Francesco Pappalardo, Cristianità n. 265-266 (1997)
Le opinioni diffuse ancora oggi dai mezzi di comunicazione, da molti libri di testo e da alcuni studiosi a proposito delle crociate contribuiscono a darne un’immagine distorta e riduttiva. Questo atteggiamento generalizzato finisce per essere causa ed effetto del significato negativo assunto, nel linguaggio corrente, dal termine “crociata”, utilizzato spesso per indicare polemicamente ogni tentativo violento di sbarrare la strada al “progresso”, non senza conseguenze anche su larga parte del mondo cattolico, che subisce il ricatto, concettuale e semantico, del “Non vorrai fare una crociata?”.
La diffusa interpretazione politica o economicistica, che può fornire certamente una spiegazione parziale del movimento crociato, ma ne trascura la motivazione religiosa, è inadeguata a favorire una valutazione d’insieme di tale complesso e ampio fenomeno. Le crociate furono anche, e in misura diversa secondo i periodi, un fenomeno di espansione commerciale, sociale e politica della Cristianità, ma non soltanto questo. “Ci furono all’inizio delle decisioni e delle motivazioni di carattere squisitamente religioso: uomini che predicarono la crociata per finalità puramente spirituali; altri che presero la croce e la spada, compiendo il grande passo del voto corrispondente, e lasciarono le loro sicure case nell’Occidente per inseguire un sogno religioso ed una idealità ascetica; uomini di penitenza che nel pellegrinaggio al Sepolcro di Cristo pensavano di rinnovargli la loro fede” (1). Alla luce di questa prospettiva ascetico-penitenziale la crociata può essere compresa anche come momento particolare della plurisecolare pratica del pellegrinaggio.
Tutti questi aspetti erano presenti nella mostra Le crociate. L’Oriente e l’Occidente da Urbano II a san Luigi (1096-1270), allestita a Roma, a Palazzo Venezia, dal 14 febbraio al 30 aprile 1997, dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della città e dalla municipalità di Tolosa, in Francia. Fanno parte del Comitato scientifico franco-italiano dell’esposizione, che dopo Roma si trasferirà a Tolosa, dove resterà aperta fino al mese di agosto del 1997, i medievisti Franco Cardini, dell’università di Firenze, Cosimo Damiano Fonseca, dell’università della Basilicata, e Marco Tangheroni, dell’università di Pisa (2).
Gli storici distinguono tradizionalmente otto grandi crociate, anche se le spedizioni maggiori furono intervallate da imprese di minore portata, con effettivi ridotti e di relativo successo. Inoltre, nel catalogo della mostra è ricordato opportunamente che il mondo cristiano dette un’interpretazione sempre più vasta alla crociata, intesa non soltanto come pellegrinaggio armato a conquista o a difesa del Santo Sepolcro ma — in generale — come ogni impresa tendente, con il beneplacito papale e con le relative indulgenze, a tutelare la fede con le armi contro qualsiasi pericolo e su ogni fronte: dalla penisola iberica — dove era in corso la Reconquista, cioè la riconquista dei territori occupati dai musulmani nel secolo VIII —, all’Europa orientale, interessata dalle spedizioni dei cavalieri Teutonici e Portaspada contro i pagani di Prussia e del Baltico, fino al cuore della Cristianità, aggredita dall’eresia catara. Le campagne contro i barbareschi nel Mediterraneo e contro i turchi ottomani nei Balcani, in qualche modo prosecuzione della riconquista della Sicilia operata dai normanni nel secolo XI e delle guerre condotte da Pisa e da Genova per la liberazione del Mediterraneo occidentale, sarebbero state considerate come le ultime manifestazioni dell’ideale crociato (3).
L’esposizione prende l’avvio dal famoso appello lanciato da Papa beato Urbano II (1088-1099), a conclusione del concilio di Clermont, in Francia, nel novembre del 1095, perché i cavalieri cristiani intervenissero in aiuto dei fratelli orientali e dei pellegrini in Terrasanta, minacciati gli uni e gli altri dall’espansione dei turchi selgiuchidi. Ai partenti il Pontefice promette la remissione dei peccati in caso di morte lungo la via o in combattimento, e dà, come simbolo e insegna, una croce di stoffa, indicando loro come meta precisa Gerusalemme.
Questi temi — la difesa della Cristianità, la liberazione del Sepolcro di Cristo e il soccorso alla Chiesa d’Oriente — sarebbero ritornati in tutti i successivi appelli; il movimento crociato, quindi, non può essere compreso senza aver presenti il ruolo eminente attribuito nel Medioevo alla Chiesa e al Papato, il riconoscimento della religione cristiana come matrice e fondamento di un’unità spirituale che aveva anche riflessi politici e sociali, e la conseguente solidarietà “cattolica” di popoli e di re.
Nel lungo viaggio compiuto in Francia fra l’agosto del 1095 e lo stesso mese del 1096, le cui tappe sono illustrate su un pannello della mostra, Papa Urbano II, che perseguiva l’ideale di una restaurazione territoriale e spirituale della Cristianità, rende nota la duplice intenzione di portare a termine il vasto programma di riforma della Chiesa avviato dal predecessore, Papa san Gregorio VII (1073-1085), e di estendere la riconquista cristiana dal Mediterraneo occidentale e centrale fino al Vicino Oriente. L’appello del Pontefice è seguito da una grande mobilitazione popolare, che presentava insieme i due caratteri del pellegrinaggio e della guerra “santa”, e alla quale solo posteriormente fu dato appunto il nome di crociata: infatti, “viaggio di Gerusalemme”, “spedizione”, “passaggio in Oltremare”, erano le espressioni allora in uso, e la parola “crociata” compare dopo il 1250, per definire un pellegrinaggio in armi compiuto dai soldati di Cristo, detti crucesignati perché individuati dal simbolo della croce, allo scopo di liberare il Santo Sepolcro dall’occupazione musulmana.
L’armamento e i mezzi di trasporto dei crociati sono documentati nell’esposizione da oggetti diversi: spade, lance e mazze dei secoli XII e XIII, provenienti da musei francesi, belgi e spagnoli, cui si aggiungono numerose miniature — che mostrano come dovevano apparire i cavalieri in battaglia — carte d’archivio, manoscritti, affreschi e anche il modello ligneo di una nave di san Luigi IX, re di Francia (1214-1270). Un modello in sughero del Sepolcro di Cristo, cioè della reliquia per eccellenza, ultima tappa dell’iter Hierosolymitanum, ricorda la dimensione spirituale dell’impresa, che spingeva i pellegrini di ritorno dall’Oriente a riprodurre la realtà “archeologica” dei Luoghi Santi, sia edificando cappelle e chiese a somiglianza del Santo Sepolcro, sia elaborando oggetti d’arte che ne serbassero il ricordo, come il prezioso “ciborio di Wolfgang”. Nella mostra figurano anche alcune mappe di Gerusalemme, su pergamena o in miniatura, dove i contenuti topografici si congiungono con quelli teologici, esprimendo con immediatezza visiva il ruolo centrale che la Città Santa aveva assunto nell’immaginario cristiano.
Attenzione adeguata è dedicata anche all’organizzazione della vita in Terrasanta dopo la riconquista di Gerusalemme, avvenuta nel 1099, con particolare attenzione alle monete coniate dai crociati, il cui studio ha dato origine a una specifica sezione della numismatica. Denari d’argento e monete di rame, bisanti di Cipro, dracme d’Acri e “grossi” di Tripoli, con scritte in latino, in greco, in arabo o anche in volgare, cioè in francese, nonché con pesi, forme e stampigliature diverse, sono esposti in gran numero e costituiscono testimonianza della vitalità, anche economica, dei cosiddetti regni “franchi”.
Una volta costituiti questi Stati — il regno di Gerusalemme, il principato di Antiochia e le contee di Edessa e di Tripoli —, si poneva il problema della loro difesa, anche perché molti crociati, avendo raggiunto lo scopo per cui si erano recati in Terrasanta, preferivano tornare alle proprie case, lasciando sguarniti i territori conquistati. Consapevoli di questa situazione, alcuni cavalieri decidono di prolungare il loro voto, consacrando la vita alla difesa dei pellegrini attraverso la creazione di ordini di monaci-soldati — tre principali, quello degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, quello dei Poveri Cavalieri di Cristo, o del Tempio, quello dei Fratelli dell’Ospedale di Santa Maria dei Teutonici, ossia l’Ordine Teutonico, e due fondazioni minori, San Lazzaro e San Tommaso d’Acri —, che non tardano ad assumere un ruolo di primo piano nella difesa delle strade e delle frontiere, grazie anche a un potente sistema di fortezze difensive. Nell’esposizione figurano i modelli del castello di Saone, presso Antiochia, e del famoso Crac dei Cavalieri, che rappresenta uno dei più eloquenti esempi di architettura militare sia per la sua funzionalità bellica, sia per le grandi innovazioni tecnologiche che lo caratterizzavano.
La parte più ampia della mostra è dedicata all’incontro fra la civiltà occidentale e quelle orientali, la bizantina e l’islamica, entrambe molto raffinate sotto il profilo della produzione artistica. L’influenza dell’arte orientale, che spaziava dalla lavorazione del vetro, dello smalto e dell’avorio all’intaglio della pietra, dalla cesellatura del legno all’ornamentazione plastica e monumentale, si è esercitata soprattutto sulla produzione di manoscritti miniati; i rarissimi pezzi esposti, che costituiscono la maggior parte dei manoscritti di Terrasanta oggi esistenti, bene illustrano l’attività dei copisti latini nel secolo XII e soprattutto quella dello scriptorium d’Acri nel secolo XIII. Alcune lavorazioni a sbalzo, fra cui il “Gemellion”, realizzate dagli smaltatori di Limoges per la clientela d’oltremare, ricordano che anche l’Occidente non esitò a mettere a disposizione dell’Oriente la propria capacità artigiana. Altre magnifiche opere, come l’altare portatile detto “dei Crociati”, realizzato nelle botteghe orafe del Regno latino di Gerusalemme e ora conservato nel tesoro della cattedrale di Agrigento, e la coppa in ceramica detta “dei Fidanzati”, una delle realizzazioni più originali uscite dagli opifici franchi d’Oriente, attestano l’esistenza di una vera e propria “arte crociata”, risultato di influssi e contaminazioni reciproche fra Oriente e Occidente in una Terrasanta già ricca di tradizioni artistiche paleocristiane e musulmane.
Un ruolo significativo in questo incontro fra culture diverse fu ricoperto dalla “Terra di Puglia” che, grazie alla sua particolare posizione geografica, ha costituito per secoli un ponte fra l’Europa e l’Oriente. Segni indelebili del grande flusso di cavalieri e di pellegrini verso e dall’oltremare sono le strutture portuali e gli ospedali dei Templari e degli Ospitalieri, le chiese collegate alla devozione del Santo Sepolcro, i castelli e le altre opere fortificate, mentre l’influsso artistico dell’Oriente è visibile nelle raffigurazioni delle “Vergini con bambino”, alcune delle quali esposte alla mostra, e negli affreschi, anche rupestri, dei “santi cavalieri”, Giorgio, Teodoro, Demetrio, Martino e altri, le cui miracolose apparizioni propiziavano le vittorie sugli infedeli.
Anche il trasferimento di reliquie nella Cristianità, una delle conseguenze di non poco rilievo delle crociate, fu all’origine di una eccezionale fioritura artistica, che vide impegnati molti artigiani, soprattutto orafi. Scrigni di forme e di dimensioni diverse, ampolle di cristallo di rocca, vasi in pietra preziosa, cofanetti d’avorio, croci e statuette-reliquario, che presentano in genere un alto livello di esecuzione, mostrano che la speranza di coronare l’iter ultramarinum con un pegno d’eccezione non mancò mai nei pellegrini e rappresentò probabilmente un motore sotterraneo dell’impresa crociata. Per ospitare le più preziose reliquie della Passione, fra cui la corona di spine, giunta a Parigi nel 1239, san Luigi IX — il re crociato per eccellenza, il cui testamento è esposto insieme con altri documenti autografi — fa edificare la Sainte-Chapelle, ideata appunto come un grande reliquiario, anche se le distruzioni della Rivoluzione francese e i restauri in chiave romantica del secolo scorso impediscono una lettura adeguata del monumento. Alcuni di questi oggetti sacri, sopravvissuti al vandalismo rivoluzionario e al sacco dell’arcivescovado di Parigi, nel 1830, costituiscono una sezione specifica della mostra.
Nel 1270, con la morte del re santo, si chiude quella che è stata definita “l’epopea delle crociate” (4), il cui insuccesso finale è causato soprattutto dal venir meno della motivazione religiosa e dal prevalere degli interessi materiali e dei giochi politici, che aggravano le difficoltà già esistenti. Tuttavia, sotto il profilo religioso, le crociate alimentano la pietà popolare, i pellegrinaggi, il senso cavalleresco di difesa dei poveri e dei pellegrini, senza dimenticare le prospettive missionarie aperte ai nuovi ordini mendicanti. Inoltre, sul piano politico, l’islam viene fermato alle soglie dell’Europa e, almeno per due secoli, i musulmani non sbarcano sulle coste dell’Occidente a saccheggiare città e villaggi, a distruggere chiese e conventi, a massacrare e a ridurre in schiavitù le popolazioni cristiane.
Tuttavia, l’ideale che aveva animato le crociate rimane ancora vivo, talvolta dichiarato, più spesso sottinteso, animando progetti e speranze, fra cui quello di Cristoforo Colombo (1451 ca.-1506), che vuole finalizzare la sua impresa al finanziamento della riconquista di Gerusalemme; e, anche se il progetto crociato del grande navigatore non si realizza, non si può dimenticare che “l’oro del Nuovo Mondo servirà a finanziare eserciti e armadas contro i turchi” (5) . Quando i turchi, espugnata Costantinopoli nel 1453, riprendono la loro offensiva verso il cuore dell’Europa, la Cristianità sa ritrovare l’originaria fraternità d’armi e dar vita alle ultime grandi imprese crociate, conseguendo splendide e decisive vittorie nelle acque di Lepanto, nel 1571, e sulle colline viennesi di Kahlenberg, nel 1683.
Francesco Pappalardo
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(1) Giorgio Fedalto, Perché le crociate. Saggio interpretativo, Pàtron, Quarto Inferiore (Bologna) 1980, p. 53.
(2) Cfr. il catalogo Le crociate. L’Oriente e l’Occidente da Urbano II a san Luigi (1096-1270), a cura di Monique Rey-Delqué, Electa, Milano 1997.
(3) Cfr. Michel Balard, Le crociate, ibid., pp. 3-37 (p. 3); sulla riconquista del Mediterraneo, cfr. Marco Tangheroni, Il trasporto dei crociati: le città marittime italiane, ibid., pp. 219-224 (p. 219); e Franco Cardini, L’Italia e le crociate, ibid., pp. 85-91 (pp. 85-86).
(4) Cfr. René Grousset, L’epopea delle crociate, trad. it., Istituto Geografico De Agostini, Novara 1968.
(5) Jacques Heers, Cristoforo Colombo, trad. it., Rusconi, Milano 1983, p. 684.