Ugo Cantoni, Cristianità, 335 (2006)
Constatato che la Repubblica Turca bussa alle porte dell’Unione Europea e che il dibattito sulla risposta da dare alla richiesta di adesione è circondato da una notevole carica emotiva, Massimo Introvigne, fondatore e direttore del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, porta il suo contributo alla descrizione del problema: l’opera La Turchia e l’Europa. Religione e politica nell’islam turco.
Precisa anzitutto che “questo volume non aspira a rispondere alla domanda “Sì o no alla Turchia nell’Unione Europea?”, perché la questione va al di là delle competenze dell’autore, specialista di sociologia e di storia delle religioni” (p. 14). Quindi dichiara che “lo scopo non è convincere il lettore di una qualche tesi precostituita, ma aiutarlo ad affrontare il problema delle relazioni presenti e future fra la Turchia e l’Europa, parlando di islam e non — con tutto il rispetto — soltanto di nocciole” (p. 15), dal momento che “l’opinione pubblica europea, i politici europei, i giornali europei che non vogliono la Turchia in Europa, non hanno paura di essere invasi dalle nocciole turche (un problema non inventato, ma di certo minore rispetto, per esempio, al tessile cinese) ma dall’islam” (p. 15).
Chiarito l’obiettivo dell’opera, anche per consentirne la corretta collocazione in un contesto nel quale il rischio di generalizzazioni e di letture banalizzanti è molto elevato, l’autore espone nell’Introduzione (pp. 7-18) alcuni punti cruciali della questione, a cominciare dal problema dell’identità turca e dell’uso del termine in sé, dimostrando che in origine la realtà da cui discende quanto oggi chiamiamo Turchia era detta semplicemente “casa dell’Islam” e si comincia a parlare di “patria ottomana” solo a partire dagli anni 1860. Sempre nel secolo XIX comincia ad affermarsi il termine “Turania”, da cui poi Turchia, nell’ambito degli orientalisti e dei turcologi europei; si tratta di una linea di pensiero che ha finalità “politiche” e non meramente scientifiche, essendo orientata a opporre all’affermarsi di tendenze panslavistiche una prospettiva panturca, che avrà conseguenze ben al di là degli studi accademici e “occorrerà una serie sanguinosa di disfatte militari e di massacri perché la maggioranza dei turchi riconosca come più saggia la riduzione del “panturchismo” a nazionalismo turco di Mustafa Kemal Atatürk (1881-1938)” (p. 13), poi divenuto presidente della Repubblica Turca. Un altro passaggio importante per una corretta conoscenza dello stato dei fatti è quello riguardante la posizione sul tema del card. Joseph Ratzinger, salito al pontificato nel 2005; il 13 agosto 2004 il porporato ha rilasciato un’intervista al settimanale francese Figaro Magazine, ridotta dai mass media, attraverso una lettura parziale del testo, alla sola frase che esprime forti perplessità dell’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede circa l’ingresso della Repubblica Turca in un’Unione Europea, che il presule auspicava radicata nel riconoscimento esplicito dell’eredità cristiana. In realtà una lettura integrale dell’intervista fa anzitutto emergere la preoccupazione per il “laicismo ideologico” (p. 16) , indicato come “un pericolo per la fisionomia spirituale, morale e umana dell’Europa” (p. 16) e che non è la reazione comprensibile e necessaria al fondamentalismo musulmano, che ne viene addirittura alimentato. Il cardinale sostiene ancora che “[…] nel mondo islamico la risposta alla “sfida terribile del fondamentalismo” non va cercata nel laicismo ma in un “senso religioso razionale, unito alla ragione”. Che è come dire che nei Paesi islamici le simpatie del futuro pontefice andavano già nel 2004 a governi religiosi che propongono un’interpretazione “ragionevole” dell’islam come quello di Erdoõan, non a regimi laicisti che combattono la religione in genere” (pp. 16-17).
All’Introduzione segue il capitolo 1, Il mercato religioso intra-islamico (pp. 19-38), dedicato alla descrizione della teoria sociologica dell’economia religiosa, che “[…] nasce come risposta alla crisi dei modelli classici della secolarizzazione secondo cui, quando avanzano la modernità, la scienza e la democrazia, sia l’interesse per la religione, sia la pratica religiosa declinano fatalmente” (p. 19), modelli smentiti dalle analisi scientifiche fatte negli Stati Uniti d’America e successivamente in molti paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, mentre tuttora corrispondenti alla realtà dell’Europa Occidentale, del Canada e dell’Australia.
La teoria dell’economia religiosa — esposta più ampiamente e tematicamente in Rodney Stark e Introvigne, Dio è tornato. Indagine sulla rivincita delle religioni in Occidente (Piemme, Casale Monferrato [Alessandria] 2003), e recensito da PierLuigi Zoccatelli, in Cristianità (anno XXXI, n. 319, settembre-ottobre 2003, pp. 21-23) — propone come strumento di analisi la metafora del “mercato religioso” nel quale, analogamente al mercato dei beni materiali, vengono proposti beni simbolici in concorrenza fra loro. Sulla base di questa teoria viene proposto un modello del mercato religioso islamico, scomposto in cinque nicchie che, in senso decrescente rispetto all’osservanza religiosa, sono denominate ultra strict, cui corrispondono posizioni ultra-fondamentaliste, come ad esempio quelle di Al-Qa’ida; strict, che include realtà fondamentaliste come i Fratelli Musulmani e i deobandi; conservatrice, di cui è un esempio l’AKP, il partito della giustizia e dello sviluppo dell’attuale premier turco Erdoõan; progressista, cui vengono ascritte le correnti “religiose” del partito Ba’th; e ultra-progressista, nell’ambito della quale si ricomprende l’islamo-marxismo (cfr. tabella a p. 38).
Nel capitolo 2, Le nicchie progressista e ultra-progresista in Turchia: dalle riforme al secolarismo (pp. 39-88), l’autore applica il modello sopra descritto utilizzando come filo conduttore dell’analisi le diverse risposte alla domanda “cosa è andato storto?” che il mondo islamico si cominciò a porre dopo la sconfitta subita a Vienna nel 1683, sconfitta ritenuta inspiegabile da un punto di vista materiale, dal momento che l’armata cristiana, che aveva arrestato l’espansione islamica verso occidente, era nettamente inferiore. Da questa domanda nasce, fin dal secolo XVII, una duplice risposta: una orientata a studiare l’Occidente per mutuarne i segreti, soprattutto in termini di tecnologia e di prassi; l’altra tendente a individuare le ragioni della sconfitta proprio in un eccesso di occidentalizzazione corruttore della purezza dei costumi religiosi. Sulla scia della prima posizione si pongono i sultani succedutisi a partire dal 1683 e, oltre due secoli dopo ma in una linea di sostanziale continuità, il movimento dei Giovani Turchi, che si orienta verso posizioni di ultra-progressismo religioso e di positivismo irreligioso, con una netta tendenza filo-occidentale. I Giovani Turchi costruiscono uno Stato di tipo laicista e, dopo il fallimento del sogno panturco a seguito della prima guerra mondiale (1914-1918), continuano a guidare il paese nella persona di Mustafa Kemal, che dal 1934 sarà chiamato Atatürk, “padre dei turchi”. Generale di grande fama, Mustafa Kemal abolisce nel 1922 il sultanato, proclama la repubblica nel 1923, abolisce il Califfato nel 1924 e porta avanti una politica laicista orientata però non a relegare la religione nel privato secondo il modello francese, ma piuttosto a controllarla in modo ferreo imponendole un itinerario ultra-progressista. Dopo la morte di Mustafa Kemal la parabola politica della Turchia continua in direzione di un filo-occidentalismo e di un laicismo che lascia qualche spazio a realtà religiose progressiste, che s’ispirano a un’interpretazione “modernista” del sufismo, e ultra-progressiste come l’alevismo e l’islamo-marxismo di cui è esponente il noto Abdullah Öcalan, fondatore del PKK, il partito dei lavoratori curdi.
Nel capitolo 3, Le nicchie fondamentalista e ultra-fondamentalista in Turchia (pp. 89-107), viene seguito lo sviluppo della nicchia proto-fondamentalista, dove troviamo la Confraternita della Virtù, che si struttura come società segreta di forma massonica per sostenere meglio la reazione al riformismo dei sultani “illuminati”, auspicando il ritorno del Califfato, e il movimento tradizionalista dei Suleimanci; della nicchia fondamentalista, che è rappresentata dal MNP, il partito dell’ordine nazionale di Necbettin Erbakan, legato ai Fratelli Musulmani; e di quella ultra-fondamentalista, la cui componente più consistente sembra essere costituita dagli Hizbullah curdi.
Nel capitolo 4, La nicchia conservatrice-centrista alla ricerca dell’egemonia nella nuova Turchia (pp. 109-129), l’autore approfondisce infine la tematica della nicchia conservatrice-centrista, che punta ad egemonizzare la Turchia con l’avvento al potere nel 2003 dell’AKP, il partito di Erdoõan. “L’AKP presenta un programma in cui la sharê‘a è indicata come orizzonte ideale piuttosto che come insieme di precetti fissi e immutabili, e in cui la politica estera è saldamente ancorata all’alleanza statunitense e alla richiesta di ingresso nell’Unione Europea.
“L’AKP distingue il “secolarismo” della Costituzione turca dal “giacobinismo”. Dichiara di accettare il secolarismo, se questo significa separazione dello Stato dalla religione […] e di ripudiare il giacobinismo, che definisce invece come ingresso aggressivo dello Stato nella sfera della religione” (p. 123).
Dall’articolata analisi si possono sintetizzare due punti principali. In primo luogo la risposta alla domanda, sia pure bisognosa d’innumerevoli distinguo e cautele, su “[…] chi siano i “musulmani moderati”: sono i musulmani conservatori, che non vogliono abbandonare la loro fede, pregano quotidianamente, non bevono vino, rispettano il digiuno del ramadàn, non sono particolarmente interessati a decostruire il Corano con interpretazioni storico-critiche, ma nello stesso tempo considerano la legge islamica un orizzonte ideale più che un libro di ricette destinate a rimanere immutabili dal Medioevo a oggi e sono disponibili ad aprire un dialogo con l’Occidente su temi come la democrazia, la libertà religiosa, la condizione della donna, i diritti umani” (p. 129). Non è irrilevante a questo proposito un evento accaduto dopo la pubblicazione dell’opera, alla vigilia dei funerali di don Andrea Santoro, nato a Priverno, in provincia di Latina, il 7 settembre 1945 e ucciso a Trabazon, la nostra Trebisonda, in Turchia, il 5 febbraio 2006 mentre era in preghiera nella sua chiesa, ossia l’invito formale rivolto dal presidente della Repubblica Turca Ahmet Necdet Sezer al Pontefice Benedetto XVI per una visita ufficiale di Stato dal 28 novembre al 1° dicembre 2006, invito accettato dalla Santa Sede (cfr. Luigi Geninazzi, La porta si spalanca grazie al sangue sparso, in Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 10-2-2006).
In secondo luogo, “[…] l’atto del 17 dicembre 2004 che ha aperto i negoziati con il governo turco per l’adesione all’Unione ha avviato un processo più che decennale, solo al termine del quale […] si potrà valutare a che punto saranno sia la Turchia sia l’autodefinizione dell’Europa. Ed è probabile che sia il secondo, per gli europei, il problema più difficile” (p. 18).
Ugo Cantoni