Massimo Introvigne, Cristianità n. 357 (2010)
L’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani, come quella contro i membri di altre religioni, possono verificarsi quando la libertà religiosa o non è garantita oppure è travisata. Le mie osservazioni si fondano sulla convinzione che la dottrina sociale della Chiesa, e in particolare i documenti più recenti di Papa Benedetto XVI — che partono da argomenti di ragione e non solo di fede —, possono essere d’interesse generale, anche per i non cristiani e i non credenti, e offrire un aiuto a tutti.
I princìpi della libertà religiosa sono in genere affermati dalle Costituzioni e dalle leggi degli Stati membri dell’OSCE. Rimangono tuttavia tre possibili aree di equivoco.
La prima riguarda lo statuto della libertà religiosa. La libertà di religione non è solo uno fra i tanti elementi di una lunga lista di diritti e di libertà. È la pietra angolare di una vita sociale in cui le altre libertà possono fiorire. Parlando a Washington il 17 aprile 2008 Papa Benedetto XVI ha citato un pensatore francese, non credente, Alexis de Tocqueville (1805-1859), il quale insegnava che «la religione e la libertà sono “intimamente legate” nel contribuire a una democrazia stabile»1. Quando la libertà religiosa è considerata un diritto minore, o secondario rispetto ad altri, la libertà in generale non può essere veramente garantita.
La seconda concerne l’estensione della libertà religiosa. L’Instrumentum laboris della prossima Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi cita il fatto che in alcuni Paesi «libertà di religione vuol dire solitamente libertà di culto. Non si tratta dunque di libertà di coscienza, cioè della libertà di credere o non credere, di praticare una religione da soli o in pubblico senza alcun impedimento, e dunque della libertà di cambiare religione […]. Cambiare religione è ritenuto un tradimento verso la società, la cultura e la Nazione costruita principalmente su una tradizione religiosa»2. Al contrario, una vera libertà religiosa deve comprendere la libertà di predicare, di convertire e di convertirsi.
In terzo luogo, in alcuni Paesi la libertà di religione è considerata da alcuni con sospetto, come se implicasse necessariamente il relativismo e la negazione dell’eredità spirituale nazionale. La Chiesa Cattolica ha dovuto affrontare lo stesso problema quando si è trovata di fronte ai problemi d’interpretazione della dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965). Alcuni, anche all’interno della Chiesa, temevano che la proclamazione della libertà religiosa potesse promuovere il relativismo e l’indifferentismo. Ma in realtà, come Papa Benedetto XVI ha ripetutamente mostrato, la libertà religiosa e una ferma difesa della propria identità religiosa contro il relativismo possono e devono coesistere. La libertà religiosa è relativa all’immunità individuale e collettiva dei credenti da ogni coercizione dello Stato laico moderno nel momento della formazione e dell’annuncio della propria esperienza religiosa. Non implica invece che il credente non abbia il diritto e il dovere di esercitare un «adeguato discernimento»3 tra le diverse proposte religiose, come il Papa ha sottolineato nella sua enciclica del 2009 Caritas in veritate: «La libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali»4.
Con riferimento alla città sede dell’OSCE, possiamo dire che questi tre equivoci creano problemi sia a est sia a ovest di Vienna. A est di Vienna, i problemi circa l’estensione della libertà religiosa e il timore che la libertà di religione in senso occidentale possa indurre relativismo e un tradimento delle culture tradizionali possono generare forme normative che danneggiano le Chiese e le comunità cristiane. Fra queste vi sono il rifiuto della registrazione legale e dell’esenzione fiscale, e il rifiuto di concedere visti ai missionari o licenze per costruire edifici di culto. In alcuni paesi una virulenta propaganda anti-cristiana ha portato a una diffusa violenza.
A ovest di Vienna troppo spesso assistiamo alla marginalizzazione dei cristiani, i cui diritti di partecipare pienamente al dialogo sociale annunciando la loro fede sono limitati in nome del laicismo. Parlando alle Nazioni Unite a New York il 18 aprile 2008 Papa Benedetto XVI ha affermato che «è inconcepibile che dei credenti debbano sopprimere una parte di se stessi — la loro fede — per essere cittadini attivi; non dovrebbe mai essere necessario rinnegare Dio per poter godere dei propri diritti. I diritti collegati con la religione sono quanto mai bisognosi di essere protetti se vengono considerati in conflitto con l’ideologia secolare prevalente […]. Non si può limitare la piena garanzia della libertà religiosa al libero esercizio del culto; al contrario, deve esser tenuta in giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell’ordine sociale»5. La causa di questi problemi sembra essere il primo dei tre equivoci che ho citato. La libertà religiosa è considerata solo come uno fra tanti diversi diritti, e la sua importanza cruciale è sistematicamente sottovalutata. E il problema diventa peggiore quando fra i diritti che s’invocano per limitare la libertà religiosa vi sono — secondo l’espressione della Caritas in veritate — «presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario», e perfino «diritti» «addirittura alla trasgressione e al vizio»6. Il riconoscimento dei diritti delle minoranze religiose è certo uno sviluppo importante dei sistemi giuridici moderni. Ma i diritti delle minoranze non devono essere usati per negare i diritti delle maggioranze. Anche le maggioranze hanno i loro diritti. I cristiani, dove sono maggioranza culturale, sono oggi nel mirino di quanti pensano che la migliore società possibile debba essere completamente secolarizzata e non religiosa.
Il tempo mi permette di citare solo due esempi. Il primo riguarda un numero ormai ampio d’incidenti in Europa dove predicatori cristiani, compresi predicatori di strada, e istituzioni ecclesiali sono stati incriminati o citati in giudizio per avere criticato stili di vita e atteggiamenti relativi alla sessualità che considerano peccaminosi. Alcuni genitori sono stati multati o incriminati per avere rifiutato di mandare i loro figli a cosiddetti corsi anti-discriminazione che, a loro avviso, promuovono stili di vita che non approvano. In quest’area, come in altre, come minimo dev’essere sempre riconosciuto un ampio diritto all’obiezione di coscienza. Le proposte di legge che intendono punire come incitamento all’odio la critica religiosa di stili di vita alternativi sono percepite da molte Chiese e comunità cristiane come una seria minaccia alla loro libertà di predicazione.
Il secondo esempio riguarda la sentenza del 2009 Lautsi c. Italia, con cui la Corte Europea dei Diritti Umani ha deciso che la presenza di crocifissi nelle scuole pubbliche italiane viola i diritti dei non credenti e degli alunni che in Ita- lia, un paese a larga maggioranza cattolico, appartengono a minoranze religiose. Il caso è riesaminato dalla Camera Superiore della Corte Europea dei Diritti Umani il 30 giugno7. I sondaggi hanno confermato che un’ampia maggioranza degli italiani, l’82 per cento8 — compresa una solida maggioranza degli italiani che non sono cattolici praticanti — è favorevole a mantenere nelle scuole il crocifisso, un simbolo della più alta forma di amore oltre che dell’identità e della storia nazionale molto amato in Italia. Questo sembra un caso particolarmente chiaro dove i diritti di un’ampia maggioranza sono ignorati in nome dei diritti di una minoranza, o dell’opinione di un numero molto limitato di militanti del laicismo.
Vi sono naturalmente molti altri esempi di discriminazione contro i cristiani, sia a ovest di Vienna sia a est di Vienna. Ma credo che questi casi siano sufficienti a confermare che quello dell’intolleranza e della discriminazione contro i cristiani è un problema molto grave, che merita la più grande attenzione di questo autorevole consesso.
Note:
(*) Traduzione italiana, riveduta e annotata, della relazione introduttiva svolta in inglese alla terza sessione della conferenza diplomatica dell’OSCE, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, sul tema Tolleranza e Non-Discriminazione, tenuta il 29-6- 2010 nel Palazzo della Pace e dell’Armonia di Astana, nel Kazakhstan.
(1) Benedetto XVI, Incontro con i rappresentanti di altre religioni nella Sala «Rotonda» del Pope John Paul II Cultural Center di Washington, del 17-4-2008, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. IV, 1, 2008 (Gennaio-Giugno), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, pp. 609-613 (p. 610).
(2) Sinodo dei Vescovi, Assemblea Speciale per il Medio Oriente. La Chiesa Cattolica nel Medio Oriente: comunione e testimonianza. «La moltitudine di coloro che erano diven- tati credenti aveva un cuor solo e un‟anima sola» (At 4, 32). Instrumentum laboris, Li- breria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, n. 37, p. 11.
(3) Benedetto XVI, Enciclica «Caritas in veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, del 29-6-2009, n. 55.
(4) Ibidem.
(5) Idem, Incontro con i membri dell‟Assemblea Generale dell‟Organizzazione delle Na- zioni Unite a New York, del 18-4-2008, in Insegnamenti di Benedetto XVI, cit., pp. 618- 626 (pp. 624-625).
(6) Idem, Enciclica «Caritas in veritate» sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, cit., n. 42.
(7) La sentenza del riesame non è stata ancora emessa. 65
(8) Cfr. Franco Garelli, Gustavo Guizzardi ed Enzo Pace (a cura di), Un singolare plurali- smo. Indagine sul pluralismo morale e religioso degli italiani, il Mulino, Bologna 2003, pp. 146-147.