Achille Pierre Paliotta, Cristianità 317 (2003)
Giuseppe Brienza, Famiglia e politiche familiari in Italia, con prefazione di Rocco Buttiglione, Carocci, Roma 2001, pp. 130, € 14,20
Giuseppe Brienza, Famiglia, sussidiarietà e riforma dei servizi sociali, Città Nuova, Roma 2002, pp. 136, € 8,50
Giuseppe Brienza, dirigente dello Stato formatosi alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione di Roma, ha operato presso l’Ufficio Tematiche Familiari e Sociali del Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Collabora al Forum Nazionale delle Associazioni Familiari e svolge un’intensa attività di pubblicista e di organizzatore culturale. Brienza è autore di due studi sulla famiglia e sulle politiche familiari e assistenziali in Italia: Famiglia e politiche familiari in Italia e Famiglia, sussidiarietà e riforma dei servizi sociali.
Nella Prefazione (pp. 9-10) di Famiglia e politiche familiari in Italia, l’on. professor Rocco Buttiglione mette in evidenza come la famiglia in Italia, nonostante gli attacchi ideologici subiti, non sia morta, anzi “il 90 per cento degli italiani vive all’interno di una istituzione familiare di tipo tradizionale. Nonostante qualche artificio statistico riesca un poco a confondere le idee, gli stili di vita cosiddetti “alternativi” abbracciano una porzione limitata degli italiani” (p. 9). Da ciò deriva l’attualità dell’articolo 29 della Costituzione, che descrive la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” e che “[…] continua a riflettere le convinzioni e i comportamenti della grande maggioranza degli italiani” (p. 9).
Segue la Presentazione (pp. 11-15) della dottoressa Olimpia Tarzia, consigliere regionale e presidente della Commissione Politiche Familiari e Pari Opportunità del Consiglio Regionale del Lazio, che sottolinea la natura di soggetto sociale della famiglia, in quanto lo stesso “[…] Stato “riconosce” la famiglia, dunque riconosce un modello di realtà che lo precede. In tale societas un uomo ed una donna si uniscono in un vincolo stabile ed ufficiale per sostenersi e crescere in maniera sana i futuri cittadini” (p. 11).
L’opera consta di una breve Introduzione (pp.17-23) e di tre capitoli. Nel primo, Tradizione e modernità della famiglia italiana (pp. 25-49), Brienza si sofferma sul fenomeno delle “nuove famiglie”, riportando sia i dati statistici sia le principali innovazioni normative: fra i casi maggiormente citati dalla corrente letteratura scientifica vi sono le cosiddette “famiglie unipersonali” che, a ben guardare, sono composte soprattutto da donne vedove, anche se, negli ultimi anni, si è avuto un significativo aumento dei single fra i 18 e i 39 anni. Va comunque ribadito che “per la maggior parte dei giovani e degli adulti, in definitiva, il “viver soli” non è una condizione definitiva, ma un intermezzo tra altre esperienze di vita di coppia. Proprio per questo forte grado di instabilità […] [non bisogna] considerarlo come un modello alternativo a quello di coppia” (pp. 35-36).
Nel secondo capitolo, Politiche familiari a livello nazionale (pp. 51-88), viene ricostruita l’origine storica, risalente allo Stato fascista, di molti istituti del Welfare State, lo “Stato sociale” del dopoguerra, e sono illustrate le differenti interpretazioni dell’articolo 29 della Costituzione, formulate di volta in volta non solo da parte delle forze “progressiste”, con l’obiettivo di arrivare a equiparare altre forme di convivenza a quella della famiglia. Vengono descritte, quindi, le principali politiche di sostegno alla famiglia e, nell’ordine, gli assegni al nucleo familiare, i trattamenti fiscali, i servizi sociali dopo la riforma introdotta con la legge quadro n. 328 del 2000, la tutela della maternità, le politiche nei confronti dei genitori lavoratori e, infine, il riconoscimento del lavoro familiare.
Nel terzo capitolo, Legislazioni regionali sulla famiglia (pp. 89-118), vengono riportati e descritti i principali provvedimenti adottati nelle Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Abruzzo, Valle D’Aosta, Marche, Lombardia e Lazio.
Nella Conclusione (pp. 119-124) — cui segue una Bibliografia essenziale (pp. 125-128) — viene messo in risalto che lo “Stato sociale” italiano non è riuscito a riconoscere “[…] le basi familiari della sua crisi. Non riesce cioè a comprendere come gran parte dei suoi fallimenti derivi proprio dall’aver eroso le basi della solidarietà familiare e dal non essere stato, poi, in grado di promuoverne di nuove rispetto a quelle ormai “destrutturate” del passato” (p. 119).
La famiglia costituisce uno dei loci principali attorno a cui viene combattuta un’inesausta battaglia delle idee, nella moderna agorà telematica: si va, infatti, dall’aborto alle adozioni, dalla procreazione assistita al riconoscimento giuridico delle nuove famiglie, dalle pari opportunità alle coppie omosessuali. La tesi conclusiva è che nello sviluppo dello Stato del benessere è mancata finora, da parte di tutti i partiti politici, un’organica e coerente politica per la difesa e la promozione della famiglia.
Nella Presentazione (pp. 7-8) della seconda opera, Famiglia, sussidiarietà e riforma dei servizi sociali, il professor Ivo Colozzi, docente di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro presso l’Università degli Studi di Bologna, si rammarica che nell’approvazione della legge quadro di riforma dell’assistenza sociale n. 328 del 2000 il legislatore sia stato troppo “timido” e che i vari compromessi politici abbiano alla fine vanificato la centralità del ruolo della famiglia e delle organizzazioni del Terzo Settore, centralità, del resto, conquistata sul campo. “Uno Stato che non ha più bisogno di usare l’assistenza per legittimarsi agli occhi del popolo, come è avvenuto in Italia fino a 50 anni fa, avrebbe potuto sfruttare l’occasione dell’approvazione di una nuova legge quadro per riconoscere con serenità e verità che la gran parte dei bisogni di assistenza dei cittadini di questo paese sono soddisfatti dalle famiglie e dalle associazioni/organizzazioni che la società civile ha saputo creare e per dichiarare come proprio dovere l’impegno a mettersi al servizio di questi soggetti per sostenerne l’azione e integrarla là dove si rivela insufficiente o non del tutto adeguata” (p. 7).
Seguono l’Introduzione (pp. 9-13) dell’autore e il primo capitolo, Le origini dei servizi sociali in Italia: le “Opere pie” (pp. 15-21), dove viene ricostruita la storia dei servizi sociali in Italia, ovvero delle Opere Pie. Il discorso si appunta, poi, sull’oggetto principale dell’opera, la legge di riforma dell’assistenza sociale, compendiata molto bene nel titolo del secondo capitolo, Una riforma lungamente attesa ma precipitosamente approvata (pp. 22-26). Seguono poi i capitoli concernenti I punti di forza della legge quadro (pp. 27-53) e I punti di debolezza della legge (pp. 54-82).
Fra gli aspetti positivi del provvedimento legislativo vengono citati: a. l’istituzione di un organico Fondo Nazionale per le Politiche Sociali (articolo 4), che però si situa ancora in una prospettiva di coordinamento di tipo “centralistico”; b. la Carta dei servizi sociali (articolo 13), con cui si sollecita l’intervento attivo dei cittadini, delle famiglie e delle associazioni sociali, un vero e proprio patto fra questi e i soggetti erogatori delle prestazioni e dei servizi sociali; c. la valorizzazione e il sostegno delle responsabilità familiari (articolo16) nella progettazione e nella gestione dello stesso sistema dei servizi; d. i “buoni” per l’acquisto dei servizi sociali (articolo 17), che forse rappresenta la maggiore novità della legge: si tratta della possibilità che siano i singoli utenti a scegliere quali servizi ricevere fra i diversi soggetti erogatori accreditatisi presso le strutture pubbliche.
Fra gli aspetti negativi vengono evidenziati: a. la formulazione e le finalità della riforma (articolo 1) che può essere così sintetizzata: “L’ampiezza (e l’astrattezza) degli intenti elencati dal legislatore fa sì che, fra i limiti del provvedimento, si trovi anche quello del continuo rinvio a successivi atti regolativi e di indirizzo, sia governativi che regionali, laddove invece, nel nostro Paese, questo tipo di rinvii è spesso risultato assai poco “produttivo”” (p. 57); b. il “diritto” alle prestazioni e l’universalismo selettivo (articolo 2), secondo il quale possono accedere ai servizi non solo i soggetti in particolare difficoltà, ma anche le persone “normali”: i servizi sono cioè estesi a tutti i cittadini italiani, nonché agli stranieri regolarmente residenti, ampliando così la platea dei beneficiari, pur nel rispetto di alcune priorità d’intervento; c. l’applicazione della “sussidiarietà orizzontale” ed il ruolo del Terzo Settore nei servizi sociali (articolo 5), secondo cui l’apertura alla società civile, e ai suoi diretti rappresentanti, non è stata attuata in pieno, mancando così l’obiettivo di considerarla portatrice, al pari dello Stato, della progettazione e della gestione dell’assistenza, pur al di là di un generico riferimento; d. l’applicazione della “sussidiarietà verticale” e il ruolo degli enti locali nel nuovo sistema dei servizi sociali (articoli 6-8 e 18-19), in quanto la legge quadro è carente non solo riguardo alla sussidiarietà orizzontale ma anche rispetto alla distribuzione dei poteri e delle competenze all’interno della stessa Pubblica Amministrazione. Il tutto si sostanzia in un centralismo statuale a scapito degli enti locali, prova ne sia la redazione, ogni tre anni, di un Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali.
Seguono le Conclusioni (pp. 83-90), nelle quali l’autore, fra l’altro, segnala un aspetto, tanto interessante quanto poco conosciuto, della Welfare Reform intrapresa dall’Amministrazione degli Stati Uniti d’America guidata da George W. Bush. Si tratta della previsione “[…] che i gruppi religiosi possano competere con le organizzazioni laiche, per l’ottenimento del denaro pubblico con il quale finanziare le proprie attività, purché esse non comportino “proselitismo”” (p. 89).
Chiudono il saggio una Bibliografia essenziale (pp. 91-93) e un’Appendice storica (pp. 95-129), dove vengono descritti i momenti salienti delle tappe che hanno portato all’attuale legislazione sull’assistenza sociale in Italia. L’autore individua quattro distinte fasi: a. l’età liberale (1861-1922); b. la nascita degli enti pubblici assistenziali con l’entificazione dell’assistenza e della previdenza (1923-1960); c. il centralismo decentrato (1970-1990), con la delega di molte funzioni alle Regioni; d. la fase attuale, che inizia con l’approvazione, nella XIII legislatura, della legge quadro sui servizi sociali.
Quindi, accertato il ruolo centrale che, a tutt’oggi, svolge la famiglia, anche per le sue valenze sociali e assistenziali, non va però nascosto il fatto che il suo attuale stato di salute non è del tutto esente da sintomi di continuo peggioramento: per la diminuzione del numero dei matrimoni, per il calo delle nascite e per l’aumento delle separazioni e dei divorzi.
In buona sostanza, la famiglia italiana ha bisogno di “cure” attente che tutti devono prodigare, evidentemente quelli a cui più sta a cuore tale organismo. A questo riguardo, le politiche familiari e sociali non sembrano andare ancora del tutto in questa direzione, tranne qualche lodevole eccezione, come le leggi regionali sulla famiglia adottate nelle Regioni Lombardia e Lazio. La stessa legge quadro sull’assistenza sociale è una chiara dimostrazione delle aporie dello Stato “amorale” moderno, che si vuole indifferente rispetto a ogni norma morale. Del resto, le opzioni politico-culturali che si sono contrapposte in Parlamento — basti ricordare che la legge quadro è frutto della sommatoria, non sempre riuscita, di ben diciannove progetti di legge, proposti da tutte le forze politiche — sono ben note: da un lato, la rigida e centralistica regolazione statuale, dall’altro lato, quella sottomessa alle non meno rigide leggi di mercato.
Sullo sfondo è rimasta, purtroppo, la visione più vicina all’uomo, ovvero quella che si potrebbe definire di “governo societario”, fondata sul principio di sussidiarietà e richiamata dalla dottrina sociale della Chiesa.
Achille Pierre Paliotta