Ermanno Pavesi, Cristianità n. 304 (2001)
La tesi secondo cui la famiglia è la cellula della società ha avuto, nell’Occidente cristiano, una plurisecolare trascrizione istituzionale — sia nel costume che nella legge — ben descritta dall’espressione di Papa Giovanni Paolo II “famiglia sovrana”. L’altrettanto plurisecolare opera di esautorazione di tale “famiglia sovrana” e di corrispondente destrutturazione di essa nella stessa società storica ha come ricaduta l’indebolimento, quando non l’annientamento dei rapporti intergenerazionali, quindi il venir meno della trasmissione di valori e di memorie di generazione in generazione, cioè della “tradizione”. E la Rivoluzione contro e nella famiglia è stata talora giustificata, “coperta” quasi, talora promossa, comunque sempre accompagnata dall’ideologia della “morte del padre”, della quale lo psichiatra Ermanno Pavesi contribuisce a tracciare un possibile identikit culturale.
1. Il padre come mediatore della tradizione
“Quod a patribus acciperunt, hoc filiis tradiderunt”: con questa citazione di sant’Agostino (354-430) il filosofo tedesco Josef Pieper (1904-1997) sottolinea un aspetto della tradizione, cioè la trasmissione ai propri figli di quanto è stato ricevuto dai padri (1).
Questo processo non solo presuppone la disponibilità a ricevere la tradizione dai padri e successivamente la volontà e la capacità di trasmetterla ai propri figli, ma dipende anche da fattori esterni, da condizioni culturali e sociali che influenzano, spesso in modo decisivo, i rapporti fra padri e figli, e determinano il ruolo dei padri nella formazione della generazione successiva.
Lo psicoanalista tedesco Alexander Mitscherlich (1908-1982) distingue un’identificazione paterna di primo grado, cioè con il padre vero e proprio, da una di secondo grado, con figure paterne come il maestro, il padrone, il rappresentante locale del potere politico, via via fino al monarca (2). Mitscherlich ritiene che le trasformazioni sociali abbiano portato “[…] alla assenza paterna di primo grado, all’”invisibilità” del padre in carne e ossa. […] L’assenza paterna di secondo grado elimina poi definitivamente l’aspetto personale dei rapporti di potere: non si riesce più a configurarli in una “immagine” anche se si continua a subirli non meno duramente di prima. Il bambino senza padre (e sempre più anche senza madre) diventa un adulto senza padrone, che esercita funzioni anonime e viene guidato da funzioni anonime” (3).
2. La psicoanalisi e il “complesso di Edipo”
Fra le correnti culturali del secolo XX, che maggiormente hanno influenzato il rapporto fra genitori e figli, un posto di rilievo spetta alla psicoanalisi, la psicologia del profondo elaborata dal medico viennese Sigmund Freud (1856-1939).
Il nucleo fondamentale della teoria psicoanalitica è costituito dal cosiddetto “complesso di Edipo”: secondo Freud durante l’infanzia il bambino presenta una fase di attrazione anche sessuale nei confronti della madre; è geloso del padre, verso cui prova sentimenti aggressivi e omicidi, ma ne teme contemporaneamente la reazione, in particolare sotto forma di “ansia di castrazione”. Sotto l’influenza di questa paura il bambino rinuncerebbe ai desideri incestuosi e introietterebbe le norme sociali formando quindi il Super-Io, nucleo originario della coscienza morale.
Per comprendere meglio i problemi connessi al complesso di Edipo si deve tener conto che, fra i presupposti culturali più importanti della psicoanalisi, si trovano la teoria dell’evoluzione e la legge biogenetica fondamentale di Ernst Heinrich Haeckel (1834-1919), secondo cui l’ontogenesi ripete la filogenesi: lo sviluppo individuale ricapitolerebbe l’evoluzione della specie. La tesi secondo cui lo sviluppo di ogni uomo ricalca quello dell’umanità consente tanto di applicare ipotesi sull’origine della civiltà umana allo sviluppo psichico infantile, quanto di utilizzare conoscenze sullo sviluppo dell’infanzia individuale per gettar luce sull’infanzia dell’umanità.
Secondo la psicoanalisi il complesso di Edipo, come compare in ogni individuo, ha il suo precedente nell’uccisione del padre nell’orda primordiale da parte dei figli coalizzati, crimine che segna l’inizio della civiltà. Anche l’origine del monoteismo del popolo ebraico viene spiegata in modo analogo: Mosè sarebbe stato ucciso dagli ebrei, che, dopo la sua morte, ne avrebbero adottato la concezione monoteistica, rifiutata fino ad allora (4).
All’origine della cultura, della religione e del monoteismo vi sarebbero l’uccisione del padre o di una figura paterna, così come nel complesso di Edipo giocherebbero un ruolo importante i desideri di morte nei confronti del padre. La rivolta contro il padre avrebbe in sé una portata liberatoria, come affermazione radicale di autonomia e del primato del soddisfacimento degl’istinti sul rispetto di leggi esterne; ma sensi di colpa e ansia condizionerebbero negativamente lo sviluppo successivo, portando alla sottomissione a un’autorità morale e quindi all’eteronomia.
Ai fini di questo studio è utile distinguere due aspetti differenti del complesso di Edipo: l’affermazione dell’importanza, per la vita psichica, degl’istinti in generale e della libido sessuale in particolare, e la sottomissione al padre, come rappresentante della cultura e della tradizione.
2.1 Il “complesso di Edipo” e il primato della “libido”
La teoria del complesso di Edipo presuppone l’esistenza di desideri sessuali ben precisi già nella prima infanzia, e interpreta pure tutta la vita psichica come un processo dinamico di organizzazione della libido sessuale. Non raramente, a conferma di questa “lettura”, viene addotta la presunta scoperta della sessualità infantile da parte di Freud, che avrebbe confutato la convinzione dominante fino ad allora dell’assoluta innocenza dell’infanzia. Per evitare malintesi è opportuno tener distinti due aspetti differenti: l’esistenza di certi interessi sessuali già nell’infanzia e la teoria psicoanalitica della libido. Non è vero che prima di Freud sia stata comunemente accettata una concezione idilliaca dell’innocenza dell’infanzia: basti ricordare certi riti del battesimo o l’importanza da sempre attribuita all’educazione, anche morale, dell’infanzia stessa (5). Altra cosa, invece, è la concezione psicoanalitica della libido e della sua organizzazione nei primi anni di vita, che considera l’istinto sessuale come il motore della vita psichica, e ogni forma di piacere, anche nella primissima infanzia, come una forma perversa di soddisfacimento sessuale. Il piacere con cui il lattante succhia il latte della madre viene, per esempio, considerato come un soddisfacimento sessuale orale, nella fase appunto orale dell’organizzazione della libido.
Per queste teorie Freud è stato accusato talvolta di pansessualismo; si tratta però di critiche respinte da altri autori, con argomenti peraltro non sempre convincenti: “Ancona (1960) confutò l’accusa di pansessualismo rivolta, non soltanto da ambienti cattolici, alla teoria freudiana e, al contrario, utilizzò strumenti clinici e modelli offerti dalla psicoanalisi per proporre uno schema di interpretazione della condotta religiosa, giungendo a sostenere l’esistenza di quattro livelli di comportamento religioso, corrispondenti a diversi livelli di sviluppo della personalità: orale, anale, fallica, genitale” (6).
Lascia perplessi il fatto che si possa respingere l’accusa di pansessualismo rivolta alla psicoanalisi e contemporaneamente proporre una classificazione del comportamento religioso basato sugli stadi dell’organizzazione della libido.
Le presunte “prove” del complesso di Edipo non sono accettate da tutti gli specialisti. Norbert Bischof, per esempio, professore emerito di Psicologia dell’università di Zurigo, in un ponderoso e documentato saggio, mette in dubbio le interpretazioni psicoanalitiche, ricordando, fra l’altro, che certe rivalità fra padre e figlio e fra madre e figlia sono suscettibili di altre interpretazioni, più convincenti del complesso di Edipo, e afferma: “Nel corso del tempo non sono mancati tentativi di sottoporre le tesi psicoanalitiche a un esame empirico un po’ più fondato, in particolare con ricerche condotte sul comportamento infantile. I risultati non hanno contribuito a chiarire il quadro” (7).
2.2 Il “complesso di Edipo” e la sottomissione al padre e alla tradizione
I limiti, se non la grossolana banalità, dell’interpretazione letterale del complesso di Edipo diventano evidenti se si applica questa teoria a Freud stesso: per essere coerenti si dovrebbe ricondurre tutta la sua opera alle tendenze incestuose nei confronti della madre e alla rivalità nei confronti del padre.
Nelle opere di Freud non mancano però spunti che ampliano considerevolmente questa prospettiva. Nella prefazione all’edizione in lingua ebraica di Totem e Tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici il fondatore della psicoanalisi confessa di non conoscere “la lingua sacra” (8), cioè l’ebraico, di sentirsi “[…] completamente estraneo alla religione dei padri — come ad ogni altra religione peraltro — e [di non riuscire] a far propri gli ideali nazionalistici pur non avendo mai rinnegato l’appartenenza al suo popolo e sentendo come ebraico il proprio particolare modo d’essere” (9). Freud è convinto che questo modo d’essere ebraico abbia un fondamento naturale, pur riconoscendo di non sapere “[…] al momento esplicitare a chiare lettere in cosa consista questa natura essenziale dell’ebraismo; ma confida che un giorno o l’altro essa diventerà intelligibile per la scienza” (10). Per Freud non vi è neppure contraddizione fra la critica a ogni forma di religione contenuta nel suo studio e la sua fedeltà all’ebraismo; anzi, si dichiara convinto “[…] che la scienza esente da pregiudizi non può restare estranea allo spirito del nuovo ebraismo” (11).
In questi passi Freud si sente in dovere di anticipare una possibile critica alla sua opera da parte di chi, considerando come un’unità inscindibile la religione dei padri e il popolo ebraico, poteva vedere nella teoria dell’origine puramente umana della religione un pericoloso attacco contro lo stesso popolo ebraico, e il tradimento delle sue radici personali. Per Freud, invece, proprio l’assoggettamento alla tradizione dei padri ostacola il pieno possesso della propria natura: per questo il rifiuto della religione dei padri diventa il presupposto della fedeltà alla propria “matrice”.
Il tema del complesso di Edipo compare in questo contesto come opposizione fra matrice naturale e religione dei padri o, in altri termini, fra eredità biologica e tradizione culturale e spirituale, in una visione che ammette l’esistenza di contraddizioni, se non d’inconciliabilità, fra natura e cultura.
Nello sviluppo individuale il complesso di Edipo rappresenta il passaggio decisivo dalla prima fase dell’esistenza — in cui il bambino si trova ancora in un rapporto immediato con il mondo circostante, e autoriflessione e autocoscienza, quando cominciano a essere presenti, sono solo ancora consapevolezza di sé e percezione dei processi biologici istintivi — alla fase in cui tale consapevolezza può riconoscere le conseguenze sociali della realizzazione di un moto d’origine pulsionale, e per questo vi rinuncia. Questa fase mette fine all’unità psichica originaria, provoca una scissione fra Io e natura, fra coscienza e base biologica e corporea, fra conscio e inconscio, con il passaggio dalla storia naturale a quella culturale. Nella storia dell’umanità tale passaggio ha segnato l’inizio contemporaneo della cultura, della religione e dell’arte. Per la psicoanalisi questa scissione, con il conflitto fra tendenze opposte, costituisce pure la base della nevrosi.
Carl Gustav Jung (1875-1961), psichiatra svizzero per anni stretto collaboratore di Freud, definisce la nevrosi come una Entzweiung, una “scissione”: “La nevrosi è una frattura con sé stessi“ (12). L’unità originaria dell’uomo viene rotta, con la scissione, in una coppia di opposti che l’uomo deve superare, cercando di ricuperare l’unità perduta. Ritroviamo la stretta relazione fra nevrosi e religione tanto in altri passi di Jung, quando definisce il problema della guarigione, e quindi della nevrosi, come un problema religioso (13), quanto in autori precedenti, come il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872), che aveva affermato: “La religione è lo sdoppiamento dell’uomo con se stesso“ (14).
In questa prospettiva il complesso di Edipo non indica solo l’attaccamento del bambino alla madre e presunte reazioni nei confronti del padre, ma acquista una dimensione mitologica, come ha affermato talvolta Freud stesso, anche se poi è spesso caduto in un’interpretazione letterale: “La dottrina delle pulsioni è, per così dire, la nostra mitologia” (15). Così “madre e padre” diventano simboli di tutta una serie di coppie di opposti come, per esempio, “natura e cultura”, “terra e cielo” e “materia e spirito”. È chiaro che, nella misura in cui i termini “madre” e “padre” vengono trasfigurati simbolicamente, essi assumono un significato che può discostarsi anche considerevolmente dalla funzione reale esercitata dai genitori in carne e ossa, analogamente a quanto accade in alcune ideologie, che trasformano concetti come “classe operaia”, “proletariato”, “razza”, “popolo” in astrazioni artificiali, che spesso hanno ben poco a che fare con i loro corrispettivi reali. Nel nostro caso l’opposizione padre-madre non corrisponde sempre alla realtà, in quanto, normalmente, anche la madre ha un importante ruolo nella trasmissione dei valori tradizionali, perciò, in certi esperimenti radicali, le madri vengono estromesse dall’educazione dei figli non meno dei padri, come avviene in certi kibbutz.
L’attrazione per la madre rappresenta il richiamo della natura, anche come eredità biologica, la forza di gravitazione che lega l’uomo alla terra, il peso della materia; il padre, invece, rappresenta la tendenza a superare istintività naturale e spontanea naturalezza in una forma di vita coltivata, l’aspirazione a liberarsi dai vincoli terreni innalzandosi a dimensioni celesti, e a sublimare la materia in spirito.
Il quesito fondamentale è se queste aspirazioni corrispondono all’essenza dell’uomo e alla sua vocazione più autentica, oppure se si tratta di costruzioni artificiali, di sovrastrutture, d’illusioni che distolgono l’uomo stesso dalla propria autorealizzazione, alienandolo.
In questa prospettiva la teoria psicoanalitica del complesso di Edipo costituisce una formulazione particolare e originale di un tema più generale, che è stato affrontato anche da altri autori: basti ricordare lo storico delle religioni Johann Jakob Bachofen e il filosofo Friedrich Nietzsche.
3. Dal “mito di Edipo” di Johann Jakob Bachofen al “complesso di Edipo”
Lo studioso svizzero dell’antichità classica Johann Jakob Bachofen (1815-1887) era ben noto a Freud, che ne cita l’opera più importante, Das Mutterrecht, “Il matriarcato”, in Totem e Tabú (16).
Bachofen formula un’ipotesi dello sviluppo della cultura e della società sulla base della trasformazione del rapporto che lega l’uomo alla donna: lo stadio “[…] tellurico corrisponde alla maternità naturale, senza matrimonio; quello lunare corrisponde alla maternità legittima, con nascite autentiche e legittime in virtù del matrimonio; quello solare, infine, corrisponde al diritto paterno e all’unione coniugale” (17). Questi stadi corrispondono anche a un progresso delle condizioni dell’umanità stessa, di cui proprio Edipo rappresenta un passaggio chiave: “Un progresso in direzione di un superiore stadio dell’esistenza è connesso proprio con Edipo” (18); la consapevolezza del pericolo di poter commettere involontariamente parricidio e incesto avrebbero portato a un nuovo ordinamento sociale: “Dell’originario racconto mitologico fa parte il trapasso dalla maternità materiale eterica al diritto matrimoniale demetrico, che assegna al figlio un padre certo e in tal modo una nascita “autentica”, legittima, ponendo fine all’epoca del parricidio inconsapevole e dell’incesto e soprattutto preparando un’esistenza umana più alta” (19).
Sono evidenti le analogie con il ruolo attribuito al complesso di Edipo come fase necessaria per l’origine della cultura, ma sostanziali sono pure le differenze fra un’interpretazione che considera incesto e parricidio come misfatti non voluti e causati da un ordinamento sociale “primitivo”, e che, proprio per questo, deve essere modificato, e la teoria freudiana, che vede nel complesso di Edipo una fase necessaria dello sviluppo, e considera “naturali” desideri incestuosi e parricidi.
Bachofen ritiene che “[…] la vista del graduale superamento dei lati ferini della nostra natura potrà offrire un solido fondamento alla fiducia che, attraverso le alterne vicissitudini della sua storia, il genere umano potrà portare felicemente a compimento il proprio cammino dalle profondità verso le vette, e dalla notte della materia alla luce di un principio celeste e spirituale” (20).
Mentre Bachofen pensa di dover riconoscere nella storia del genere umano e nello sviluppo del diritto una “grande legge” (21) — “Esso procede dal materiale all’immateriale, dal fisico al metafisico, dal tellurismo alla spiritualità. […] Ciò che ha i suoi inizi sul piano materiale deve avere compimento su quello immateriale. […] Questo diritto ultimo è l’espressione della pura luce, che costituisce il principio del Bene. Esso non è di natura fisico-tellurica come quello oscuro e cruento della prima era materiale, ma è invece il diritto celeste della luce, la legge perfetta di Zeus” (22) — Freud considera questo processo come un’indebita ipostatizzazione che deve essere demistificata.
In questa prospettiva il tema del complesso di Edipo può essere formulato nel modo seguente: l’uomo può possedere la madre, e quindi la terra, vivere pienamente la propria esistenza mondana solo se uccide il padre e rinuncia a ogni concezione metafisica, negando quindi l’esistenza di un ordine morale indipendente dall’uomo e che questi deve rispettare.
4. Friedrich Nietzsche e la “morte di Dio”
Considerazioni analoghe vengono formulate dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) quando, nei primi capitoli di Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e nessuno, fa predicare la “morte di Dio” come presupposto necessario per l’autorealizzazione dell’uomo e per la sua evoluzione a superuomo: “Ecco, io vi insegno il superuomo!
“Il superuomo è il senso della terra. Dica la vostra volontà: sia il superuomo il senso della terra!
“Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze. Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio.
“…………………………………………
“Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra!” (23).
L’uomo può diventare superuomo solo se non si lascia irretire da speranze soprannaturali e comprende di non potersi realizzare orientandosi a princìpi trascendenti, ma solo restando attaccato alla terra, realizzandone il senso. L’uomo è posto di fronte all’alternativa fra Dio e terra: solo con la morte di Dio può restare fedele alla terra.
5. La psicoanalisi dopo Sigmund Freud
Secondo la teoria psicoanalitica il complesso di Edipo costituisce uno smacco ma contemporaneamente anche un progresso dell’uomo, che, persa l’innocenza naturale, si trova in una condizione di alienazione da cui non può uscire tornando indietro, regredendo, ma cercando di superare la frattura interiore, compito che per Freud deve essere affrontato nell’adolescenza.
Il giovane diventa adulto emancipandosi dalla dipendenza non solo dal padre, ma anche da tutti i valori che il padre impersona e che ha trasmesso più o meno coscientemente con l’educazione. Se non riesce a emanciparsi completamente dal padre il giovane resta in una condizione di dipendenza e di soggezione, che compromette il suo sviluppo.
Analizzando la personalità di Adolf Hitler (1889-1945) lo psicoanalista americano Erik H. Erikson (1902-1994) ne riconduce i tratti particolari al complesso di Edipo. Erikson mette in relazione elementi biografici del Führer — ostilità nei confronti di un padre considerato mediocre e che tiranneggia la moglie molto più giovane — con la storia della regione in cui è cresciuto — soggetta al vecchio Kaiser austriaco, ma attratta dalla giovane Germania —, così come con i problemi generazionali del tempo: un’immagine del padre tedesco medio descritto come piccolo-borghese, mediocre e scialbo, animato da un unico ideale, quello di ottenere un posto sicuro da dipendente statale, e contrapposto alla madre, sentita come più comprensiva per gli aneliti di libertà e d’indipendenza. La società borghese avrebbe provocato la reazione dei giovani, il “[…] ripudio dell’autorità del padre personale e la adesione a qualche entità mistico-romantica, come la Natura, la Patria, l’Arte, l’Essenza, ecc., tutte, chiaramente, immagini di una madre pura, di una madre che non avrebbe tradito il ribelle abbandonandolo nelle mani dell’orco, il padre. Mentre si ammetteva talora che la madre favorisse apertamente o segretamente e qualche volta addirittura l’invidiasse, una tale libertà, il padre era sempre considerato come un nemico mortale” (24).
L’interpretazione di Erikson mette l’accento su elementi del nazionalsocialismo normalmente trascurati. Mentre, correntemente, l’adesione al nazionalsocialismo viene considerata come il prodotto di un supino adattamento a una rigida educazione in un sistema autoritario patriarcale, Erikson, al contrario, vede i presupposti del nazionalsocialismo nella rivolta contro i padri e nell’adesione a entità mistiche, a volte con elementi tellurici: oltre alla Patria si possono ricordare anche il “popolo”, il Volk, la razza, la terra e il sangue. Mitscherlich riconduce i fenomeni di massa del secolo XX, con la comparsa di figure di “capo” — nell’originale tedesco il termine usato è Führer —, alla minore influenza del padre nell’educazione dei figli: “Il capopolo, che si impone alle masse con le promesse e le minacce, non sostituisce realmente il padre-modello; per quanto strano possa sembrare, rientra piuttosto nell’imago di una divinità-madre primitiva” (25).
Solo un’adeguata identificazione con i propri genitori, e soprattutto con il padre, consente la formazione di una personalità ben strutturata, con un chiaro sistema di valori e quindi capace di resistere a seduzioni demagogiche. Un’identificazione inadeguata con il padre, invece, porta piuttosto alla formazione di un tipo umano meno capace d’instaurare rapporti stabili, labile e volubile, esposto alle influenze esterne e quindi destinato a essere coinvolto, se non travolto, in fenomeni di massa, il che può mettere in pericolo la stabilità della società: “L’assenza primaria del padre potrebbe trasformare in pura illusione la democrazia illuminata, con la sua divisione razionale del potere, con il suo principio fondamentale di una autocoscienza individuale” (26). Questo vale soprattutto per la società contemporanea, in cui le rapide trasformazioni sociali non offrono un quadro di orientamento stabile e nella quale le persone possono vivere frequentemente una condizione di sradicamento, che può accentuare le crisi che caratterizzano in modo quasi fisiologico la formazione dell’identità individuale. Erikson sottolinea l’importanza dell’identificazione con i padri e con le generazioni precedenti per la stabilità delle “autentiche radici” (27) interiori: “Il pericolo connesso ad ogni periodo di sradicamento e di emigrazione su larga scala è che le crisi esterne sovvertano, in troppi individui e in troppe generazioni, la normale gerarchia delle crisi di sviluppo con le rispettive forze correttive implicite, e che l’uomo perda quelle radici che debbono essere saldamente piantate in cicli vitali significativi. Infatti le autentiche radici dell’uomo traggono il loro alimento nella sequenza delle generazioni ed egli perde le sue radici principali negli sconvolgimenti dei periodi di sviluppo, non nelle località forzatamente abbandonate” (28).
Carl Haeberlin (1878-1947), collaboratore di Jung, in un saggio del 1934 che costituisce uno dei dieci studi programmatici di una specie di manifesto del nuovo orientamento di Gleichschaltung, di “uniformizzazione”, della Allgemeine Ärztliche Gesellschaft für Psychotherapie, la “Società Medica Generale di Psicoterapia”, sotto la presidenza di Jung, celebra il filosofo Ludwig Klages (1872-1956) come precursore della psicoterapia tedesca, soprattutto per aver formulato una teoria, il biocentrismo, che assegna un ruolo centrale alla vita e alle sue forze irrazionali: “Il biocentrismo si trova in netta contrapposizione con la visione del mondo, che vale per i Platonici e per la scolastica, per Kant e per l’idealismo filosofico, per la quale il centro del mondo è costituito da un Logos per sua natura simile allo spirito umano, anche se lo supera in modo incommensurabile, concezione che Klages designa di conseguenza come logocentrica” (29).
Nella psicologia del profondo la svalutazione della vita cosciente a favore della profondità dell’inconscio rimanda a una visione filosofica che postula il primato della vita sullo spirito, del bios sul logos: “[…] l’ordine sta dalla parte della vita, ma il caos dalla parte dello spirito umano” (30), e “[…] la coscienza dell’uomo si deve aprire in modo ricettivo alla vita cosmica e planetaria, da cui noi siamo stati tratti e a cui noi siamo destinati a ritornare” (31).
6. Edipo in politica: l’esecuzione di Luigi XVI e l’affermazione della “Marianne”
Lo scrittore francese Albert Camus (1913-1960) descrive l’esecuzione del re di Francia Luigi XVI di Borbone (1754-1793) come atto rituale di emancipazione e di ribellione, episodio esemplare di uccisione di una figura paterna: “Il 21 gennaio, con l’uccisione del re-sacerdote, si compie quella che è stata chiamata significativamente la passione di Luigi XVI. Certo, è uno scandalo ripugnante che si sia presentato come un gran momento della nostra storia l’assassinio pubblico di un uomo debole e buono. Quel patibolo non segna un vertice, al contrario. Ma è un fatto che almeno, con le sue premesse e le sue conseguenze, l’esecuzione del re rimane il punto d’inserzione della nostra storia contemporanea. Essa simboleggia la sconsacrazione di questa storia, e la disincarnazione del dio cristiano. Fino a quel momento, Dio s’inframetteva nella storia mediante i re. Ma si uccide il suo rappresentante storico, non c’è più re. Non c’è dunque più che una parvenza di Dio relegata nel cielo dei princìpi” (32).
La politologa americana Hannah Arendt (1906-1975) sottolinea anche “[…] il fatto brutale che tutte le rivoluzioni del nostro secolo sono finite male; anche quando non hanno portato direttamente a un potere totalitario, hanno per lo meno fatto nascere strutture politiche decisamente tiranniche” (33); di contro essa ritiene che l’unica rivoluzione ad aver avuto successo in epoca moderna sia stata quella americana, nella quale hanno avuto un ruolo importante i “Padri fondatori” (34) e che ha avuto un “carattere relativamente non-violento” (35).
L’uccisione del re ha comportato anche una trasformazione della simbologia politica. L’immagine del monarca in raffigurazioni ufficiali e in locali pubblici viene sostituita, nel corso del tempo, da un nuovo simbolo: la Marianne, figura femminile, di aspetto talvolta giovanile altre volte materno, vestita a seconda dei casi come una popolana del tempo o come una divinità antica, e rappresentata spesso con il berretto frigio (36).
È interessante il fatto che nonostante la diffusione di questo simbolo il suo significato non è assolutamente univoco: di volta in volta la Marianne viene interpretata come la Francia tout court, come Repubblica Francese, come volontà popolare, come libertà, come unità indissolubile della nazione, e così via.
Il filosofo belga Marcel De Corte (1905-1994) individua una caratteristica della rivoluzione nella comparsa di “[…] un tipo d’uomo nuovo, che s’identifica sempre più con un’astrazione” (37).
Anche nel caso della Marianne abbiamo a che fare con un’astrazione alla quale vengono attribuiti significati anche molto diversi, e che spesso dipendono non tanto da lei stessa, quanto dalla foggia e dagli attributi con cui viene rappresentata: berretto frigio, fascio, livella e così via. Nel 1875 il consiglio comunale di Remiremont — sulla Mosella, nel dipartimento francese dei Vosgi —, per esempio, decide l’acquisto per la sala consigliare di un busto raffigurante la Marianne; questa decisione viene approvata dal prefetto a condizione che il busto “[…] non porti nessun emblema rivoluzionario, come il berretto frigio o il triangolo ugualitario” (38). Del busto della Marianne dello scultore Paul Lecreux (1826 ca.-1894) esistono due versioni, diverse solo per le decorazioni della sciarpa, che in una versione è decorata con insegne massoniche, nell’altra invece con le date significative della Repubblica.
Quanto Camus ha scritto sul re come rappresentante di Dio nella storia e sulle conseguenze della sua esecuzione può essere applicato, mutatis mutandis, anche alla figura del padre. Lo psichiatra austriaco Viktor Frankl (1900-1997), fondatore della Logoterapia e dell’Analisi Esistenziale, sottolinea la relazione esistente fra figura paterna e Dio, fra genitore e Creatore: “Per noi il padre non è l’archetipo della divinità, ma è vero il contrario: Dio è l’archetipo di ogni paternità. Solo dal punto di vista ontogenetico, biologico, biografico, il padre costituisce il primum. Dal punto di vista ontologico il primum è Dio. Se dunque sotto il riguardo psicologico il rapporto “padre-figlio” è antecedente all’altro “uomo-Dio”, sotto il riguardo ontologico non è primario, ma ricalcato su quest’ultimo. Sotto il riguardo ontologico, infatti, il padre carnale che mi ha carnalmente generato è, per così dire, il rappresentante — solo accidentalmente primo — di colui che ha creato ogni cosa. Da questo punto di vista è soltanto il primo simbolo, l’immagine, in certo modo, del Creatore soprannaturale della natura” (39).
Se, come sostiene Camus, l’esecuzione di Luigi XVI “[…] simboleggia la sconsacrazione di questa storia, e la disincarnazione del dio cristiano” (40), possono essere trovate pure corrispondenze fra psicoanalisi e teologie contemporanee, fra una psicologia che si basa su desideri omicidi nei confronti del padre e la “teologia della morte di Dio”.
7. Siegfried Bernfeld: modello per la pedagogia del “kibbutz” e per l’educazione antiautoritaria nel movimento del ’68
Lo psicoanalista di origine austriaca Siegfried Bernfeld (1892-1953), discepolo e collaboratore di Freud, è stato uno dei più coerenti nell’applicazione della psicoanalisi in campo educativo. Bernfeld, influenzato anche dal marxismo, appartiene all’ala più radicale fra i riformatori della pedagogia del secolo XX e considera la pedagogia solo come uno strumento con cui famiglia e scuola addomesticano i giovani al servizio della classe dominante; radicalità che può essere ben espressa dalla sua convinzione che “[…] anche la famiglia più ideale, più amorevole, più comprensiva non concede nel suo ambito alcuna possibilità ai valori educativi della comunità giovanile” (41). Ciò significa che anche i genitori più progressisti e rivoluzionari, in quanto genitori, non possono non avere un’influenza negativa sullo sviluppo dei figli. Anche ambienti ideologicamente a lui vicini hanno mostrato scarso apprezzamento per questa radicalità: le teorie di Bernfeld sono state adottate solo in alcuni esperimenti educativi radicali in Europa e nei kibbutz in Palestina, in cui i bambini, fin dalla nascita, crescono assieme ai coetanei in un gruppo guidato da personale specializzato e con contatti molto limitati con i genitori (42). “Se in Germania, da parte dei contemporanei, la ricezione di Bernfeld nella discussione generale sulla riforma della pedagogia e della società è stata molto limitata, il movimento giovanile ebraico di sinistra si è interessato intensamente dei suoi concetti teorici e delle sue esperienze pratiche” (43).
In un’opera dedicata all’esperimento pedagogico del kibbutz lo psicologo dell’età evolutiva, americano di origine austriaca, Bruno Bettelheim (1903-1990), sottolinea le conseguenze di un’educazione collettiva anche sulla vita religiosa; l’estromissione dei padri dall’educazione dei figli costituisce il presupposto per una nuova forma di religiosità, che prescinde dalla religione dei padri e del Padre: “Non possono esservi dubbi che il kibbutz fornisce ai suoi membri una nuova religione secolare […]. Esso rappresenta il nuovo patto giudaico: non più tra un Dio severo e i suoi figli, ma tra uguali; non più fondato sull’ubbidienza a un potere soprannaturale, ma sulla libertà individuale e su una visione razionale del mondo. In certo modo, sostituisce la vecchia religione nel tenere uniti gli ebrei di oggi” (44).
Bettelheim riconosce che l’educazione nel kibbutz, pur superando alcuni conflitti della società patriarcale, presenta anche aspetti negativi: senza modelli individuali mediati dalla famiglia e sotto l’influenza di un’educazione collettiva il giovane non sviluppa una personalità autonoma, ma soggetta all’autorità del gruppo, con la formazione di un Io “collettivo” (45).
Bettelheim sottolinea pure le contraddizioni esistenti in questo sistema educativo: “La prima generazione fondò la sua gloria sul fatto di aver abbattuto il mondo dei genitori, cosa che non si stancano di ripetere ai loro ragazzi. Ma alla gioventù, ora, si chiede di trovare uguale soddisfazione nel fare esattamente il contrario” (46) e, “mentre i genitori si sono appena liberati di tutte le antiche usanze, ai giovani si chiede di non gettar via nessuna delle usanze ereditate” (47).
Interessante è il fatto che Bernfeld, dimenticato per decenni, è stato riscoperto alla fine degli anni 1960 e le sue opere sono state ristampate in Germania e tradotte in altre lingue, ispirando tanto nuove forme di convivenza alternative alla famiglia, come le comuni giovanili, quanto l’educazione antiautoritaria.
8. Esiti dell’emancipazione dai genitori
Ho già riportato accenni di critica agli effetti dell’esclusione del padre dall’educazione. Vorrei riferire ancora alcune significative prese di posizione al riguardo.
Anna Freud (1895-1982), figlia del fondatore della psicoanalisi e autorevole esponente del movimento psicoanalitico, ammette la propria delusione per i risultati ottenuti nell’intento di “[…] procurare ai bambini l’agognata libertà dall’ansia. Dove scompare l’ansia per la severità dei genitori cresce l’ansia della coscienza; dove la severità del Super-Io si attenua i bambini si trovano sopraffatti dall’ansia per la forza dei propri istinti, a cui si sentono esposti senza l’aiuto fornito da istanze esterne o interne. Nel complesso, la pedagogia psicoanalitica non ha raggiunto il fine che si era posta agli inizi. I bambini cresciuti con il nuovo stile educativo possono essere per qualche verso diversi da quelli delle generazioni precedenti. Ma essi non sono più immuni né dall’ansia né da conflitti e neanche meno esposti a disturbi psichici nevrotici o di altro tipo” (48).
L’applicazione del modello psicoanalitico all’educazione con l’intento di prevenire l’insorgere di nevrosi e di consentire quindi la formazione di uomini più liberi, sani e felici, non ha portato ai risultati sperati. Jung aveva affermato polemicamente, a proposito della psicoanalisi: “A una verità scientifica, per essere tale, basta la semplice costatazione: la teoria psicoanalitica non aspira invece nel suo intimo a valere come verità scientifica, ma ad agire su un pubblico più vasto” (49). In altri termini, più importante della verifica del complesso di Edipo sarebbe la prassi, cioè modificare le persone convincendole ad affrontare e a cercare di risolvere i loro problemi e quelli degli altri come se derivassero effettivamente dal complesso di Edipo. Il mancato raggiungimento dei fini proposti dovrebbe però far mettere in discussione la validità delle ipotesi e delle teorie che stanno alla base di tale approccio pedagogico.
Le osservazioni di Anna Freud a proposito dei bambini valgono anche per i ragazzi e, successivamente, per gli adulti. La mancata identificazione con i genitori ostacola la formazione dell’identità personale: solo un adeguato rapporto con i genitori consente di trovare il proprio equilibrio come figli e quindi un ruolo preciso all’interno della società e nel suo divenire storico. L’uomo moderno assomiglia sempre più a un eterno adolescente, che non ha ancora trovato il proprio ruolo all’interno della società, e che, a causa del suo atteggiamento negativo nei confronti della generazione precedente, ha difficoltà a maturare e ad assumere a sua volta il ruolo di genitore. Questo fatto potrebbe spiegare tanto gli aspetti psicologici della riluttanza a diventare genitori e a mettere al mondo figli, quanto la tendenza diffusa, una volta diventati biologicamente genitori, a evitare di assumerne la funzione in modo coerente, preferendo un rapporto amichevole e cameratesco.
Come un adolescente preoccupato di compromettere la propria autonomia, l’uomo moderno non ha raggiunto un grado di equilibrio interiore, un’identità sufficientemente stabile e sicura, da consentirgli di riconoscere i propri limiti e di accettare un’autorità esterna. Come il giovane alla ricerca di una propria autonomia si ribella ai genitori, così la cultura moderna pone in primo piano l’autorealizzazione, che spesso si riduce a evitare scelte di vita che comportano l’assunzione di responsabilità anche per il futuro, preferendo vivere alla giornata; in tal modo la libertà non può essere libertà per, ma solamente libertà da. Lo psicoanalista tedesco Erich Fromm (1900-1980) fornisce un quadro impietoso degli effetti della cultura della contestazione giovanile: “Molti di questi stessi giovani […] non hanno compiuto il passo dalla libertà da alla libertà per; semplicemente, si sono ribellati senza tentare di individuare una meta alla quale puntare, eccezion fatta per quella consistente nella libertà dalle restrizioni e dalla dipendenza. Come per i loro genitori borghesi, il loro slogan suonava: “Il nuovo è bello!”, e hanno coltivato un disinteresse che è quasi una fobia per ogni sorta di tradizione, compresi i pensieri elaborati dalle massime menti. Preda di una sorta di ingenuo narcisismo, hanno creduto di poter scoprire da soli tutto ciò che vale la pena di scoprire; in sostanza, il loro ideale era di ridiventare bambini, e autori come Marcuse hanno fornito loro l’ideologia adatta, quella secondo cui il ritorno all’infanzia anziché lo sviluppo verso la maturità costituisce l’obiettivo ultimo del socialismo e della rivoluzione. Si sono sentiti felici finché sono stati abbastanza giovani perché questa euforia durasse; ma molti di loro, usciti da questo stadio, sono andati incontro a gravi delusioni, senza avere acquisito convinzioni ben fondate, senza avere dentro di sé un centro; e sovente finiscono per essere individui delusi, apatici, oppure infelici fanatici della distruzione” (50).
9. Conclusione
Sulla via di una presunta autorealizzazione l’uomo moderno si è liberato progressivamente di quei rapporti con figure d’autorità che limitavano la sua autonomia: teologia della morte di Dio, anonimizzazione o collettivizzazione dei mezzi di produzione e rifiuto dell’autorità tanto a livello politico quanto all’interno della famiglia. Mettendo fine a tali legami, o almeno ridimensionandoli, l’uomo moderno ha tagliato le proprie radici: cercava la libertà e si è ritrovato sradicato. Con l’”uccisione” del padre l’uomo non si è trasformato in superuomo, è rimasto orfano.
Ermanno Pavesi
Note:
(1) Cfr. Josef Pieper, Perché la tradizione, trad. it., in Studi Cattolici. Mensile di studi e di attualità, anno XX, n. 181, marzo 1976, pp. 163-169 (p. 166); e Idem, La sfida dell’origine, ibid., n. 182-183, pp. 255-259; più ampiamente, cfr. Idem, Überlieferung [Tradizione] Kösel, Monaco di Baviera 1970, p. 29; il riferimento è a sant’Agostino, Contra Julianum II, X, 34: Migne, PL 44, 698.
(2) Cfr. Alexander Mitscherlich, Verso una società senza padre. Idee per una psicologia sociale. Giustificazione e critica dell’antiautoritarismo, trad. it., Feltrinelli, Milano 1970, p. 340.
(3) Ibid., pp. 340-341.
(4) Cfr. Sigmund Freud, L’uomo Mosè e la religione monoteistica, 1938, trad. it., in Opere di Sigmund Freud, vol. 11, L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti, Boringhieri, Torino 1979, pp. 567-634.
(5) Cfr. Philippe Ariès (1914-1984), Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, parte prima, capitolo quinto, Dall’impudicizia all’innocenza, trad. it., con premessa di Giovanni Bollea, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 113-144.
(6) Mario Aletti, Psicologia, psicoanalisi e religione. Studi e ricerche, Centro Editoriale Dehoniano, Bologna 1992, p. 14. Leonardo Ancona — cui Aletti rimanda — è nato a Milano nel 1922; medico, psicoanalista, è professore emerito di Clinica Psichiatrica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, della quale ha diretto l’Istituto di Psicologia; ha fondato la Società Italiana di Psicoterapia Analitica dei Gruppi. Ha iniziato studiando i problemi della percezione; all’inizio degli anni 1950 ha studiato negli Stati Uniti d’America i fondamenti teorici e metodologici della psicologia sociale; ha studiato la psicologia dei gruppi e le relazioni fra psicologia e religione. È autore di La psicoanalisi, La Scuola, Brescia 1963; Dinamica della percezione, Mondadori, Milano 1976; Dinamica dell’apprendimento, Mondadori, Milano 1982; e Introduzione alla psichiatria, Mondadori, Milano 1984 (cfr. Aldo Carotenuto [a cura di], Dizionario Bompiani degli Psicologi Contemporanei, Bompiani, Milano 1992, pp. 18-19).
(7) Norbert Bischof, Das Rätsel Ödipus. Die biologischen Wurzeln des Urkonfliktes von Intimität und Autonomie [L’enigma Edipo. Le radici biologiche del conflitto primordiale fra intimità e autonomia], Piper, Monaco di Baviera 1997, p. 128.
(8) S. Freud, Totem e Tabú. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, 1912-1913, trad. it., in Opere di Sigmud Freud, vol. 7, Totem e Tabú e altri scritti, Boringhieri, Torino 1975, pp. 1-164 (p. 8).
(9) Ibid., pp. 8-9.
(10) Ibid., p. 9.
(11) Ibidem.
(12) Carl Gustav Jung, Vie nuove della psicologia, 1912, trad. it., in Opere di C. G. Jung, vol. 7, Due testi di psicologia analitica, Boringhieri, Torino 1983, pp. 237-261 (p. 254).
(13) Cfr. Idem, I rapporti della psicoterapia con la cura d’anime, 1932, trad. it., in Opere di C. G. Jung, vol. 11, Psicologia e religione, Boringhieri, Torino 1979, pp. 311-329 (p. 323).
(14) Ludwig Feuerbach, L’essenza del Cristianesimo, trad. it., Ponte alle Grazie, Firenze 1994, p. 95; cfr. al riguardo anche il mio, Follia della Croce o nevrosi? “Funzionari di Dio” di Eugen Drewermann e la critica della psicologia del profondo alla religione, Cristianità, Piacenza 1998, pp. 54-56.
(15) S. Freud, Lezioni di introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni), 1932, trad. it., in Opere di Sigmund Freud 1930-1938, vol. 11, cit., pp. 115-284 (p. 204). Dal canto suo, Jung sottolinea l’aspetto simbolico dell’incesto, che di solito “[…] presenta un contenuto fortemente religioso, motivo per cui il tema dell’incesto ha una parte decisiva in quasi tutte le cosmogonie e in numerosi miti. Ma Freud si atteneva all’interpretazione letterale e non sapeva cogliere il significato spirituale dell’incesto in quanto simbolo” (Aniela Jaffé [a cura di], Ricordi, sogni, riflessioni di C. G. Jung, trad. it., Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997, p. 209).
(16) Cfr. S. Freud, Totem e Tabù. Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici, cit., p. 148.
(17) Johann Jakob Bachofen, Il matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, trad. it., ed. it. a cura di Giulio Schiavoni, Einaudi, Torino 1988, tomo primo, p. 277.
(18) Ibid., p. 372.
(19) Ibid., pp. 376-377.
(20) Ibid., p. 378.
(21) Ibid., p. 316.
(22) Ibidem.
(23) Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e nessuno, trad. it., Adelphi, Milano 1998, p. 6.
(24) Erik H. Erikson, Infanzia e società, 4a ed. riv., trad. it., Armando Armando, Roma 1970, pp. 308-309.
(25) A. Mitscherlich, op. cit., p. 347.
(26) Ibid., p. 348.
(27) E. H. Erikson, Introspezione e responsabilità. Saggi sulle implicazioni etiche dell’introspezione psicoanalitica, trad. it., Armando Armando, Roma 1964, p. 103.
(28) Ibidem.
(29) Carl Haeberlin, Die Bedeutung von Ludwig Klages und Hans Prinzhorn für die deutsche Psychotherapie [L’importanza di Ludwig Klages e di Hans Prinzhorn (1883-1933) per la psicoterapia tedesca], in Deutsche Seelenheilkunde. Zehn Aufsätze zu den seelenärztlichen Aufgaben unserer Zeit [La dottrina tedesca della cura dell’anima. Dieci saggi sui compiti della medicina dell’anima per il nostro tempo], a cura di Matthias Heinrich Göring (1879-1945?), Hirzel, Lipsia 1934, p. 39.
(30) Ibid., p. 49.
(31) Ibid., p. 45.
(32) Albert Camus, L’uomo in rivolta, in Idem, Opere. Romanzi, racconti, saggi, a cura e con introduzione di Roger Grenier, apparati di Maria Teresa Giaveri e R. Grenier, trad. it., Bompiani, Milano 2000, pp. 617-952 (p. 753).
(33) Hannah Arendt, Was ist Autorität? [Che cos’è autorità?], in Idem, Fragwürdige Traditionsbestände im politischen Denken der Gegenwart. Vier Essays [Residui problematici della tradizione nel pensiero politico contemporaneo. Quattro saggi], trad. tedesca, Europäische Verlagsanstalt, Francoforte sul Meno s. d., p. 167.
(34) Ibidem.
(35) Ibidem.
(36) Cfr. Maurice Agulhon, Marianne au pouvoir. L’imagerie et la symbolique républicaines de 1880 à 1914, Flammarion, Parigi 1989; Idem e Pierre Bonte, Marianne. Les visages de la République, Gallimard, Parigi 1992; e Lothar Gall, Germania. Eine deutsche Marianne? Une Marianne allemande?, Bouvier, Bonn 1993.
(37) Marcel De Corte, Fenomenologia dell’autodistruttore. Saggio sull’uomo occidentale contemporaneo, trad. it., Borla, Torino 1967, p. 234.
(38) M. Agulhon e P. Bonte, op. cit., p. 46.
(39) Viktor E. Frankl, Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, trad. it., Morcelliana, Brescia 1975, p. 63.
(40) A. Camus, op. cit., ibidem.
(41) Siegfried Bernfeld, Die neue Jugend und die Frauen [La nuova gioventù e le donne], in Idem, Theorie des Jugendalters. Schriften 1914-1938 [Teoria dell’età giovanile. Scritti 1914-1938], Beltz, Weinheim e Basilea 1991, pp. 30-31.
(42) Cfr., per esempio, Wolfgang Melzer e Shlomo Yitzehaki, Der Einfluss Siegfried Bernfelds auf die Theorie und Praxis der Kibbutzpädagogik [L’influenza di Siegfried Bernfeld sulla teoria e prassi della pedagogia del kibbutz], in Reinhard Hörster e Burkhard Müller (a cura di), Jugend, Erziehung und Psychoanalyse. Zur Sozialpädagogik Siegfried Bernfelds [Gioventú, educazione e psicoanalisi. La pedagogia sociale di Siegfried Bernfeld], Luchterhand, Neuwied, Berlino e Kriftel 1992.
(43) Ludwig Liegle e Franz-Michael Konrad (a cura di), Reformpädagogik in Palästina. Dokumente und Deutungen zu den Versuchen einer “neuen” Erziehung im jüdischen Gemeinwesen Palästinas (1918-1948) [Pedagogia riformatrice in Palestina. Documenti e interpretazioni degli esperimenti di una “nuova” educazione nella comunità ebraica in Palestina (1918-1948)], dipa, Francoforte sul Meno 1989, p. 158.
(44) Bruno Bettelheim, I figli del sogno, trad. it., Mondadori, Milano 1977, p. 271.
(45) Cfr. ibid., p. 209.
(46) Ibid., p. 199.
(47) Ibid., p. 202.
(48) Anna Freud, Wege und Irrwege in der Kinderentwicklung [Vie ed errori nello sviluppo infantile], Klett, Stoccarda 1971, p. 17, cit. in Wolfgang Brezinka, Die Pädagogik der Neuen Linken [La pedagogia della nuova sinistra], Reinhardt, Monaco di Baviera e Basilea 1981, p. 170.
(49) C. G. Jung, Sigmund Freud come fenomeno storico-culturale, 1932, trad. it, in Opere di C. G. Jung, vol. 15, Psicoanalisi e psicologia analitica, Boringhieri, Torino 1991, pp. 3-12 (p. 10).
(50) Erich Fromm, Avere o essere?, trad. it., Mondadori, Milano 1996, p. 89.