In vista dell’incontro di Papa Benedetto XVI con gli artisti, del 21 novembre 2009, un gruppo di studiosi e persone a vario titolo interessate all’argomento ha creduto opportuno portare all’attenzione dell’intera comunità cattolica la questione dell’arte e della musica sacra, ambiti in cui si è verificata una sorta di “epifania” di quella errata interpretazione e ricezione del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) — ampiamente sconfessata dal magistero — all’insegna della rottura e della novità a tutti i costi invece che come rinnovamento nella continuità. Il testo è concepito in forma di supplica, ma soprattutto di sostegno al Santo Padre e alla sua opera di educazione allo spirito della liturgia. Fra i promotori il giornalista Marco Respinti, di Alleanza Cattolica. Fra i sottoscrittori, Giovanni Cantoni, direttore di Cristianità, il sociologo Massimo Introvigne, l’avvocato Giovanni Formicola e il dottor Marco Invernizzi, entrambi di Alleanza Cattolica. L’appello è sul sito Internet <http://appelloalpapa.blogspot.com>.
Chiesa e Arte
a. Beatissimo Padre, è ormai da molti anni che la Chiesa Cattolica esperimenta, con grande smarrimento, confusione e perplessità dei suoi fedeli, per usare le parole del Suo augusto predecessore Giovanni Paolo II, nel suo bimillenario e armonioso rapporto con tutte le Muse dell’arte una nuova epoca, molto contrastante con le precedenti. Una nuova epoca, segnata dalla ribellione e dal disprezzo dell’arte contemporanea verso “le forme vive o le forme degli esseri viventi”, secondo la definizione di Ortega y Gasset [José (1883-1955)], ossia verso il realismo figurativo che ha caratterizzato nei millenni il desiderio di ogni più vario linguaggio artistico di illustrare con dovizia, armonia e splendore tutte le realtà invisibili per dare un luogo degno all’Ostia consacrata.
b. La via per il recupero di un sano rapporto fra arte e Chiesa Cattolica venne indicata già nel 1964 da Sua Santità Papa Paolo VI [1963-1978], nel memorabile Discorso agli Artisti, di cui con il Suo paterno gesto ora Lei vuole segnare la ricorrenza.
Il Santo Padre Suo augusto predecessore indicava allora i seguenti punti per il rilancio di un “patto” fra artisti e Chiesa:
I. “Se vogliamo dare, ripetiamo, autenticità e pienezza al momento artistico religioso, alla Messa, è necessaria la sua preparazione, la sua catechesi; bisogna in altri termini farla prendere o accompagnare dalla istruzione religiosa. Non è lecito inventare una religione, bisogna sapere che cosa è avvenuto tra Dio e l’uomo, come Dio ha sancito certi rapporti religiosi che bisogna conoscere per non diventare ridicoli o balbuzienti o aberranti. Bisogna essere istruiti. E Noi pensiamo che nell’ambito della Messa dell’artista, quelli che vogliono manifestarsi artisti veramente, non avranno difficoltà ad assumere questa sistematica, paziente, ma tanto benefica e nutriente informazione”.
II. “C’è poi bisogno del laboratorio, cioè della tecnica per fare le cose bene. E qui lasciamo la parola a voi che direte che cosa è necessario, perché l’espressione artistica da dare a questi momenti religiosi abbia tutta la sua ricchezza di espressività di modi e di strumenti, e se occorre anche di novità”.
III. “E da ultimo aggiungeremo che non basta né la catechesi, né il laboratorio. Occorre l’indispensabile caratteristica del momento religioso, e cioè la sincerità. Non si tratta più solo d’arte, ma di spiritualità. Bisogna entrare nella cella interiore di se stessi e dare al momento religioso, artisticamente vissuto, ciò che qui si esprime: una personalità, una voce cavata proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travestimento di palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore; è l’Io che si trova nella sua sintesi più piena e più faticosa, se volete, ma anche la più gioiosa. Bisogna che qui la religione sia veramente spirituale; e allora avverrà per voi quello che la festa di oggi, la Ascensione, Ci fa pensare. Quando si entra in se stessi per trovare tutte queste energie e dar la scalata al cielo, in quel cielo dove Cristo si è rifugiato, noi ci sentiamo in un primo momento, immensamente, direi, infinitamente lontani”.
c. Santità: a distanza di 45 anni da quelle parole, i risultati sono modesti, se non del tutto deludenti. Vediamo crescere di giorno in giorno edifici sacri spogliati del sacro e costruiti senza alcuna cognizione della liturgia, ma modellati sul funzionalismo o sull’estro inconsulto e arbitrario dell’architetto creatore. Vediamo le nostre chiese pullulare di immagini e simbolismi al più genericamente “religiosi”, ma che non illustrano alcuna realtà genuinamente cattolica, o — peggio — che distorcono la somma verità dell’Incarnazione. Vediamo i nostri sacri Lezionari rigurgitare di puerili ed informi disegni che paiono degna introduzione a quelle celebrazioni che la Santità Vostra, da cardinale, aveva gia stigmatizzato come “liturgie degenerate in show” (Prefazione a Klaus Gamber [1919-1989], La réforme liturgique en question), in grado di devastare e ridicolizzare la capacità stessa delle Muse dell’arte di significare e illustrare le cose di Dio. E udiamo sempre più melodie e canti che, nella loro prosaicità, nulla hanno a che vedere ormai con la solenne tradizione della melopea gregoriana. In una parola l’arte e l’architettura sacre oggi non sembrano favorire l’incontro dolce e vivificante con l’unico vero Dio, quanto piuttosto ostacolarlo e pervertirlo costantemente.
I. Le cause della presente situazione
Santità, nonostante siano trascorsi quattro secoli dalla sua pubblicazione, il Discorso intorno alle immagini sacre e profane del cardinal Gabriele Paleotti [1522-1597], del 1582, ci pare esponga con invariata chiarezza la causa principale dello sbandamento attuale: “È nostro parere che gli abusi non siano tanto da ascrivere agli errori che gli artisti commettono nel dar forma alle immagini, quanto piuttosto agli errori dei signori che le commissionano e che trascurano di commissionarle come si dovrebbe: essi sono le vere cause degli abusi, in quanto gli artisti non fanno che seguire le loro indicazioni”.
II. I riferimenti teologici
a. Beatissimo Padre, i tre noti e imprescindibili fondamentali dell’estetica cattolica Integritas, Proportio, Splendor formae, possono essere riassunti nella richiesta di “Bellezza della Verità”. L’unità, la verità, la bontà e la bellezza concorrono in modo determinante e insostituibile alla piena comprensione del Sacro trinitario e della liturgia che ne discende: ne costituiscono lo statuto fondamentale, qualificano la natura stessa della Res sacra e a un tempo della relazione di dipendenza con essa del fedele riunito a Cristo e alla Chiesa. Se “pulchrum est quod visum placet”, ossia “bello è ciò che visto piace”, l’arte sacra deve per sua natura “poter piacere e dilettare sommamente e tutti”.
b. La divina somiglianza tra Padre e Figlio (cfr. Gv 14, 9), che nella Trinità è perfetta, sostanziale e piena, si sparge nella creazione per partecipazione, e vi si sparge proprio a causa del fatto che la ss. Trinità vuole avere anche fuori della sua arcana trascendenza delle creature, immagini di Sé, capaci di compiere intelligentemente e dunque liberamente la stessa santa liturgia che Essa compie in Sé. Il principio di somiglianza, così come governa la liturgica relazione generativa tra Padre e Figlio, governa anche, se pur in via subordinata e analogica, la liturgica relazione fuori della Trinità quando realizzata da altri uomini che non siano il Cristo: quello di Cristo è il Modello carnale perfetto — determinato dai due sacri Nomi riconosciuti da san Tommaso [d’Aquino (1225 ca.-1274)] e san Bonaventura [da Bagnoregio (1217 ca.-1274)] Verbum e Imago — sulla terra della liturgica relazione spirituale compiuta dal Figlio nei Cieli. L’Incarnazione del Signore è principio e fonte dell’arte sacra. Un’arte che irrida, non rispetti fedelmente, o perda il dogma dell’Incarnazione, rinnegando in una nuova iconoclastia il Verbum e l’Imago attraverso l’astrattismo, la rinuncia alle forme o la rinuncia tout court a ogni rappresentazione, è incompatibile con la definizione di “arte sacra cattolica”.
c. La liturgia non è qualcosa di costruito artificialmente, intellettualistica creazione per inventare un’esperienza religiosa temporalmente definita: essa è invece il Cantico di sacrificio compiuto da Dio stesso alla Gloria di Dio unitamente al coro delle creature ed è l’Ingresso nella Realtà trinitaria stessa. La liturgia ci invita a rivolgerci al Signore distogliendo lo sguardo da noi stessi o da altre creature per fissarlo, attraverso lo stesso sacerdote celebrante in persona Christi, nella Gloria del Padre. Dunque, la liturgia è sacra perché scende dall’alto, da Dio Trinità che è nei cieli, perciò è “il Cielo sulla terra”, ed è sacra inoltre perché così deificante risale attraverso il sacrificio di Cristo al Padre che è nei Cieli. A tale scopo l’arte non può non essere intesa che come “ancella della liturgia” ed essere in tutte le sue forme coerente con l’affermazione dell’Areopagita [Dionigi (sec. V)] che la intende quale “rappresentazione visibile di spettacoli misteriosi e soprannaturali” tanto quanto fortissimamente reali.
d. Il percorso parallelo e l’intima integrazione dell’arte con la liturgia non ne concludono altresì il senso. L’opera artistica e architettonica, a differenza della liturgia, permane anche dopo la conclusione della liturgia stessa. Essa ha perciò il compito aggiuntivo di essere eco della liturgia, una volta che questa sia terminata. Pertanto la decorazione della chiesa e la sua struttura architettonica debbono rivendicare una inalienabile funzione pedagogica e protrettica verso la fedeltà al messaggio evangelico e liturgico, che così anticipa e protrae la comunicazione con il Signore nella Sua dimora.
e. Fedeltà all’Incarnazione e fedeltà alla liturgia sono dunque i cardini dell’arte sacra cattolica.
III. La Committenza
a. Padre Santo, il sacerdote e il liturgista hanno sempre avuto chiara la responsabilità insita nell’identità cristiana e cattolica della committenza: di qui ne discende la necessità di verificare anche l’identità dell’artista che, qualora non fosse altrettanto limpida, deve compiere un itinerario che parta dalla sua vocazione tecnica per giungere a quella cristiana — e liturgica — che sola può permettergli di creare un’arte sacra. Questo mette al riparo da ogni relativismo culturale e consente altresì di valorizzare le culture locali e le identità devozionali locali.
b. La necessità di sviluppare le devozioni locali trova giustificazione nelle diversità culturali, autentica ricchezza della Cattolicità. L’espunzione dei culti locali dai programmi iconografici di molte chiese contemporanee è una violenza culturale. Un sapiente uso delle immagini della devozione locale aiuta infatti lo sviluppo di un senso di appartenenza della Chiesa al contesto geografico e umano, oltre a rinfrescare il ricordo del radicamento della comunità locale nella storia della Chiesa. L’opera artistica può assurgere a utile e santo strumento nella rivitalizzazione delle devozioni locali, sempre però attingendo alla tradizione iconografica del soggetto, senza la quale verrebbe paradossalmente negata proprio tale continuità storica, rispetto agli obiettivi della rappresentazione.
c. La desacralizzazione dei decenni più recenti ha reso incapaci di stupore e di diletto chierici e fedeli, stupore e diletto che dipendono proprio dalla presenza del Sacro. Il sacro cristiano è una conseguenza cristologica, dato che Gesù Cristo è il Verbo e Volto del Padre fatti carne per noi. Se l’Incarnazione è la cifra essenziale, non è l’uomo che diventa Dio, ma è Dio che è diventato uomo. Per questo motivo nell’arte cristiana bisogna insistere sul ruolo dell’immagine. “L’ars celebrandi deve favorire il senso del sacro e l’utilizzo di quelle forme esteriori che educano a tale senso, come, ad esempio, l’armonia del rito, delle vesti liturgiche, dell’arredo e del luogo sacro” (Sacramentum caritatis, n. 42).
d. L’assenza nel percorso formativo del clero di indirizzi su arte e architettura sacra è oggi percepita come una grave lacuna. È dunque fortemente sentita la necessità di istituire un percorso di formazione artistica e architettonica fino al livello universitario patrocinato dalla Chiesa di Roma. Tale percorso dovrebbe tuttavia esser sempre integrato da norme e canoni che possano rendere la Chiesa cattolica autonoma e chiara Madre di una coerente arte ed architettura sacra.
IV. Gli Artisti
a. Santità, è evidente un diffuso analfabetismo religioso degli artisti. Sarebbe opportuno introdurre apposite catechesi teologico-liturgiche al fine di adempiere a quanto già espresso dal Servo di Dio Papa Paolo VI nel suo summenzionato incontro con gli artisti.
b. L’artista deve essere innanzitutto tale, ovvero deve possedere una oggettiva maestria per eseguire quanto gli viene commissionato e nello stesso tempo deve conoscere e quantomeno apprezzare il Credo della Chiesa e la sua Liturgia. Se in passato talvolta il primo requisito è stato negletto, oggi rischia di esserlo anche il secondo.
c. La costruzione di un edificio sacro cristiano o una composizione musicale per la liturgia sono annuncio permanente di Gesù Cristo all’uomo. L’attività creatrice dell’artista non può dunque in alcun modo prescindere dalla morale e dalla fede. San Paolo ha esortato i cristiani a conoscere Cristo “secondo lo Spirito” e a non conformarsi alla mentalità mondana. Ciò implica che la conoscenza interiore di Gesù porta alla conversione e all’abbandono di ogni accorgimento mondano. Un artista non credente può giungere a realizzare una chiesa solo se, operando, si immedesima nel mistero della fede o alfine ne scopre la grazia: la sua arte allora diventerà testimonianza del vero ricercato e trovato nell’opera. Tuttavia, ciò è possibile soltanto grazie a una sincera disponibilità ad apprezzare le verità di fede per le quali opera, e che, tramite la Chiesa, introducono a un più perfetto modo di conoscere e poi vivere la divina Realtà.
d. Essere contrari alle “grandi firme” non significa che i progetti di un architetto non credente o non cristiano o cattolico non praticante siano inutili e sempre fuorvianti. Possono invece risultare quali premesse o prove per un’istruzione che porti alla conversione o a un cammino di fede, prima che a progetti di edifici sacri veri e propri. La fede è dunque un requisito primario per far chiese o arte sacra.
e. L’artista cristiano è umile e quasi non compare: a lui come a tutti è richiesta la conversione. Nella Sua qualità di cardinale, Lei, Santissimo Padre, ricordava che per essere condotti ad un nuovo modo di vedere, prima si deve cambiare il cuore: a partire dal centro interiore che è la croce e la risurrezione (Cfr. Introduzione allo spirito della liturgia, p. 117). Perciò gli orientali esigono che per fare una icona ci voglia il digiuno e la preghiera. Senza un animo almeno aperto alla fede non si può produrre arte sacra adatta alla liturgia.
f. Ne consegue la necessità della conoscenza della Liturgia e della Scrittura, la continuità con la Tradizione e col Magistero di due millenni: l’artista cristiano non lavora da solo ma in comunione e in continuità con la comunità ecclesiale di tutti i tempi. Una chiesa contemporanea non può essere in rottura con le forme e i materiali consacrati dalla tradizione, pur innovandoli e sviluppandoli dall’interno.
g. La bellezza divina è, alla pari della verità, un fondamento ontologico dell’arte sacra. La caratteristica della liturgia è l’intima connessione della celebrazione rituale col suo simbolismo gestuale, linguistico e artistico, dunque con la disposizione architettonica e iconografica che ne illustrano la mistagogia o interpretazione liturgica. Perché nella liturgia Dio si rivela e si fa realmente presente all’uomo. Ne segue che in qualche modo anche l’artista è ministro (“servo”) della Bellezza “aletica”, cioè della “Bellezza della Verità” di cui si diceva sopra.
h. Se l’artista è umile, non c’è bellezza migliore che lasciarsi trasformare da Cristo. Solo così la bellezza, che abbiamo visto provenire solo dal Cristo, può salvare il mondo mettendo ordine: l’ordine dell’amore. Per questo alla fine “solo l’amore è credibile”. Come può un artista costruire una chiesa, immagine del corpo di Cristo, senza l’amore teologale?
i. Dunque l’arte sacra cristiana — cioè un’arte ordinata alla liturgia — si fonda su uno sguardo che si apre in profondità, poggia sulla dimensione ecclesiale della fede, che è oggettiva, realistica e condivisa, chiede che l’artista sia formato interiormente nella Chiesa (cfr. ibidem, p 127-131). La libertà dell’arte non significa arbitrio, ma adesione libera alle esigenze obbliganti della fede. Senza fede non c’è arte adatta per la liturgia, ma un conoscere Cristo meramente “secondo la carne”.
V. Lo Spazio Sacro
a. Beatissimo Padre, come Lei scriveva ancora da cardinale, “nella liturgia eucaristica […] il sacerdote guida il popolo nella preghiera ed è rivolto al Signore” (Prefazione a Uwe Michael Lang d.O., Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica [trad. it., con Postfazione di don Nicola Bux, Cantagalli, Siena 2006; cfr. recensione di Stefano Chiappalone in Cristianità, anno XXXIV, n. 336, luglio-agosto 2006, pp. 29-31]), dunque in ogni chiesa il centro ideale è Colui che in essa dimora e che quasi la fa ed è (cfr. Gv 2, 21). Sarebbe opportuno quindi reintrodurre l’orientamento a Cristo, e tornare a rendere regnante fulcro dello spazio sacro il Tabernacolo e la Presenza Reale del Signore.
b. Per reintrodurre la definizione di “spazio sacro” nel concetto di templum bisogna ripercorrere i suoi fondamenti costitutivi. La sacralità dell’edificio chiesastico è un dato oggettivo dopo la sua consacrazione, atto che taglia una porzione di spazio agli usi profani e lo dedica, lo consacra, al culto di Dio. Per questa procedura le chiese possono ben essere dette anche templi, come manifesta l’etimologia della parola tempio dal greco τέμνω, “tagliare”, da cui poi τέμενος, “recinto”. Per esprimere questa caratteristica, di essere uno spazio dal quale gli usi mondani sono “tagliati fuori”, sono necessari alcuni accorgimenti progettuali che si trovano espressi in modo variabile durante tutta la storia dell’edilizia ecclesiastica. Uno dei requisiti fondamentali per esprimere la sacralità di un edificio è l’espressione magniloquente della sua alterità rispetto ai circostanti. La tradizione ci ha trasmesso l’uso della monumentalizzazione dell’ingresso a sottolineare l’importanza del varco della soglia e il suo carattere transitivo tra due dimensioni diverse, e così anche l’interno delle chiese è stato caratterizzato da numerosi recinti a protezione delle aree di stretto uso sacerdotale da quelle laicali, e a loro volta quelle dedicate ai sacramenti — per esempio del battesimo e della confessione — da tutte le altre.
c. È necessario ricorrere ancora alla fonte primaria della sacralità dello spazio di culto cristiano per rendersi conto che il vecchio rituale di consacrazione dell’edificio era di fatto una forma del rituale del battesimo, ripetendo schematicamente e secondo possibilità i gesti e i significati annessi del rito del battesimo degli uomini sul corpo lapideo dell’edificio. La Chiesa, corpo mistico di Cristo, prende corpo similmente nella chiesa edificio e, come un uomo si dedica a Cristo dal suo battesimo, così per l’edificio si fa altrettanto. Nella sua comparazione al corpo battezzato, dunque, è inevitabile che nell’edificio consacrato si faccia allusione al corpo umano, massima creazione divina. Oltre alla pianta a forma di croce, molto spesso usata per le medesime ragioni, un elemento di somiglianza più generico ma anche più sostanziale è la simmetria, criterio di composizione che inoltre informa una tanto grande parte della creazione. Come fosse l’interno del corpo di un uomo consacrato, all’interno della chiesa è bene regni una misura di simmetria.
d. Un terzo criterio utile alla definizione dello spazio sacro cristiano è la gerarchia degli spazi. Si intende pertanto sia una gerarchia nella disposizione spaziale delle diverse parti che compongono il luogo di culto, sia una gerarchia della decorazione delle stesse. Quanto alla prima è opportuno che gli spazi dove si compiono le azioni liturgiche siano posizionati su un piano più elevato degli altri, elevazione che esprime l’importanza delle azioni da compiersi, che diventa simbolo del cammino di elevazione dell’uomo verso Dio, che avvicina al cielo, luogo simbolico della presenza divina, che infine aiuta la visibilità. Quanto alla seconda è opportuno altresì che la decorazione operi una gradazione dagli spazi meno sacri a quelli più sacri, gradazione per materiali, colori, soggetti. Anche questa gradazione infatti ha il compito di partecipare alla medesima gerarchizzazione degli spazi che si opera in architettura attraverso la soprelevazione.
e. Un quarto mezzo per sottolineare il carattere sacrale dello spazio di culto è il sapiente uso della luce, anch’essa calibrata da luogo a luogo, poiché prima di ogni altro elemento la luce è stata oggetto di similitudini con la sapienza divina.
f. L’architettura e l’arte si propagano per epigonia dei maestri affermati e nella cultura moderna, essendo vietata l’imitazione come processo formativo e creativo, accade che l’epigonia si trasformi in metastasi progettuali dai danni più gravi e irreparabili. Il corpus delle chiese storiche non è stato costruito semplicemente da Michelangelo [Buonarroti (1475-1564)], Palladio [Andrea (1508-1580)] o Bernini [Gian Lorenzo (1598-1680)], ma da una moltitudine di loro epigoni che nei secoli hanno provato a imitarli, valorizzando una imitatio nobile e proficua in giro per il mondo: i risultati sono quelli di un’edilizia sacra straordinaria nel valore artistico, architettonico e religioso grazie proprio al processo “imitativo” e non solo “interpretativo”, con cui si è tramandato questo sapere. Per questo motivo l’architettura classica e tradizionale è la più idonea alla costruzione di edifici religiosi; perché è fatta di oggettività condivisa che si sposa adeguatamente con il messaggio di verità oggettiva che la Chiesa deve trasmettere. Gesù Cristo e i vangeli non possono essere interpretati nelle soggettività che non vogliono adeguarsi all’universalità del loro messaggio: essi sono verità oggettive e assolute consolidate dalla fede; astrattismi, evocazioni simboliche, interpretazioni che vogliono scavalcare la rappresentazione sensoriale della realtà, intesi quali capisaldi dell’arte moderna in genere, non possono appartenere alla Chiesa come istituzione, tanto meno alla chiesa come edificio che deve ospitare e incarnare la certezza, la verità e la bellezza della presenza oggettiva e reale di Dio.
VI. Musica Sacra e Canto Liturgico
a. Santità, la Chiesa ha oggi l’opportunità di riappropriarsi del suo ruolo “altamente” magisteriale in materia di musica sacra e principalmente nel campo della musica e del canto liturgici, che debbono necessariamente rispondere alle categorie del “buono” e del “giusto” per la loro intima coincidenza, e non solo corrispondenza, con la liturgia stessa (Paolo VI, Discorso ai cantori della Cappella pontificia, del 12 marzo 1964).
b. Nella millenaria storia del Cristianesimo il dialettico rapporto fra musica sacra e musica profana ha prodotto più volte l’intervento dell’Autorità ecclesiastica per “ripulire l’edificio della liturgia romana” — perifrasi espressamente usata da molti Pontefici — dalle intrusioni secolaristiche che proprio la musica portava nelle chiese e che, con il passare dei secoli e il progressivo sviluppo tecnico-musicale, sono divenute sempre più gravi e debordanti dal corretto uso liturgico, finendo spesso per arrogarsi ruoli auto-referenzianti di natura profana. Dai tempi della Cost. Ap. Docta Sanctorum di Papa Giovanni XXII [1316-1334], del 1324, il Magistero ha sempre indicato i retti modi di intendere la musica al servizio del culto, approvando via via quelle novità tecniche compatibili con la liturgia, ma additando sempre e costantemente fino ai nostri giorni (compreso il Magistero del Concilio Vaticano II e dell’intero post-Concilio) nel canto gregoriano la radice primigenia, la fonte di ispirazione costante, la più alta — proprio perché semplicemente nobilissima — forma di musica che possa incarnare l’ideale liturgico cattolico nel modo più perfetto, anche in virtù del suo oggettivante anonimato meta-storico e della sua verace universalità estetica, verbale, sensibile.
c. Non possiamo oggi certamente stabilire degli stili o forme musicali pre-concette, ma il recupero del canto gregoriano, della buona polifonia e musica organistica — anche ispirate ad esso —, antiche, moderne e contemporanee, servirebbe certamente, dopo decenni di assoluto sconcerto e probabilismo musicale, a recuperare dei “vocaboli” liturgici che la Tradizione artistica e musicale cattolica ci ha offerto per secoli: essi hanno funzionato — per usare una icastica espressione di Papa Paolo VI nell’Enciclica Mysterium fidei — come vere e proprie “tessere della Fede” cattolica, la quale si è sostentata da sempre di dati sensibili, dotati di verità e bellezza, quanto alieni da intellettualismi sterili e manierati o archeologismi da evitare con ogni cura (come indicò Papa Pio XII [1939-1958] nell’Enciclica Mediator Dei da cui scaturì la riforma liturgica del secondo Novecento).
d. Forse tra le arti devolute al servizio del culto, la musica è la più forte, per quel costante senso “catechetico” che il Magistero le ha ininterrottamente riconosciuto, e parimenti la più delicata in quanto, per sua natura e contrariamente alle altre arti, necessita di un tertium medium, fra l’autore e il fruitore, ovvero l’interprete. Per tali ragioni la sollecitudine della Chiesa deve, come in passato, rivolgersi alla formazione degli autori come degli interpreti: certo lo sforzo in tal senso è infinitamente più grave che nel tardo Medioevo, nell’Età barocca, o nell’Ottocento, trattandosi di forze che oggi provengono da una società che, contrariamente al passato, di cristiano ha veramente poco e la catechesi in tal senso dovrebbe ripartire dai “fondamentali”, onde i musicisti — quando abbiano le professionalità adatte — recuperino il sensus Ecclesiæ come finanche il sensus Fidei.
VII. Adeguamento Liturgico e Naodomia
a. Santità, a seguito della pubblicazione del Suo altamente provvidente Motu proprio Summorum Pontificum nell’anno 2007, sarebbe opportuno arrestare i cosiddetti adeguamenti strutturali delle vecchie chiese al solo uso del nuovo Rito detto “ordinario”. Data la possibilità per ogni comunità cattolica di celebrare anche secondo la Forma straordinaria del Rito si invoca un arresto delle distruzioni del patrimonio che hanno imperversato negli ultimi decenni nelle chiese cattoliche con lo smantellamento iconoclasta di altari, balaustre e tabernacoli, ipocritamente giustificati dagli “adeguamenti liturgici”.
b. Sarebbe opportuno, anche in considerazione della dimensione giuridica della liturgia, valutare la possibilità che la Chiesa inizi un cammino che conduca alla definizione di “canoni” artistici e architettonici. In particolare questi ultimi, secondo una tradizione che si è vivamente conservata nella Chiesa orientale, definita “naodomia” o scienza per la costruzione del Tempio.
Appello
Per le tutte ragioni qui esposte, nella consapevolezza di ricevere dalla Santità Vostra l’ascolto paterno e con ciò l’attenzione misericordiosa del Vicario di Cristo, Vi supplichiamo, Beatissimo Padre, di voler leggere nel nostro presente accorato appello la più struggente preoccupazione per le terribili condizioni in cui oggi versano tutte le arti che sempre hanno accompagnato la sacra liturgia, nonché una modesta, umilissima richiesta d’ausilio alla Santità Vostra affinché arti e architettura sacre possano tornare a essere e mostrarsi veramente e profondamente cattoliche; affinché poi le moltitudini dei fedeli anche più semplici e indotti possano tornare a stupirsi e gioire di questa nobile e pervasiva bellezza ancora e sempre presente vivamente nella casa del Signore, e da essa tornare a raccogliere nel cuore i più alti e ancor nuovi insegnamenti; affinché infine la Chiesa possa rivelarsi, anche in questa era di mondane, irrazionali e diseducative barbarie, l’unica vera, solerte e attenta promotrice e custode di un’arte nuova e davvero “originale”, ossia in grado anche oggi, come sempre è fiorita in ogni tempo pregresso, di rifiorire dall’antico, dalla sua inclita ed eterna Origine, ovvero dal senso più intimo della Bellezza che rifulge nella Verità di Cristo.