Ignazio Cantoni, Cristianità 321 (2004)
Monsignor Antonio Livi, della Prelatura Personale della Santa Croce e dell’Opus Dei, nato a Prato nel 1938, è ordinario di Filosofia della Conoscenza alla Pontificia Università Lateranense di Roma. Discepolo dello storico della filosofia e filosofo padre Cornelio Fabro C.S.S. (1911-1995) e dello storico francese della filosofia e pure filosofo Étienne Gilson (1884-1978), ha, nell’arco di oltre quarant’anni di attività, concentrato i suoi studi sulla nozione di “senso comune” e sugli aspetti gnoseologici, metafisici e morali a esso correlati. Fra le numerose opere, monsignor Livi ha pubblicato Filosofia del senso comune. Logica della scienza & della fede (Ares, Milano 1990); Il senso comune tra razionalismo e scetticismo (Vico, Reid, Jacobi, Moore) (Massimo, Milano 1992); Il principio di coerenza. Senso comune e logica epistemica (Armando, Roma 1997); nonché i tre volumi in quattro tomi del corso di storia della filosofia per i licei La filosofia e la sua storia (Società Editrice Dante Alighieri, Roma 1996, di cui cfr. la recensione di Marco Invernizzi in Cristianità, anno XXVI, n. 279-280, luglio-agosto 1998, pp. 21-24). Ultimamente è inoltre uscito Verità del Pensiero. Fondamenti di Logica Aletica (Lateran University Press, Roma 2002).
Il pregiatissimo lavoro di monsignor Livi ha trovato un ulteriore fecondo sviluppo a partire dalla primavera del 2000, con la pubblicazione del primo fascicolo della rivista Sensus communis. Studi e ricerche di logica aletica. Periodico trimestrale a carattere internazionale.
Per inquadrare correttamente le finalità della pubblicazione, è opportuno richiamare le nozioni di “senso comune” e di “logica aletica”. Con la prima espressione s’intende l’insieme organico delle certezze di fatto e di principio comuni a ogni uomo e precedenti ogni riflessione critica, quali l’esistenza di un mondo indipendente dalla conoscenza che se ne ha; l’io come soggetto qualificato dall’anima; l’ordine morale o legge naturale; infine Dio, l’affermazione della cui esistenza è l’esito della riflessione sull’esperienza di tali realtà.
Con la seconda espressione s’intende la disciplina filosofica che studia il pensiero non dal punto di vista della forma, oggetto questo della logica formale, ma dal punto di vista materiale, contenutistico, quindi veritativo: non guarda al “come”, ma al “cosa”. La logica aletica risponde in definitiva alla domanda: “Quali sono i fondamenti, le condizioni di possibilità, di un discorso vero?”.
La quarta di copertina del primo numero — come anche dei seguenti, con lievi modifiche — contiene un manifesto programmatico, che è opportuno riportare per esteso: “”Sensus communis” vuole fornire un forum per discussioni internazionali di studio sui problemi epistemologici nel XXI secolo. Il suo punto di partenza è costituito dai risultati della nuova scuola del senso comune, promossa nella seconda metà del XX secolo dal filosofo italiano Antonio Livi, con contributi provenienti da alcuni importanti studiosi americani ed europei. Gli studi di questa scuola convalidano in parte osservazioni fatte nel passato da Giambattista Vico [1668-1744] in Italia, Claude Buffier [1661-1737] in Francia, Thomas Reid [1710-1796] in Scozia, Friedrich H.[einrich] Jacobi [1743-1819] in Germania, Charles S.[anders] Peirce [1839-1914] negli Stati Uniti d’America, e Ludwig Wittgenstein [1889-1951] in Austria e in Inghilterra. Comunque, il lavoro che ancora necessita di essere portato a compimento è una completa fondazione critica della nozione di senso comune, attraverso un riesame analitico di tutti i problemi epistemologici alla luce della logica aletica. Una storia critica della filosofia — concordemente al metodo suggerito da Étienne Gilson — sarà impiegata in questa ricerca, insieme ai principi della logica classica di primo e secondo ordine, e usando alcuni contributi originali presi dalla logica contemporanea, come la semantica bidimensionale (Francesca Rivetti Barbò) e la semantica del valore-verità (Hughes Leblanc)”.
Nell’arco dei primi tre anni, la rivista ha pubblicato le firme d’importanti e affermati studiosi, nonché quelle di giovani promesse. Fra gli altri — ma il rischio di fare torto a qualcuno è in realtà una certezza — vi sono il filosofo spagnolo della scienza professor Mariano Artigas, il professor Vittorio Possenti, docente di Storia delle Dottrine Morali, il professore di Filosofia Teoretica Dario Sacchi, lo storico della scienza ed epistemologo — ungherese di nascita e ora cittadino americano — dom Stanley L. Jaki O.S.B., la dottoressa Maria Antonietta Mendosa, anch’essa epistemologa, e lo spagnolo professor Eudaldo Forment, ordinario di Metafisica.
La struttura della rivista, che vuole essere di taglio accademico, si suddivide anzitutto nelle sezioni saggi e studi, ove trovano spazio le collaborazioni quantitativamente più cospicue e diffuse: fra queste meritano specifica segnalazione lo studio di monsignor Livi su Il senso comune nell’enciclica di Giovanni Paolo II, “Fides et Ratio” (vol. I, n. 1, gennaio-marzo 2000, pp. 23-40) e quello di Francesca Rivetti Barbò su Liberté et verité: du savoir commun à la philosophie (vol. I, n. 2, aprile-giugno 2000, pp. 183-192), contenuti nel primo volume; per il 2001, meritano un accenno quelli di Georges Cottier O.P. su La raison critique et le sens commun (vol. II, nn. 2-3, aprile-settembre 2001, pp. 199-206), nonché quello di Stanley L. Jaki su The Logic of Resurrection (vol. II, n. 4, ottobre-dicembre 2001, pp. 367-386); da ultimo, per il 2002, si segnalano il saggio di Roberto Di Ceglie, Il “senso comune” e il “simbolo”: per una prospettiva teologica della conoscenza (vol. III, nn. 1-2, gennaio-giugno 2002, pp. 21-29 e, infine, quello di Paolo Terenzi su Senso comune e sociologia della conoscenza (vol. III, n. 4, ottobre-dicembre 2002, pp. 399-407).
Vi sono quindi le ricerche storiche, fra le quali spiccano, per il primo anno, quelle di Vittorio Possenti su Tommaso d’Aquino e la ricerca della verità (vol. I, n. 3, luglio-settembre 2000) e di Héctor Zagal Arreguín su Is Aristotle’s Common Sense an Epistemological Virtue? (vol. I, n. 4, ottobre-dicembre 2000, pp. 479-499); per il 2001, Robert M. Berchman, A Speechless Image: Plotinus on Beauty (vol. II, n. 1, gennaio-marzo 2001, pp. 19-30) e Dario Sacchi, Il senso comune come “grammatica” nella riflessione di Nietzsche (vol. II, nn. 2-3, aprile-settembre 2001, pp. 243-251); per il 2002, gli studi di Ralph Mc-Inerny su Implicit Philosophy (vol. III, nn. 1-2, gennaio-giugno 2002, pp. 47-58) e di Andrea Brugnoli su Rifondazione del “verum” a partire dal “bonum” nella filosofia di Balthasar (vol. III, n. 3, luglio-agosto 2002, pp. 267-286).
Seguono le ricerche bibliografiche, tese a presentare in modo molto agile autori o loro singoli volumi, e anche forum su un libro. Vi sono inoltre le discussioni, nelle quali si propongono considerazioni critiche su libri o saggi di recente pubblicazione, oppure filosofi di differente orientamento dibattono fra loro. In queste sezioni, molto interessanti sono le discussioni, contenute nel primo volume, fra Aniceto Molinaro e Antonio Livi, rispettivamente su La filosofia come superamento del senso comune e la Risposta ad Aniceto Molinaro (vol. I, n. 1, gennaio-marzo 2000, pp. 91-98 e 98-101), e Gian Franco Lami, “Senso comune” e “buon senso” nell’esperienza giuridica (vol. I, n. 4, ottobre-dicembre 2000, pp. 513-527); per il 2001 sono meritevoli di segnalazione Antonio Livi, Risposta a Paolo Carlani su Gilson e il senso comune (vol. II, n. 1, gennaio-marzo 2001, pp. 79-87) e Dario Sacchi e Antonio Livi, Has Common Sense a Real Relevance in Philosophy? (vol. II, n. 4, ottobre dicembre 2001, pp. 489-491); per il 2002 vi sono Walter Redmond, Intellectual Upward Mobility Private in U.S. Christianity: Prestige vs. Truth (vol. III, nn. 1-2, gennaio-giugno 2002, pp. 125-136) nonché Roberto Di Ceglie, About what “common sense” means in the thought of Antonio Livi (vol. III, n. 4, ottobre-dicembre 2002, pp. 411-422), peraltro quest’ultimo ricco d’importanti spunti per comprendere alcuni aspetti del pensiero di monsignor Livi.
Infine vi sono le cronache, le recensioni e il notiziario editoriale.
Fra i molteplici meriti di tale impresa culturale, ve ne è uno di non poco momento: l’aver dotato una prospettiva teoretica — ma direi meglio culturale — di uno strumento indispensabile per il suo consolidamento in scuola, unica modalità consentita all’uomo affinché i suoi sforzi personali non finiscano con lui; e l’aver così catalizzato e “obbligato”, nel senso buono del termine, filosofi e pensatori realisti a confrontarsi con l’unico fondamento di ogni filosofia degna di tal nome, ossia il senso comune, con qualsivoglia nome si desideri indicarlo.
In questa meritoria operazione la rivista si pone alla sequela di Papa Giovanni Paolo II, che, nella lettera enciclica Fides et ratio circa i rapporti tra fede e ragione, del 14 settembre 1998, parla, al paragrafo 4, di una “filosofia implicita”: “è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo per esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. Questi e altri temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale dell’umanità. È come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non riflessa”. Proprio tale passo, nell’accostamento non occasionale fra “una filosofia implicita” e “una sorta di patrimonio spirituale dell’umanità” salda la prospettiva tradizionalista e quella del senso comune (cfr. Giovanni Cantoni, Il mondo prima di Cristo, in Cristianità, anno XXXI, n. 320, novembre-dicembre 2003, pp. 15-22, soprattutto pp. 21-22). In questo modo compone — finalmente — un’ingiustificata dialettizzazione che, prodotta dalla stessa necessità di distinguere in modo marcato per descrivere, quando non da quella di marcare le distinzioni per dialettizzare, ora solo la pigrizia degli uomini può prolungare.
Ignazio Cantoni