposo e la sposa nel giorno in cui assumono liberamente e in piena consapevolezza l’impegno del vincolo matrimoniale. Fedeltà che può talvolta essere difficile, ma che sia sempre possibile e meritoria nessuno lo può negare. L’esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimostra, non solo che essa è consentanea alla natura del matrimonio, ma altresì fonte di felicità profonda e duratura” (9).
Gli esempi in contrario, anche se di ricchi e potenti, sono minoranza e non infirmano punto l’esperienza fatta dai coniugi onesti e responsabili.
Rinnovando poi la condanna dei Pontefici precedenti contro l’aborto procurato direttamente “anche se per ragioni terapeutiche“, la sterilizzazione tanto dell’uomo che della donna”, l’onanismo, precisa che “se è lecito talvolta tollerare un minor male morale a fine di evitare un male maggiore e di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male affinché ne venga il bene (cfr. Rom. 3, 8) cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine, e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali (10).
Il divorzio – malvagio d’intrinseca malizia perché contrario al volere di Dio – non si può quindi mai vedere da un’angolazione di “minor male“, come propendono oggi taluni cattolici pavidi e rinunciatari.
ULTIMI RICHIAMI EPISCOPALI
Il 20 agosto 1969 le Conferenze Episcopali della Lombardia, del Piemonte e del Triveneto fecero congiuntamente una dichiarazione circa il divorzio, che la C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) aggiunse al proprio documento Matrimonio e famiglia oggi in Italia del 15 novembre 1969. In questo suo sereno ed equilibrato documento la C.E.I. così si pronuncia riguardo al nostro problema:
“Il matrimonio, per suo proprio contenuto e per l’insegnamento di Cristo, è indissolubile. Tale caratteristica è propria di ogni matrimonio, e non soltanto del matrimonio sacramento. Essa è radicata nella natura dell’amore e della comunità coniugale, è richiesta dall’educazione dei figli, è un fattore primario di stabilità della famiglia. […] La perennità dell’unione è un valore riconosciuto dalla coscienza profonda dell’umanità, anche nei paesi a regime divorzista. L’esperienza di quegli stessi paesi insegna però che la suggestione del divorzio offusca e corrode il valore della perennità dell’unione coniugale, indebolisce l’impegno di molti sposi e non aiuta i giovani a prepararsi seriamente ad una autentica donazione personale. L’indissolubilità è un profondo valore etico; ma non si tratta di un vincolo che si consuma nell’intimo rapporto fra i coniugi. È un valore che può e deve essere tradotto anche in un ordinamento giuridico, dal momento che la scelta per un regime o per l’altro di matrimonio riguarda, non soltanto la felicità dei singoli, ma la crescita spirituale e civile della famiglia e dell’intera comunità, e dunque il bene comune. Lo Stato deve riconoscere e favorire ciò che la coscienza dei cittadini ritiene essenziale alla natura del matrimonio“.
Nessuno dunque potrà dire che la Sacra Gerarchia abbia mancato al suo compito di istruzione e di guida sopra un punto di morale umana e cristiana tanto importante. Sappiano i cristiani approfittarne e fare anch’essi il loro dovere.
TIBURZIO LUPO S.D.B.
Note:
(1) Nel 1967 il teologo nordamericano Victor Pospishil, nel suo libro Divorce and remarriage, avanzò l’idea che nella Chiesa primitiva fossero permesse nuove nozze in seguito alla separazione dei coniugi; ma il p. Henri Crouzel S.J., che studiò a fondo il problema storico, afferma categoricamente che “il mondo greco non fornisce alcuna testimonianza di ciò nei primi cinque secoli” (Cfr. Civiltà Cattolica, CXXI (1970), p. 550); anzi rimprovera a Pospishil le sue “interpretazioni forzate, inaccettabili per lo storico che conosce i Padri e che ha l’abitudine di trattare correttamente i testi” (Ivi). E spiega: “Vi sono, nella Chiesa primitiva, alcune rare testimonianze (per es. di s. Basilio) d’indulgenza verso divorziati risposati: l’errore di certi teologi o canonisti consiste nel considerare tale tolleranza come un’accettazione” (Ivi, p. 462).
Quanto al testo di s. Epifanio nel suo Panarion (374-377) che tratta della bigamia, si deve sapere che fu alterato verso la fine del sec. IX, quando gli Orientali, ormai distaccati da Roma, sentirono il bisogno di giustificare la novità dei loro divorzismo. Cfr. CALOGERO RICCI S.D.B., S. Epifanio divorzista?, in Salesianum, XXXIII (1971), pp. 599-665; CH. JOURNET, Il matrimonio indissolubile, Ed. Paoline, 1968, p. 44.
In Occidente, nella legislazione conciliare dei secoli V-VIII, per l’indebita intromissione del potere secolare e la debolezza di alcuni vescovi, ci fu qualche incertezza – specialmente nei concili di Vermerie e Compiègne (756, 757) – che portò alcuni ad un atteggiamento di condiscendenza pastorale esagerata, la quale passò nei cosiddetti “Penitenziali”, riprovati poi da altri concili e fatti bruciare pubblicamente.
(2) Mt. 19, 8.
(3) CONCILIO VATICANO II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 36.
(4) Idem, Costituzione pastorale Gaudium et spes, 41.
(5) Ibidem, 47.
(6) Ibidem, 48.
(7) Ibidem, 49.
(8) PAOLO VI, Enciclica Humanae vitae, 4.
(9) Ibidem, 9.
(10) Ibidem, 14.