Giovanni Cantoni nel ricordo dei suoi militanti
Daniele Fazio, Cristianità n. 401 (2020)
«Sono stato preso a lungo per un uomo del passato, un reazionario. Non si è mai immaginato per un momento che il richiamo al passato poteva essere una nostalgia dell’avvenire». Queste parole di Gonzague de Reynold (1880-1970), Giovanni Cantoni (1938-2020) applicava a sé a chiusura dell’Introduzione al testo Per una civiltà cristiana nel Terzo Millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo (1).
Uomo di pensiero e d’azione, durante la sua esistenza egli ha lavorato perché l’Europa riconoscesse le sue radici cristiane e i suoi abitanti, vivificati da questa linfa, potessero dar vita a una nuova società cristiana. Il quadro di riferimento dei suoi sforzi intellettuali e operativi proveniva dalla scuola cattolica contro-rivoluzionaria, il cui pensiero ebbe il merito di far conoscere e diffondere in Italia. Di tale corrente, a giusto titolo, può essere annoverato tra i maestri più lucidi del nostro tempo.
Ma quale è stato il nucleo centrale del pensiero di Cantoni? Innanzitutto la considerazione che una civiltà cristiana in Europa sia esistita. Essa — nonostante i difetti umani — ha rappresentato storicamente il tentativo di una sintesi tra la fede e la vita, la fede e la cultura e la fede e la politica dei popoli europei. Tale società — che fonda i suoi pilastri su elementi greci, romani, celtici, germanici — ha trovato storicamente nel cristianesimo il suo collante, il suo denominatore comune. Questo vasto organismo sociale — con le sue appendici mondiali, la Magna Europa — ha subìto un’aggressione, detta con un linguaggio di scuola, Rivoluzione. Essa non è altro che il tentativo, metafisico e secolare, di strappare — gradualmente ma decisamente — il cristianesimo dal cuore dei popoli occidentali, sostituendolo con il veleno del disordine religioso, morale, politico ed antropologico.
Davanti a questa analisi si apre una grande avventura per il cattolico del Terzo Millennio. Analizzato l’immane processo della scristianizzazione, la convinzione profonda è alimentata dalla speranza: se una cristianità è esistita, un’altra cristianità è possibile, in Europa. Non si tratta, quindi, di nessun ritorno al passato, né di un tentativo di mera conservazione, bensì del tentativo appassionato, dottrinalmente fondato e operativamente mirato di preparare un contesto socio-culturale-politico in cui la proposta cristiana possa fecondare di nuovo la vita dell’uomo e il rapporto tra uomini.
La nuova civiltà cristiana, dunque, non è il risultato di un’operazione politico-statalista. Non è calata dall’alto o concepibile come se fosse un programma di un partito politico, bensì il risultato storico della coerenza dei singoli e delle comunità civili con la fede. La cristianità medievale non fu imposta da nessuno, ma scaturì come il risultato istituzionale della volontà della maggioranza degli «europei» di voler vivere comunitariamente da cristiani.
Nel campo dell’Europa sempre più scristianizzata, senza illusione alcuna, Cantoni sentì la chiamata a lavorare incessantemente, cercando uomini disponibili innanzitutto al combattimento spirituale, alla loro conversione continua, disponibili ancora a formarsi dottrinalmente e quindi poter reagire al pensiero rivoluzionario dominante, proiettandosi quindi nell’avventura dell’edificazione di una società «a misura d’uomo e secondo il piano di Dio» (2). In altri termini, egli si mise al servizio della rigenerazione di uomini, spiritualmente, moralmente, culturalmente per rigenerare istituzioni storico-sociali.
La «nostalgia dell’avvenire» si rivela, dunque, come una terminologia iconica che descrive splendidamente e suggella l’opera di Giovanni Cantoni, un vero e proprio missionario della sintesi tra la fede e la cultura, al servizio dell’ideale della vera Europa, che o sarà cristiana o non sarà per niente.
Note:
(1) Giovanni Cantoni, Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo, Sugarco, Milano 2008, p. 10.
(2) Cfr. Giovanni Paolo II (1978-2005), Discorso ai partecipanti al convegno ecclesiale della CEI del 31 ottobre 1981 nel 90° della Rerum Novarum.