Nel 1998 — per il 1997, cfr. Cristianità, anno XXVI, n. 281, settembre 1998, pp. 20-26 — la collana Religioni e Movimenti, edita da Elle Di Ci di Leumann, in provincia di Torino, ha proposto cinque nuovi titoli: Damanhur. Popolo e comunità, di don Luigi Berzano; I protestanti, di Massimo Introvigne; L’Islam, di Silvia Scaranari Introvigne; La Chiesa di Scientology, di J. Gordon Melton; e La Soka Gakkai. Un movimento di laici diventa una religione, di Karel Dobbelaere.
Di don Luigi Berzano è il volume su Damanhur. Popolo e comunità, una delle più estese e consolidate comunità di spiritualità alternativa del mondo, situata in Valchiusella, quaranta chilometri a nord di Torino. Il volume è diviso in cinque capitoli. Il primo, La storia di Damanhur (pp. 5-15), descrive appunto la storia della comunità e del suo fondatore, Oberto Airaudi, nato nel 1950 a Balangero, in provincia di Torino, il quale, dopo prime esperienze di pranoterapia e con un retroterra culturale comprendente elementi della Teosofia, della tradizione orientale e del pensiero “verde” e acquariano decide — nel 1976 — di fondare una comunità attorno a un nucleo iniziale di circa quindici persone. Da allora l’evoluzione è stata rapida e la comunità, che si dichiara una federazione indipendente con una propria costituzione e una propria moneta, raggiunge nel 1997 450 residenti, con un ricambio relativamente basso; i visitatori sono passati da 7000 nel 1989 a 50.000 nel 1997, e Damanhur gode anche di una relativa autonomia per quanto riguarda il riscaldamento attraverso un impianto a pannelli solari — e l’energia elettrica. Nel 1992 viene scoperto l’imponente tempio sotterraneo, il Tempio dell’Uomo, la cui costruzione si è protratta per sedici anni nel più totale segreto e, ovviamente, nella più totale assenza di qualsivoglia permesso edilizio; la Comunità Montana della Valchiusella, da tempo ostile alla comunità per diverse ragioni, ne chiede l’abbattimento, ma i damanhuriani raccolgono oltre centomila firme, e il Tempio dell’Uomo viene dichiarato un’“opera d’arte collettiva” dalla Sovrintendenza alle Belle Arti del Piemonte: “[…] il 20 dicembre 1995 il Senato approva la legge sul condono edilizio con l’integrazione dell’art. 10 per la sanatoria del Tempio dell’Uomo” (p. 14). La scoperta del Tempio dell’Uomo segna una svolta nella storia della comunità, facendola conoscere sotto una luce diversa e a un numero molto maggiore di persone.
Il secondo capitolo, L’organizzazione (pp. 16-31), descrive l’organizzazione della comunità, e prende in considerazione la costituzione di Damanhur, con il grande rilievo dato alla fratellanza, alla vita in armonia con la natura e alla cura della salute; la popolazione della comunità, con un’età media di trentacinque anni e una scolarità superiore a quella della media nazionale e, in particolare, a quella della Valchiusella, e con diversi livelli di cittadinanza a seconda del grado di solidarietà con la comunità, del contributo economico, dell’adesione alle norme di vita e della presenza sul territorio; il territorio, con insediamenti dislocati a macchia di leopardo per un totale di 60 abitazioni e 189 ha. di terreno; l’organizzazione economica, a metà fra l’autosufficienza tipica del mondo rurale e l’utilizzo di tecniche tecnologicamente avanzate, con aziende sia produttive che noprofit per la pubblicizzazione all’esterno dei prodotti di Damanhur; le attività culturali, con la particolare importanza data all’arte e la presenza di quattro istituzioni educative — asilo nido, scuola materna, scuola elementare e scuola media inferiore — aperte anche ai bambini non damanhuriani.
I capitoli terzo, Il pensiero (pp. 32-41), e quarto, Simbolismo e ritualità (pp. 42-51), riguardano rispettivamente il pensiero e la ritualità di Damanhur. Il pensiero è ricavato in particolare dall’opera La Via Horusiana. La strada verso la conoscenza secondo la Scuola di Damanhur, tramite Oberto Airaudi ed è organizzato attorno a sei punti fondamentali: la vita quale cammino evolutivo, le azioni come scelta continua, la ricerca di nuove logiche per intendere la realtà, le differenze e complementarità fra il femminile e il maschile, la creatività e continua trasformazione, l’ampliamento della sensibilità, cioè dei sensi dei molteplici corpi dell’uomo. A Damanhur “la vita individuale e collettiva è costellata di riti e si svolge ovunque tra simboli” (p. 43). È possibile individuarne tre gruppi: il primo riguarda i riti che celebrano la fondazione della comunità, i due solstizi, i due equinozi e la commemorazione dei defunti; tutti si svolgono utilizzando la simbologia del fuoco acceso e vegliato, dell’offerta delle erbe, della danza sacra e del linguaggio sacro impiegato nella liturgia di Damanhur. Il secondo gruppo costituisce un insieme di riti minori legato alla vita quotidiana, dalla purificazione dei cibi al semplice saluto, attuato congiungendo le mani a modo di preghiera e pronunciando la formula: “Con te!”. Il terzo insieme di simboli è invece riferito alla funzione della ritualità connessa al Tempio dell’Uomo.
L’ultimo capitolo — Oltre Damanhur (pp. 52-57) — affronta il problema dei rapporti di Damanhur con l’esterno e offre spunti per spiegarne la stabilità e la continua espansione: in particolare lo sforzo costante di costruire una comunità dall’interno piuttosto che impegnarsi nel reclutamento di nuovi seguaci; il pensiero poco “dogmatico”, tipico del New Age, che consente alla comunità, pur con molti elementi di alterità, di essere perfettamente “integrata nella società, nell’economia, nell’etica dei consumi” (p. 55); la presenza di diverse forme di appartenenza, di “cittadinanza”, che ne fanno una struttura molto flessibile, in grado di svolgere le funzioni, secondo la tipologia dei sociologi americani Rodney Stark e William Sims Bainbridge, sia di un cult movement, sia di un client cult, sia di un audience cult.
Il volume I protestanti, di Massimo Introvigne, è diviso, da un punto di vista logico, in due parti. La prima, che comprende i primi cinque capitoli, affronta i problemi di ordine generale che s’incontrano nello studio del protestantesimo; la seconda, costituita interamente dal sesto capitolo, prende in esame singolarmente le principali denominazioni protestanti.
Il primo capitolo — È possibile una definizione del protestantesimo? (pp. 5-10), pone in evidenza le difficoltà insite nelle definizioni “per esclusione”, secondo cui sono protestanti tutti i cristiani che non si definiscono cattolici o ortodossi, e in quelle basate su criteri storici, e questo sia per la presenza di nuovi movimenti religiosi che si dichiarano cristiani, ma che non sono sicuramente protestanti, sia per la difficoltà nel rintracciare l’origine storica di talune correnti, sia per l’evoluzione della dottrina, che ha portato molti movimenti a notevole distanza dal loro punto d’origine. Viene quindi approfondita l’interpretazione proposta dal sociologo francese Jean-Paul Willaime, che definisce il protestantesimo in opposizione al cattolicesimo, per quanto riguarda il principio epistemologico, che nel protestantesimo è ridotto alla sola Scriptura; per quello antropologico, che “privilegia l’esperienza individuale del credente rispetto all’inserimento in una comunità strutturata e gerarchica” (p. 9); per quello sociologico, in base al quale l’autorità “non è istituzionale ma personale; non deriva dal munus gerarchico ma dalla competenza (teologica o carismatica)” (p. 10).
Il secondo capitolo, Protestantesimo e modernità (pp. 11-18), affronta il rapporto del protestantesimo con la modernità, distinguendo fra l’impostazione della scuola cattolica contro-rivoluzionaria e quella weberiana: la prima individua un rapporto fra il principio individualista del primo protestantesimo e l’individualismo moderno; la seconda concentra l’attenzione sul protestantesimo “ascetico” e sull’etica del lavoro e delle professioni, della quale individua le “affinità elettive” con lo spirito del capitalismo. Questi due aspetti riflettono due facce relativamente indipendenti della modernità e non è detto che la crisi alla quale l’individualismo va incontro verso la fine del secolo XX debba proporsi anche per l’etica della vocazione e del lavoro; anzi, “quelle componenti del protestantesimo ascetico che riescono a sottrarsi alla forza di attrazione del protestantesimo tradizionale, divenuto spesso protestantesimo liberale, continuano a prosperare” (p. 18).
Il terzo capitolo, Protestantesimo e nuovi movimenti religiosi (pp. 19-30), si propone di tracciare una linea di confine fra protestantesimo mainline e nuovi movimenti religiosi: è necessario seguire un criterio che tenga in considerazione elementi di carattere dottrinale e che adotti una definizione ampia dell’aggettivo “nuovo”, intendendo con esso non solamente né esclusivamente “recente” in senso cronologico, ma anche “innovativo”, nel senso di “in contrasto con la visione tradizionale della religione”; in questo modo è possibile individuare una certa rottura ecclesiologica fra protestantesimo e quelli che documenti del magistero cattolico chiamano “nuovi movimenti religiosi di origine protestante”, per i quali la struttura gerarchica della Chiesa è molto meno rilevante. Se alla rottura ecclesiologica se ne aggiunge una teologica — tendenzialmente trinitaria e cristologica — siamo di fronte a nuovi movimenti religiosi non più di origine protestante, ma di origine più genericamente cristiana.
Elementi per una tipologia dei protestantesimi sono proposti nel quarto capitolo (pp. 31-44), sulla base di un criterio sociologico — elaborato da Roger Finke e da Rodney Stark in The Churching of America, del 1992 — a cui l’autore affianca un criterio dottrinale. Sarebbe così possibile distinguere fra quattro protestantesimi: il primo è l’erede della Riforma storica e ha al suo centro la giustificazione per sola fede; il secondo è una protesta contro la mancanza di fervore — in particolare missionario — del primo e ha al suo centro l’incontro personale con Gesù Cristo; il terzo protestantesimo introduce il concetto di perfezione come uno stato di libertà dal peccato che non potrà più essere perduto; nel quarto protestantesimo, infine, la perfezione diviene “battesimo nello Spirito” ed è collegata al dono delle lingue.
L’uso dei termini “evangelico” e “fondamentalista” all’interno del mondo protestante è discusso nel quinto capitolo, “Evangelici” e “fondamentalisti” (pp. 45-55). Il problema s’inquadra nell’ambito dell’importanza, sostenuta da un certo numero di sociologi, delle differenziazioni all’interno di ciascuna denominazione, prima ancora delle differenze fra le diverse denominazioni protestanti. Così il termine “evangelico” è stato usato almeno in quattro accezioni: a. come sinonimo di protestante, in opposizione a cattolico; b. per indicare le denominazioni del secondo protestantesimo; c. particolarmente in America Latina come sinonimo di “pentecostale”; d. attualmente, nella sociologia del protestantesimo, come sinonimo di “conservatore moderato”, contrapposto sia a liberal che a “fondamentalista”. Quest’ultimo termine, a sua volta, non manca di ambiguità: nato all’inizio del secolo XX per designare la corrente, all’interno di diverse denominazioni, di chi sosteneva l’inerranza assoluta e letterale della Bibbia, a seguito dei diversi scismi causati da tale posizione, a partire dagli anni 1930 viene usato per descrivere una serie di denominazioni. Successivamente, soprattutto con il diffondersi dei predicatori televisivi, politicamente impegnati, “fondamentalista” è stato usato per indicare un protestante che milita nella destra politica; attualmente, per analogia, e spesso in senso polemico, viene usato per indicare qualsiasi impegno militante su fronti più conservatori o di radicalismo religioso, anche politicamente, e non solo in ambito protestante. Si tratta dunque di un termine da usarsi con cautela: proprio per l’ampiezza dei significati che sta assumendo e per la carica polemica che lo riveste rischia di perdere gran parte della sua capacità descrittiva.
L’ultimo capitolo descrive Le principali denominazioni protestanti (pp. 56-107) classificandole in base alla tipologia presentata nel quarto capitolo. Nel primo protestantesimo vengono così fatti rientrare i valdesi, i luterani, i riformati e la Comunione anglicana; nel secondo le correnti pietiste — moravi e Brethren —, i battisti, i metodisti, il Movimento di Restaurazione — Discepoli di Cristo, Chiese di Cristo e “Chiese cristiane” — e le International Churches of Christ; nel terzo protestantesimo il fondamentalismo indipendente — Assemblee dei Fratelli — e il movimento holiness — Chiesa di Dio di Anderson, nell’Indiana; Chiesa del Nazareno, Esercito della Salvezza —; nel quarto protestantesimo i pentecostali, compreso il pentecostalismo oneness. Oltre all’interpretazione sociologica per ciascuna denominazione, viene presentata una descrizione storica e dottrinale.
Il volume L’Islam, di Silvia Scaranari Introvigne, può essere logicamente diviso in quattro parti: la prima, costituita dai capitoli dal primo al terzo, è di tipo storico; la seconda, formata dai capitoli quarto e quinto, esamina le fonti dell’Islam e le scuole giuridiche e teologiche; la terza, formata dai capitoli sesto e settimo, descrive gli elementi fondamentali del credo islamico; l’ultima, costituita dai capitoli ottavo e nono, è di tipo sociologico, e descrive gli usi, i costumi e le divisioni interne al mondo islamico.
Nei primi tre capitoli vengono prese in considerazione rispettivamente la situazione de L’Arabia pre-islamica (pp. 5-9), la Vita di Muhammad (pp. 10-16) (570?-632) e il consolidamento del potere islamico sotto I primi successori (pp. 17-20). L’Arabia pre-islamica si presenta come un mondo poliedrico anche dal punto di vista religioso, contrassegnato dal politeismo e dall’adorazione degli spiriti, in particolare di quelli delle pietre sacre. La più venerata di tutte era la pietra nera della Mecca, città fiorente e meta dei pellegrinaggi di tutti gli arabi, dominata dalla tribù dei Quraysh. Maometto nasce proprio nel clan dei Quraysh e riceve la sua prima rivelazione il 27 del mese di Ramadan del 610; perseguitato delle gerarchie locali, nel 622 è costretto a rifugiarsi con i suoi seguaci a Yatrib, ribattezzata Medina dopo l’adesione alla nuova fede. Il 622 è l’anno dell’Egira, l’anno zero della nascente religione; nel 630 il Profeta rientra vittorioso alla Mecca, dove si recherà nuovamente in pellegrinaggio nel 632, anno nel quale muore, senza aver designato un successore. Sotto califfi come ‘Omar (591-644) — che occupa Gerusalemme nel 638 —, ‘Othman (?-656) — che espande le conquiste fino al Caucaso e all’India e cura la prima edizione integrale del Corano —, e Mu‘àwiya (605-680) — che nel 674 pone il primo assedio a Costantinopoli —, i musulmani divengono un impero immenso, che raggiungerà il suo massimo splendore con la dinastia degli Abbassidi.
I capitoli quarto e quinto riguardano rispettivamente Le fonti dell’Islam (pp. 21-33) e Il diritto e la teologia (pp. 28-33), cioè le scuole giuridiche e teologiche. Le fonti descritte sono il Corano, il libro sacro dell’Islam, che contiene la raccolta delle rivelazioni fatte dall’arcangelo Gabriele a Maometto, e redatto dai suoi dieci segretari; gli hadith, ovvero il racconto dei fatti e dei detti del Profeta, lasciati a commento del Corano; il consenso dei teologi o dei giuristi, intesi come rappresentanti della comunità islamica. Sull’interpretazione del Corano sono andate definendosi diverse scuole, sia relative all’applicazione della legge sia in relazione al dibattito teologico, e in particolare alla questione dei nomi di Dio. Le scuole giuridiche prese in considerazione sono quella hanafita — che sostiene la ricerca della soluzione migliore in ogni occasione —, quella malikita — orientata al criterio dell’interesse generale —, quella shafi‘ita — che si preoccupa di definire con rigore i criteri del ragionamento per analogia, onde evitare abusi interpretativi —, e quella hanbalita, che nega, al contrario, il ragionamento analogico e propone un rigoroso sistema teocratico. Tralasciando i contributi sciiti o sufi, nel mondo sunnita si riconoscono principalmente quattro scuole teologiche: quella mu‘tazilita, che rappresenta l’ala più razionalista, quella ash‘arita, che si colloca in posizione intermedia fra il razionalismo e il letteralismo, quella maturidita, che ripropone i problemi della riflessione personale, dell’uso dell’analogia e dell’interpretazione metaforica del Corano, quella hanabalita, antirazionalista, che si distingue per il rigore morale e l’indirizzo mistico della vita.
I capitoli sesto e settimo esaminano in un certo dettaglio gli Elementi del credo islamico (pp. 34-45) e I pilastri della fede (pp. 46-74). L’elemento centrale del credo islamico è costituito dall’esistenza e dall’unicità di Dio con le sue sette caratteristiche, che ne indicano la perfezione e assolutezza sotto vari aspetti: la potenza, la scienza, la vita, la volontà, la vista, l’udito e la parola. Esistono anche altri elementi importanti, come la risurrezione — che è piuttosto una nuova creazione —, il giudizio personale e universale, l’esistenza degli angeli, e i novantanove nomi di Dio, legati alla promessa del paradiso per chi li impari a memoria, e la cui recitazione è dunque divenuta consueta nel mondo islamico. I cinque pilastri della fede costituiscono i doveri fondamentali del culto, e sono la professione di fede, shahada, la preghiera, salat, l’elemosina, zakàt, il pellegrinaggio alla Mecca, hajj, e il digiuno, sawm.
L’ottavo capitolo presenta gli Usi e costumi (pp. 75-81) riferiti ai momenti principali della vita dell’uomo: la nascita, con l’imposizione del nome, seguita da un sacrificio di bestiame e dalla distribuzione di elemosine, con il primo taglio di capelli, cui si accompagnano nuovamente elemosine e, per i figli maschi, con la circoncisione; il matrimonio, che non è un sacramento, ma un semplice contratto, con la possibilità per l’uomo — oggi molto discussa — di avere fino a quattro mogli, e con diritto al ripudio della moglie a giudizio indiscriminato del marito; la morte, che prevede l’abluzione completa del cadavere, l’avvolgimento in sudari, la preghiera dei morti e il seppellimento vero e proprio. Altre regole di un certo rilievo — riconosciute in tutto il mondo islamico — sono relative al divieto dei giochi d’azzardo, dell’usura e del prestito a interesse, oggetto quest’ultimo di un attento dibattito, data l’importanza acquisita in tutto il mondo dalle operazioni bancarie; come pure al divieto di consumare alcolici, la carne di maiale, il sangue e le carni di animali morti di morte naturale oppure macellati in modo improprio.
Le divisioni interne al mondo islamico sono oggetto del nono e ultimo capitolo (pp. 82-102). Il volume prende in considerazione le tre correnti originatesi dopo la battaglia di Siffin, del 661, in relazione alla successione al califfato: sunniti, sciiti — con la divisione interna nelle correnti degli zaiditi, imamiti e isma‘iliti — e kharijiti. Sono anche considerati brevemente i movimenti di origine islamica, come i drusi, i nusairi e i baha’i. Questi ultimi, “benché nati dal ceppo dello sciismo […] non si considerano musulmani, ma seguaci di una nuova religione universale le cui caratteristiche sono ormai lontane da quelle dell’Islam” (p. 102).
La Chiesa di Scientology è l’argomento del volume di J. Gordon Melton. Nel primo capitolo, Nascita di una religione (pp. 5-37), viene descritta con un certo dettaglio la storia del movimento e del suo fondatore, Lafayette Ronald Hubbard (1911-1986): nato nel Montana, ha compiuto diversi viaggi in tutto il mondo e prima dei trent’anni si è già guadagnato una notevole fama come scrittore di fantascienza. Appassionato di esplorazioni, organizza diverse iniziative e svolge attività per l’ufficio idrografico della Marina statunitense, prende parte alla seconda guerra mondiale come ufficiale di marina, lavora per il servizio informazioni e svolge anche l’incarico di comandante di un caccia-sottomarini e di una nave di scorta, congedandosi con un notevole — anche se controverso — curriculum. Negli anni successivi alla guerra esamina una varietà di fonti nella ricerca di quella che definisce una “tecnologia della mente umana” (p. 16); Dianetics: The Modern Science of Mental Health viene pubblicato nel 1950, mentre la nascita del movimento è del 1952, con la fondazione della Hubbard Association of Scientologists. Scientology conosce un’espansione relativamente rapida, ma non tarda a entrare in contrasto con i poteri pubblici, in particolare in relazione alle pratiche di tipo psicoanalitico, e all’utilizzo dell’E-meter, una sorta di macchina della verità modificata, con pretesi scopi terapeutici. Le vicissitudini di Scientology, e in particolare gli scontri con le autorità, porteranno nel tempo a varie modificazioni della sua struttura, e ancora oggi, soprattutto fuori dagli Stati Uniti d’America, è spesso messa in discussione la sua qualifica di religione.
Il secondo capitolo, Che cosa sono Dianetics e Scientology (pp. 38-56), prende in esame la dottrina di Scientology. È importante distinguere la dimensione psicologica e psicoterapeutica, già presente con la pubblicazione di Dianetics: The Modern Science of Mental Health, da quella religiosa, che emerge gradualmente negli anni 1950 e si afferma con la nascita di Scientology. Dianetics: The Modern Science of Mental Health afferma che lo scopo della vita è la sopravvivenza, e che il male — ossia le azioni a essa contrarie — derivano da psicosi collegate al riemergere di esperienze negative chiamate engram; lo scopo di Dianetics: The Modern Science of Mental Health è la liberazione dalle psicosi, attraverso una serie di colloqui, auditing, che, con l’aiuto del già citato E-meter, dovrebbero riportare alla luce gli engram scaricandoli del loro contenuto emotivo. La dimensione religiosa emerge nel movimento di Hubbard, non senza contrasti, quando il fondatore volge la sua attenzione alla natura del soggetto che “vede” le immagini della mente: è il Thetan, un essere spirituale che corrisponde alla persona; non è né mente né corpo e può avere molteplici reincarnazioni; ultimamente, è uno dei creatori del mondo. I Thetan hanno creato l’universo materiale in cui poi sono rimasti intrappolati, dimenticando di esserne i creatori.
L’organizzazione di Scientology è oggetto del terzo capitolo (pp. 57-73). La Chiesa di Scientology si struttura su tre livelli: i gruppi terapeutici, le missioni e le chiese locali; queste ultime consentono ai membri di raggiungere lo stadio di clear. Esiste poi una serie d’istituzioni meno numerose preposte alla formazione dei ministri, auditor, e per i livelli più alti del cammino spirituale OT, che sta per Operative Thetan. Le chiese locali sono entità autonome, licenziatarie del marchio “Scientology” e coordinate dalla Church of Scientology International. La correttezza delle pratiche e delle dottrine viene controllata dal Religious Technology Center, che è titolare dei marchi e può quindi revocare le licenze alle chiese locali. Scientology è anche promotrice di progetti sociali come Narconon — che, al centro di numerose controversie, si occupa di tossicodipendenti — e Criminon, volto al recupero sociale dei detenuti, e di programmi di riforma, quale, per esempio, la Citizens Commission on Human Rights, che conduce la battaglia di Scientology contro la psichiatria e contro particolari pratiche, come l’elettroshock, o farmaci di cui questa fa uso.
L’ultimo capitolo, Ma è davvero una religione? (pp. 74-91), affronta la questione della natura religiosa del percorso proposto da Scientology e traccia possibili scenari per il futuro della Chiesa. L’autore considera ormai obsolete le critiche relative al cosiddetto “lavaggio del cervello” di cui sarebbero vittime i membri di Scientology, ma rimane il dubbio che la qualifica di religione sia pretesa per ottenere privilegi — spesso fiscali — che alcuni Stati accordano alle denominazioni religiose, soprattutto considerata l’organizzazione della Chiesa di Scientology come una multinazionale, che concede l’uso del suo marchio a entità giuridicamente autonome che vendono servizi a pagamento. Scientology risponde che, pur non essendo mutate le tecniche di auditing, dopo la scoperta del Thetan è mutata la prospettiva, e che dunque l’esperienza offerta, benché a pagamento, è tipicamente religiosa. È senza dubbio improbabile che Scientology si evolva in un movimento di massa, data anche la notevole “concorrenza” nel mondo dei nuovi movimenti religiosi. Il futuro immediato sarà comunque pesantemente condizionato dalla permanenza dell’attuale ondata di sentimenti ostili ai nuovi movimenti religiosi, e da cosa decideranno i governi e i tribunali circa la vera natura del movimento.
Karel Dobbelaere è l’autore del volume La Soka Gakkai. Un movimento di laici diventa una religione, il più grande movimento religioso buddhista contemporaneo, di origine giapponese. Il primo capitolo esamina la Storia del movimento (pp. 5-23), nato nel 1930 a opera del pedagogo Tsunesaburo Makiguchi (1871-1946) e dell’educatore Josei Toda (1900-1958), come una società laica per l’educazione e la “creazione di valore”: nel 1930 Makiguchi aveva scritto: “Noi partiamo dal postulato che l’essere umano non può creare la materia, e che però può creare valori” (p. 11); e dopo la seconda guerra mondiale Toda la trasformerà in un movimento a maggiore valenza religiosa. D’altra parte, l’adesione al buddhismo del monaco giapponese Nichiren Daishonin (1222-1282) — “[…]che ha per base il Sutra del Loto, considerato l’insegnamento supremo del Buddha Shakyamuni” (p. 7) — rivestiva fin dall’origine un’importanza fondamentale nell’opera della creazione di valore. Inoltre, almeno inizialmente, il movimento continua a presentarsi come un’associazione di laici che aderiscono al buddhismo di Nichiren e ne fanno il “pilastro” di un ampio numero di organizzazioni culturali ed educative. Il movimento raggiunge la sua dimensione attuale, di circa 15 milioni di membri, sotto Daisaku Ikeda, nato nel 1928, diventato presidente della Soka Gakkai nel 1960, ma recentemente il volto di associazione di laici buddhisti si sta sempre più trasformando in quello di movimento del tutto autonomo, soprattutto dopo la rottura con i monaci della Nichiren Soshu — nel 1991 —, che ha portato al sorgere tutto interno di una gerarchia di ministri per le esigenze del culto.
Il secondo capitolo, I membri della Soka Gakkai: credenze, pratiche, organizzazione e caratteristiche sociali (pp. 25-45) esamina il popolo della Soka Gakkai dai diversi punti di vista indicati nel titolo. La pratica più importante per i membri della Soka Gakkai consiste nella recita, al mattino e alla sera, di due capitoli del Sutra del Loto, davanti al Gohonzon, pergamena che ne riproduce una incisa da Nichiren e che simboleggia la realtà ultima; ma soprattutto, sempre davanti al Gohonzon, nella recita con fede profonda della formula di tale Sutra: Nam-myoho-renge-kyo, che sintetizza tutti gli aspetti fondamentali della dottrina e in particolare — nella parola myoho — la legge universale della vita, che comporta anche una visione positiva della reincarnazione. Il principio vitale si esplica in successive reincarnazioni, che costituiscono nel loro ripetersi infinito un’affermazione positiva di tale principio, e non ha senso dunque cercare di sfuggirvi; anzi, maggiore è la perfezione individuale, più prontamente, una volta che se ne è usciti, si rientra nella vita per portare altri alla perfezione. L’unità organizzativa elementare della Soka Gakkai è costituita dai gruppi locali, a loro volta raccolti in settori, capitoli, centri e regioni: l’insieme delle regioni costituisce la Soka Gakkai di una nazione. Le attività professionali rappresentate sono molteplici, con una certa prevalenza dei lavoratori autonomi, in particolare di quelli impegnati nei settori del servizio — medici, infermieri e così via — e artistici. La presenza, oltre che dei momenti d’incontro delle varie unità organizzative sopra citate, di entità parallele che raccolgono soggetti con interessi comuni — secondo criteri che vanno dall’età al sesso, alla professione, e così via —, offre ai membri del movimento la possibilità di un impegno non trascurabile in termini di numero di riunioni.
Il terzo capitolo esamina Il processo di conversione al buddhismo di Nichiren (pp. 47-63). L’elemento centrale è la progressiva mutazione delle motivazioni del soggetto nel passaggio dalla fase di generico interesse a quella di permanenza duratura. Il soggetto che si converte alla Soka Gakkai non sembra essere in generale una persona inizialmente spinta da motivazioni di ricerca religiosa. La conversione, piuttosto, “testimonia una ricerca di soluzioni a problemi di vita quotidiana. È solo in seguito che la perseveranza nel movimento fa sorpassare questa prima preoccupazione per portarla al livello della ricerca e della conquista della buddhità, ossia dell’”illuminazione interiore”, definita come stato di felicità profonda e piena” (p. 62).
Il quarto capitolo prende in considerazione Il “pilastro” della Soka Gakkai e le sue “performance” (pp. 65-86), ossia il modo con cui il movimento informa le istituzioni della vita civile nelle quali si estrinseca il suo impegno sociale: la nozione di “pilastro” è tipico della sociologia del paese dell’autore, il Belgio, la cui vita quotidiana è stata studiata all’interno dei “pilastri” — paralleli, ma non convergenti — cattolico e laicista, ciascuno con le sue istituzioni sociali e politiche. La Soka Gakkai si definisce un’organizzazione per la promozione della pace, dell’educazione e della cultura; tutti questi ambiti sono analizzati in dettaglio nel volume, che mette in luce come l’impegno della Soka Gakkai sia svolto attraverso pubblicazioni, istituti scolastici e culturali e l’attività — a livello internazionale — nel quadro dell’ONU e dell’UNESCO, con particolare attenzione alle tematiche della pace, dell’ambiente e dello sviluppo. Tuttavia il “pilastro” della Soka Gakkai “non appare, comunque, che embrionale, se paragonato ai “pilastri” che esistono in Europa, soprattutto da parte cattolica” (p. 84).
Le brevi Conclusioni (pp. 87-88) mettono in risalto come la Soka Gakkai non sia puramente orientata al cambiamento dell’individuo, ma come in essa sia invece viva la coscienza della necessità di trasformare le strutture sociali al fine di migliorare l’esistenza degli esseri umani.
Nel suo secondo anno di esistenza la collana Religioni e Movimenti, i cui volumi sono tutti corredati da preziose note bibliografiche, si conferma uno strumento utile e innovativo nell’analisi di alcuni dei problemi connessi alla molteplicità delle esperienze religiose che il mondo moderno propone, e nell’educare a un rigore metodologico che faccia precedere ai giudizi di valore un esame attento dei fatti.