Eduard Habsburg-Lothringen, Cristianità n. 400 (2019)
Testo dell’intervento tenuto da S.A.I. e arciduca d’Austria, Eduard Habsburg-Lothringen (Asburgo-Lorena), ambasciatore della Repubblica d’Ungheria presso la Santa Sede, nel corso della seconda sessione del convegno 30 anni senza Muro. L’Europa non nata, organizzato da Alleanza Cattolica a Roma, presso il Salone dei Piceni, il 16 novembre 2019. Gli inserti fra parentesi quadre e le note sono redazionali.
Il «Picnic Paneuropeo»
Trent’anni fa, il 19 agosto 1989, alla vigilia della solennità di Santo Stefano re d’Ungheria (969-1038), patrono del mio Paese, mi trovai sul confine tra l’Ungheria e l’Austria, vicino alla città ungherese di Sopron. Il progetto era di partecipare a un incontro fraterno tra vicini austriaci ed ungheresi. E invece mi trovai ad assistere alla caduta della Cortina di Ferro.
Si parla molto della caduta del Muro di Berlino, divenuto giustamente il simbolo eloquente della Guerra Fredda. Ma quel muro non era altro che un pezzo, per quanto vistoso, di un sistema più ampio, la Cortina di Ferro, che «da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico» (1) divideva il nostro continente e, con esso, i nostri popoli, anzi, nel caso della Germania, addirittura la stessa nazione.
Quel giorno, vicino a Sopron, si teneva l’ormai famoso «Picnic Paneuropeo», organizzato proprio sul confine tra Ungheria ed Austria, occasione nella quale l’Ungheria comunista apriva temporaneamente un valico di frontiera altrimenti chiuso. La manifestazione fu ideata da alcuni intellettuali ungheresi di opposizione e da Otto di Asburgo-Lorena (1912-2011) — figlio primogenito del beato Carlo I d’Austria (1887-1922), l’ultimo imperatore austro-ungarico, che intesero organizzare un momento d’incontro fraterno e conviviale, quale segnale di unità e pace fra i popoli europei.
Il contesto era già incoraggiante. Bisogna tenere presente, infatti, che la demolizione fisica della Cortina, fatta di filo spinato e fitta di strumenti di rilevamento, era iniziata qualche mese prima, il 2 maggio 1989, in quanto divenuto ormai obsoleto. Ciò non significava però ancora l’apertura de iure del confine. Erano già in corso, inoltre, le consultazioni tra il regime e i gruppi di opposizione su una transizione pacifica alla democrazia. Il 16 giugno 1989 si ebbero a Budapest le solenni esequie dell’ex primo ministro Imre Nagy [1896-1958] e dei suoi compagni, messi a morte dal regime comunista dopo la rivolta del 1956. In occasione dei funerali un giovane politico ungherese, Viktor Orbán, capo del partito FIDESZ, la Fiatal Demokratàk Szovetsége (Unione Civica Ungherese), si fece notare con un discorso dal quale si poté capire che egli aveva una visione per il futuro del proprio Paese.
Tornando però al «Picnic Paneuropeo» di Sopron, si può comprendere che esso avvenne in un clima di cambiamenti già avviati. Sopron c’entra con il Muro, perché, secondo il cancelliere tedesco Helmut Kohl [1930-2017], «è stata l’Ungheria a scardinare la prima pietra del muro» (2). E quella prima pietra io la vidi cadere proprio lì, vicino a Sopron.
Infatti, durante quell’estate migliaia di cittadini della Germania dell’Est si radunarono in Ungheria. Forse non tutti lo sanno, ma era usanza delle famiglie tedesche, sia dell’Est che dell’Ovest, divise dal Muro di Berlino, di andare a fare le vacanze d’estate in Ungheria, soprattutto sul Lago Balaton. In quell’epoca era più facile sia per i tedeschi dell’Ovest che per quelli dell’Est recarsi in Ungheria, dove potevano incontrare i propri parenti dell’altra metà della Germania. Potremmo dire che l’Ungheria, seppur al di là della Cortina di Ferro, fungeva nei fatti come una sorte di ponte sopra il Muro di Berlino e le due Germanie.
Nell’estate del 1989 migliaia di tedeschi dell’Est cercarono di emigrare all’Ovest, approfittando delle loro tradizionali vacanze in Ungheria. Avevano infatti capito che in Ungheria stava succedendo qualcosa. A Budapest tanti di loro si erano rifugiati nell’Ambasciata della Repubblica Federale Tedesca e, quando quella non riuscì più a contenerli, nella vicina parrocchia della Sacra Famiglia di Zugliget, dove, nel giardino della chiesa, fu allestito un campo-profughi improvvisato, sostenuto anche dal Servizio di Carità del Sovrano Ordine di Malta, di recente costituzione. Padre Imre Kozma alla guida dei suoi parrocchiani fu artefice ed eroe riconosciuto di quella storica impresa di accoglienza.
Fra questi tedeschi dell’Est si sparse la voce che a Sopron si sarebbe aperta la frontiera per qualche ora e allora essi si presentarono sul posto in gran numero. Nel corso del Picnic Paneuropeo gli organizzatori, con Walburga di Asburgo-Lorena Douglas, hanno simbolicamente aperto il valico di frontiera, una strada sterrata fra i campi. Approfittando del momento i cittadini tedeschi presenti si slanciarono improvvisamente attraverso il varco, sfondando così il confine. Il piccolo contingente della polizia di frontiera ungherese decise di non usare le armi, nonostante le regole d’ingaggio in vigore lo prevedessero. Quel pomeriggio da seicento a settecento tedeschi fuggirono in Austria e circa dodicimila li seguirono nei giorni successivi.
Quest’anno, in occasione dei festeggiamenti dell’anniversario, la Cancelliera Angela Merkel ha detto che con l’apertura di quel valico «l’Ungheria diede un contributo alla realizzazione del miracolo dell’unificazione tedesca» (3).
Il Governo ungherese di allora, guidato dal comunista riformista Miklós Németh, cercò di risolvere la situazione delle ormai decine di migliaia di profughi tedeschi. Per fortuna l’Ungheria poco prima aveva aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, anche per poter gestire la presenza delle migliaia di ungheresi che fuggivano in quegli stessi anni dalla Transilvania, ovvero dalla Romania di Nicolae Ceausescu [1918-1989]. Tale Convenzione risultò uno strumento utile anche per la decisione che il Governo ungherese adottò, dopo negoziati segreti con la Germania occidentale, cioè di permettere, anche ufficialmente, ai profughi tedeschi di fuggire attraverso l’Ungheria. L’apertura della frontiera austro-ungherese avvenne l’11 settembre 1989.
La ritrovata libertà dell’Ungheria
Anche i dirigenti dell’Ungheria comunista si resero conto di quello che il popolo di Budapest, sempre incline alle battute, riassumeva così: «Sapete qual è la differenza tra il socialismo reale e il socialismo che funziona? Il socialismo reale non funziona, il socialismo che funziona non è reale…».
Il cambiamento di regime in Ungheria venne preparato da una serie di consultazioni e negoziati tra i rappresentanti del regime e quelli dei principali gruppi dissidenti, o di opposizione, che in seguito si costituirono in partiti veri e propri.
Il 23 ottobre 1989, anniversario dell’insurrezione popolare del 1956, venne proclamata la Repubblica, invece della «Repubblica popolare». Ciò sancì formalmente il cambio della forma di Stato da quella comunista a quella democratica. Che, certo, andava poi riempita di contenuti, e ciò avvenne anche con le prime elezioni libere della primavera del 1990.
Il cardinale Péter Erdő, in un recente convegno della Fondazione Ratzinger a Budapest ha riassunto così quanto avvenne: «Così di fatto i primi regimi democratici sono nati in base a dei patti tra o con dirigenti comunisti. In tal modo è rimasta la continuità giuridica con lo stato comunista e con le sue istituzioni. A livello di costituzione l’intero cambiamento di sistema è avvenuto mediante una modifica della costituzione stalinista del 1949 effettuata dall’ultimo parlamento comunista nell’ottobre 1989.
«Sotto l’aspetto politico la pacificità del cambiamento significò, che non ci fu alcuna vendetta contro i capi comunisti e i membri delle forze armate dell’epoca precedente. Ci furono alcune leggi di lustrazione, ma non fu prevista l’incompatibilità delle funzioni politiche del nuovo regime con un passato politico nel regime precedente. Due noti personaggi dell’epoca comunista hanno persino vinto le elezioni politiche nel nuovo sistema democratico nel 1994 e nel 2002. Questo vuol dire che tale tipo di transizione pacifica, malgrado le contraddizioni, non era contrario all’atteggiamento di una parte notevole della popolazione» (4).
Si trattò di venti anni di transizione: dal comunismo alla democrazia, dall’economia di mercato al capitalismo. Dal blocco sovietico all’Unione Europea e alla NATO, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord. I comunisti del vecchio regime spesso riuscirono a trasformare il loro potere politico in potere economico, ma anche in potere mediatico. Al posto dell’ideologia comunista sposarono quella liberale. E l’Ungheria si trovò esposta all’economia internazionale, ai cambiamenti della globalizzazione con uno Stato che venne, invece, indebolito. Si voleva più libertà ma si ottenne anche più liberalismo. Privatizzando le fabbriche e le ditte ungheresi le grandi aziende internazionali o multinazionali hanno praticamente deciso di comprarsi il mercato ungherese. Ciò comportò la chiusura di tante fabbriche e l’aumento della disoccupazione, senza che lo Stato potesse — o volesse — assicurare un’adeguata difesa per il mondo del lavoro.
Citerei di nuovo il riassunto del Cardinale Péter Erdő: «Erano noti i casi di svendita del patrimonio nazionale da parte di alcuni dirigenti comunisti a delle società capitaliste internazionali. La conseguenza di ciò è stata all’inizio una notevole disoccupazione e la crescita del debito nazionale. La propaganda comunista inculcava alle masse, che il lavoro è molto importante, e che fa onore e gloria ai lavoratori. Nel nuovo sistema tutta la società poteva vedere, che il lavoro di molti veniva considerato superfluo e senza valore e che il denaro e la ricchezza non provengono dal lavoro, ma, non di rado, dalla speculazione e dagli affari sporchi. In seguito a queste circostanze, in molti Paesi postcomunisti la società ha cominciato a comportarsi in modo criminoso. Già solo la convertibilità della moneta nazionale — che era una vera e propria novità — ha provocato la crescita del commercio degli stupefacenti e la penetrazione della criminalità internazionale in questi Paesi» (5).
La debolezza dello Stato era dovuta anche al grande debito pubblico che era in mano a soggetti stranieri che potevano perciò condizionarne le politiche. A ciò si aggiunse, nel primo decennio del nuovo millennio, un progressivo indebitamento della popolazione. Per fare solo un esempio utile a illustrare la situazione posso menzionare che in seguito alle grandi privatizzazioni praticamente tutte le maggiori aziende fornitrici di utenze alla popolazione, come acqua, luce, gas e così via erano praticamente finite in mano straniera.
La crisi finanziaria ed economica del 2008-2009 trovò l’Ungheria impreparata. Il Paese era sull’orlo del fallimento. Inoltre, il governo socialista di allora aveva perso credibilità e sostegno popolare in seguito alle rivelazioni contenute in un discorso dell’allora primo ministro Ferenc Gyurcsány sullo stato dell’economia e sulle politiche del governo medesimo. Si trattò di una crisi morale che nell’autunno 2009 sfociò in massicce manifestazioni di protesta a Budapest, represse violentemente dalla polizia.
2010, una nuova «rivoluzione»
Fu in questo contesto che nella primavera del 2010 il FIDESZ e il Partito Democristiano (KDNP) vinsero le elezioni politiche, ottenendo una maggioranza di oltre due terzi. Il parlamento e il Governo guidato da Viktor Orbán iniziarono a trasformare il Paese. Egli stesso qualificò quest’impresa come una vera «rivoluzione costituzionale».
Nel discorso pronunciato al congresso degli intellettuali cristiani (KÉSZ) nel settembre 2019 il primo ministro l’ha riassunta così: «Il primo cambio di regime nel 1990 pose fine al mondo sovietico. Sovietici fuori, comunisti giù, libertà su! Fu questo il primo cambio di regime che potremmo definire come un cambiamento di regime liberale, ossia la liberazione dall’oppressione, dalla dittatura. Ciò accadde per forza in una democrazia liberale che ebbe al centro il liberalismo, la libertà da qualcosa. C’erano già allora quanti riconobbero che così non andava bene, ovvero che ciò non bastava. Non basta affermare di voler essere liberi da qualcosa. Bisogna anche dare una risposta alla domanda sul perché vogliamo essere liberi. Sul come vorremmo utilizzare la nostra libertà. Che tipo di realtà vorremmo costruire con la nostra libertà politica e costituzionale. Per questo serviva il secondo cambio di regime, quello del 2010» (6).
Forse vi ricorderete che l’Ungheria iniziò in quegli anni a comparire sulla stampa occidentale, quella liberal e di sinistra, soprattutto, come oggetto di severe critiche. Ma che cosa stava avvenendo?
Il governo FIDESZ-KDNP ha capito che le riforme attuate in occasione del cambio di regime del 1989-1990 andavano completate, o addirittura, corrette. Nel corso di questo processo, grazie alla maggioranza costituzionale affidata dagli ungheresi al Governo — e riconfermata per ben due volte — sono state varate nuove leggi per regolare la vita del Paese e della società. Cominciando proprio con una nuova costituzione, che andava a sostituire quella del 1949, quindi comunista, seppur modificata nel 1989.
La nuova Legge Fondamentale dell’Ungheria è stata promulgata significativamente il giorno del lunedì di Pasqua del 2011, mentre l’Ungheria era presidente di turno dell’Unione Europea. La novità del testo si può rilevare soprattutto nella presenza preminente dei valori fondamentali sulle quali si vuole costruire il Paese. Basta leggere il preambolo, intitolato Professione nazionale (7). Uno dei tratti distintivi è, in generale, l’attenzione all’equilibrio tra comunità e persona privata, ma contiene anche elementi che potremmo dire innovativi sulla tutela dell’ambiente e del futuro sostenibile.
Il Primo ministro Viktor Orbán lo ha definito recentemente una vera e propria «rivoluzione costituzionale» in senso nazionale e cristiano che equivale praticamente ad un secondo cambio di regime. Nella politica ungherese si cita spesso il detto sarcastico di József Antall [1932-1993], capo del primo governo democraticamente eletto (1990-1993). Quando gli si mossero delle critiche riguardo a compromessi e lentezze nel cambio di regime, egli rispose: «E allora, perché non avete voluto fare la rivoluzione?» («Tetszettek volna forradalmat csinálni!»). Ecco, questa rivoluzione costituzionale degli anni successivi al 2010 era intesa a correggere il primo cambiamento di regime del 1989-1990, a completamento della transizione.
Viktor Orbán stesso ha voluto riassumere così il senso di questo cambiamento: «Abbiamo creato uno Stato democratico e cristiano centro-europeo e ungherese. Lo Stato ungherese di oggi è fondato sulla democrazia e sul cristianesimo e non sulla democrazia liberale. Democrazia sì, liberalismo no». Inizialmente parlava anche di «democrazia illiberale», che è stato mal compreso dalla stampa internazionale. Illiberale, in questo senso, voleva semplicemente dire: non fondata sull’ideologia liberale. Questo secondo cambio di regime è stato, quindi, non liberale, ma nazionale, nel senso che intendeva rafforzare gli elementi di sovranità nazionale che negli anni della lunga transizione si erano indeboliti.
Ma che cosa comportava questo secondo cambio di regime, questa «rivoluzione nazionale»? Sempre Viktor Orbán lo ha riassunto così al Congresso del FIDESZ dello scorso settembre: «Invece della libertà dei liberali abbiamo voluto la libertà cristiana. La libertà cristiana in politica non è qualcosa di astratto. Anzi, è molto concreta, comprensibile e tangibile. Patrioti invece dei cosmopoliti. Amore per la patria invece dell’internazionalismo. Matrimonio e famiglia invece della propaganda a favore dei rapporti tra le persone dello stesso sesso. Tutela dei nostri bambini invece della liberalizzazione delle droghe. Difesa dei confini invece delle migrazioni. Bambini ungheresi invece di immigrati. Cultura cristiana invece di un miscuglio multiculturale. Ordine e sicurezza invece della violenza e del terrore» (8).
Nella pratica i risultati, dopo questi trent’anni dalla caduta della Cortina di Ferro e quasi dieci da questa «seconda rivoluzione» sono i seguenti. Il debito pubblico ungherese è attorno al 70% del PIL e per i 4/5 è in mano agli ungheresi; dieci anni prima si trattava dell’85% del PIL, prevalentemente in mano a creditori stranieri. L’inflazione è bassa, il PIL cresce bene a ritmi sostenuti. Oggi 850.000 persone in più hanno lavoro rispetto al 2010. Il salario minimo è raddoppiato, il reddito medio è cresciuto del 50%. È stato creato un sistema tributario che aiuta le famiglie e le imprese. Solo un esempio: una persona che ha tre bambini o più non deve praticamente pagare l’imposta sul reddito, per effetto delle detrazioni e delle agevolazioni. Negli ultimi anni è stato possibile lanciare un piano articolato a sostegno delle famiglie.
La maggior parte delle aziende di rilevanza strategica per il Paese, come le utenze, i media, le banche, il settore energetico sono di nuovo in mano ungherese. Ciò andava a ledere notevoli interessi e ha causato non poche critiche, certo, ma risulta vantaggioso per la popolazione. Secondo i dati dell’Unione Europea, a partire dal 2010, un milione di ungheresi hanno potuto sollevarsi dalla povertà.
L’Ungheria è membro dell’Unione Europea, alla quale abbiamo voluto fin dall’inizio appartenere. L’Europa gode di una grande popolarità tra gli ungheresi. Ciò non vuol dire però un entusiasmo acritico. E soprattutto non l’accettazione di una sorta di cittadinanza di seconda categoria. Uno degli obiettivi fondamentali dell’Ungheria è quello del rafforzamento dell’Europa Centrale. Si tratta dei cosiddetti Paesi di Visegrád, ma non solo. Una regione le cui nazioni hanno avuto tanto in comune, nonostante molte tensioni, soprattutto nell’ultimo secolo. Una regione che ha spesso dovuto lottare per conservare la propria libertà e la propria identità dalle ingerenze di grandi potenze. Una regione la cui ricchezza è data dalla sua varietà linguistica, culturale e religiosa, che pure forma una cultura caratteristica di questa regione. Alcuni la chiamano Mitteleuropa.
Bisogna chiarire, infine, per evitare fraintesi, che il fatto che il governo ungherese professi orgogliosamente il cristianesimo come parte fondamentale dell’identità della nazione e come guida della propria azione politica, non vuol dire che voglia costruire uno Stato confessionale. La società ungherese, tutto sommato, non è meno secolarizzata di altre società europee. Vuole semplicemente dire che il cristianesimo è parte della cosiddetta identità costituzionale del paese e della Nazione. Un governo democratico ha il dovere di tenere presente tale identità, che va oltre i desideri del momento di alcuni gruppi di potere o di opinione. Certo, nessuno vuole affermare che i politici in Ungheria siano tutti dei «santi», che non ci siano errori o sbagli. Ma l’importante è avere chiara la direzione e l’obiettivo da perseguire, basandosi su dei princìpi saldi.
Note:
(1) Cfr. Winston Churchill, Discorso al Westminster College di Fulton (Missouri), 5-3-1946; reperibile nel sito web <https://web.archive.org/web/20140507002405/https://www.winstonchurchill.org/learn/biography/in-opposition/qiron-curtainq-fulton-missouri-1946/120-the-sinews-of-peace> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 27-12-2019).
(2) «Ungarn hat damals den ersten Stein aus der Mauer geschlagen» (Helmut Kohl, Discorso al parlamento ungherese, Budapest, 18-12-1989; notizia nel sito web <https://www.bundesregierung.de/breg-de/aktuelles/kohl-dankt-den-ungarn-480470>.
(3) Angela Merkel, Discorso in occasione del 30° aniversario del Picnic Paneuropeo, Sopron (Ungheria), 19-8-2019; notizia in Merkel meets Orban in Hungary to commemorate «Pan-European Picnic», in Dw. Made for Minds, nel sito web <https://www.dw.com/en/merkel-meets-orban-in-hungary-to-commemorate-pan-european-picnic/a-50075892>.
(4) Péter Erdő, Il cambiamento pacifico di sistema e il ruolo della Chiesa cattolica in Ungheria (1989-2019), intervento di apertura al convegno internazionale su La situazione economica, sociale e spirituale dei paesi dell’Europa centrale alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, promosso dalla Fondazione Ratzinger a Budapest, l’8-10-2019, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 9-10-2019.
(5) Ibidem.
(6) Prime Minister Viktor Orbán’s speech at the 12th Congress of the Federation of Christian Intellectuals (KÉSZ), 14-9-2019, in About Hungary, nel sito web <http://abouthungary.hu/speeches-and-remarks/prime-minister-viktor-orbans-spee-ch-at-the-12th-congress-of-the-federation-of-christian-intellectuals-kesz>.
(7) Cfr. La Legge Fondamentale dell’Ungheria, Professione nazionale, trad. it., in Eurasia. Rivista di studi geopolitici, anno VII, n. 2, maggio-agosto 2011, p. 3.
(8) Prime Minister Viktor Orbán’s speech at the 12th Congress of the Federation of Christian Intellectuals (KÉSZ), cit.