C’è un pericolo sempre in agguato: farci un’immagine distorta del Messia e della sua missione. È quello che Gesù rimprovera a san Pietro nel Vangelo della XXII domenica del Tempo ordinario.
di Michele Brambilla
«L’odierno brano evangelico (cfr Mt 16,21-27)», spiega Papa Francesco introducendo l’Angelus di domenica 30 agosto, XXII domenica del Tempo ordinario, «è collegato a quello di domenica scorsa (cfr Mt 16,13-20). Dopo che Pietro, a nome anche degli altri discepoli, ha professato la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio, Gesù stesso incomincia a parlare loro della sua passione. Lungo il cammino verso Gerusalemme, spiega apertamente ai suoi amici ciò che lo attende alla fine nella città santa: preannuncia il suo mistero di morte e di risurrezione, di umiliazione e di gloria».
La reazione degli Apostoli non è quella che ci si aspetterebbe da chi seguiva Cristo da molto tempo: «[…] i discepoli hanno una fede ancora immatura e troppo legata alla mentalità di questo mondo (cfr Rm 12,2). Loro pensano a una vittoria troppo terrena, e per questo non capiscono il linguaggio della croce». «Di fronte alla prospettiva che Gesù possa fallire e morire in croce, lo stesso Pietro si ribella e gli dice: “Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai!” (Mt 16,22)»: questo perché «crede in Gesù – Pietro è così – ha fede, crede in Gesù, crede; lo vuole seguire, ma non accetta che la sua gloria passi attraverso la passione. Per Pietro e gli altri discepoli – ma anche per noi! – la croce è una cosa scomoda, la croce è uno “scandalo”, mentre Gesù considera “scandalo” il fuggire dalla croce, che vorrebbe dire sottrarsi alla volontà del Padre, alla missione che Lui gli ha affidato per la nostra salvezza».
Ecco allora l’invito «va’ dietro a me, Satana», che Gesù rivolge a Pietro, ma anche a tutti noi. Anche noi, infatti, potremmo sentirci apostrofare in questo modo: «tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,22). «Nei momenti di devozione, di fervore, di buona volontà, di vicinanza al prossimo», assicura il Papa, «guardiamo Gesù e andiamo avanti; ma nei momenti in cui viene incontro la croce, fuggiamo. Il diavolo, Satana – come dice Gesù a Pietro – ci tenta. È proprio del cattivo spirito, è proprio del diavolo allontanarci dalla croce, dalla croce di Gesù». Il vero cattolico non ha paura della croce e neppure di “dare scandalo” nel senso di sfidare la mentalità dominante, contraria al Vangelo: «la Bibbia dice che la vita del credente è una milizia: lottare contro il cattivo spirito, lottare contro il Male», pertanto «la croce è segno santo dell’Amore di Dio, è segno del Sacrificio di Gesù, e non va ridotta a oggetto scaramantico oppure a monile ornamentale», indossato con leggerezza. «Pensando a questo», rimarca il Pontefice, «facciamo in modo che la croce appesa alla parete di casa, o quella piccola che portiamo al collo, sia segno del nostro desiderio di unirci a Cristo nel servire con amore i fratelli, specialmente i più piccoli e fragili». È un richiamo alla coerenza, a riunire fede e vita, dottrina e morale, secondo la logica prettamente cattolica dell’et-et.
Proprio perché il sacrificio di Cristo è reale e ci invita a non fuggire la realtà concreta, ma a farla germogliare, il Santo Padre ricorda che il 1 settembre ricorre la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato: «da questa data, fino al 4 ottobre, celebreremo con i nostri fratelli cristiani di varie Chiese e tradizioni il “Giubileo della Terra”, per ricordare l’istituzione, 50 anni fa, della Giornata della Terra».
Il Pontefice si sofferma, però, anche sulle tensioni nel Mar Egeo, dove nelle scorse settimane si sono moltiplicati gli atti provocatori da parte della Turchia nei confronti della Grecia: «seguo con preoccupazione le tensioni nella zona del Mediterraneo orientale, insidiata da vari focolai di instabilità. Per favore, faccio appello al dialogo costruttivo e al rispetto della legalità internazionale per risolvere i conflitti che minacciano la pace dei popoli di quella regione».
Lunedì, 31 agosto 2020