Poesia di Davide Rondoni
I
L’acqua, l’acqua…
Dove sono ?
Mormora l’acqua, Mormora è anche il nome della antica
roggia
cosa mormora qui ? che voci di donne
sento dai muri, o forse da lontani astri,
dalle strade qui fuori
o da celestiali stringhe…
le voci,
l’acqua, il carbone, le cinghie…
cosa è questo posto?
ora così bello, ordinato, composto…
le donne lavoravano qui, filavano –
cantavano ? chiedevano
di lavorare meno,
un po’ meno di dieci ore siùr padrù
meno…
il posto detto della pozzanghera
nelle pozze giocavano i loro bambini
cosa si muove qui, forse sento ancora
le pale degli antichi mulini…
fanno frrrr frrrr
trema la notte, trema l’anima mia…
qui al centro di un posto piccolo, laggiù Milano,
là Cremona,
è più lontana Pavia…
l’acqua, l’acqua qui sotto mormora
e tra le dita,
e come la vita
va via…
La nostra anima è di seta?
se la si potesse toccare
questa cosa che ci fa respirare, essere,
desiderare, questa cosa filata dentro di noi
dalle stelle o da cosa nei telai dell’universo
sarebbe lieve, liscia, sarebbe un quasi niente
meraviglioso tra le dita?
o è carbone, mulini, nel vento perso
è tirata imprigionata da cinghie
un padrone la sovrasta, la affama
anima quasi schiava…
anima bestia, anima peste…
cosa si tesse qui in paese
e nel nostro interiore paese
mentre l’acqua segretamente scorre, lava
i pensieri nella Filanda invisibile di me,
e qui, ombre che mi ascoltate, di voi?
la nostra anima è seta ?
o forse è solo infinita sete ?
II
l’acqua, la vita, mormora
spinge le energie si macina
la vita, si macinava nell’antico
mulino in un’ora
mezza somma
di formentone
nella nostra anima quanto tormento
si macina, deve spingere l’acqua, spingere il vento –
si macina nel petto, nelle ossa la vita
si macina nei baci, nei ti prego resta,
non andar via, si macina
anche quando sembra non ci sia più nulla
più nulla da macinare
vita tutta pèsta
e si vorrebbe finalmente restare
solo un pianto di acqua di seta sul viso
e le braccia poverissimi allargare –
e invece viene il vento, viene la fame
e ancora ancora macinare –
cosa succede in questa voce rotta di poesia
sono le voci della Filanda, del mulino
qualcosa di terribile, di bambino?
si macina la vita, si fila l’anima
nella terra di mezzo
tra Milano, Cremona, e là, lontana, Pavia
si fila l’anima di una gente, di un luogo, un cielo
con l’acqua, la fatica (siùr padrù
non dieci ore di lavoro, meno)
proprio qui
a Soncino
l’ho detto il nome, questo posto
grandioso e piccolino
la nostra anima è di seta, è sete
la nostra anima è un posto grandioso e piccolino
dove l’acqua mormora, mulini fantasma
girano, a volte in silenzio
a volte gridano…
la Filanda, la Filanda
si tiene a un filo il cuore
o – dicono qui –
el cör sö l’aspa
in una indefinibile ansia
quando scende immensa sulla pianura
la sera
o per strada l’occhio brilla ammirando
il passaggio tra le tante donne belle
di lei, silenziosa mite guerriera
che mormora solo: “ricordati le stelle…”
il suo invito
l’ansia della bellezza
lo sai, lo sai, tutta Italia è una dura carezza…
III
la Filanda lo sa
sa il profondo segreto
la bellezza nasce dall’acqua, dal fuoco
dal vento che rende il tempo inquieto
è bellissima la seta
tremenda la lotta,
quante ore
a filare, a filare
il dolore con l’amore, la fine con le nascite
la pazienza con l’insurrezione
qui prima società operaia a organizzarsi
siamo donne non siamo bestie
l’anima non è una bella veste
il lavoro di filare la vita, filare l’anima
è cosa da uomini non da animali
un tempo per il lavoro, un tempo per il riposo
e uno per camminare sotto i vasti
stellati cieli invernali, lungo il roseto brumoso
o lungo le nebbie del mattino
un tempo per guardare i tuoi occhi da vicino
la Filanda lo sa, lo mormora
alla rocca qui a Soncino
la vita è una guerra
contro la disperazione
contro la dispersione
la Filanda lo sa
l’identità è il problema della modernità
la Filanda che ha visto passare operai, padroni,
età:
se togli il filo del mistero, del cielo, del Dio
dell’universo
che nella nascita in un luogo ti offre al tuo cammino
ogni filo va in un casuale verso
o nel disegno disegnato dal potere
siùr padrù ci tolga della fatica, ci tolga
delle ore
la Filanda lo sa
se ti chiedono di colpo ehi, ehi
tu chi sei
– se un fantasma non sei –
balbetti qualche nome – io sono
di Soncino, o
io sono di Forlì
l’amico di Maria, di Gianluca, di Gino, io sono
la sorella di, la moglie di, il moroso di, cugino di
io sono innamorato di,
io sono di,
se no chi sono io ?
se no che cosa sono io
grida alle stelle, nel grande
vuoto, nel grande oblio
l’errante di ogni età –
III
la Filanda lo sa
e continua a tessere in silenzio
le anime di qui
la rocca difende i corpi
la Filanda tesse le identità
le prepara al battesimo, acqua
che mormora anche là,
che cosa sono io
se non sono di…se non sono di…
siamo tutti di…
la Filanda lo sa
si filava,
e ancora misteriosamente si fila qui,
contro ogni tentativo di spezzare,
di smagliare, di dimenticare
la splendida seta, la umile tessitura
del dire, del pregare, del piangere io sono di,
amore tienimi qui
– Filo e radice di ogni avventura
di ogni universale apertura
un filo, ti tiene legato, e continuamente
filato, rammagliato
a un posto grandioso e piccolino –
la vita naturale
non è essere a chiunque altro
uguale
se tutto è uguale a tutto
allora tutto
è solo del più forte
e su tutto domina in mille maschere
la morte –
Porta ancora il tuo filo alla Filanda, anima,
mormora
come acqua sulle labbra, come mulini
di gioia negli occhi,
con il tuo filo in mano:
io sono di
io sono dei tuoi occhi, mia mite guerriera,
di questa erba, di questa grande sera
di questi fossi, tessuto qui, io sono
di Soncino
niente lo può negare, la nascita lo grida
col primo grido nel parto
non lo cancella l’ultimo sospiro
prima di morire, né l’ultimo quarto
di luna
prima di svanire
IV
la Filanda, l’anima
l’anima da filare sempre
muovi i celestiali telai, amore,
l’anima sempre da macinare
muovi il vento, amore,
l’anima da dissetare sempre
muovi l’acqua che mormora, amore
l’anima da far nascere sempre
muovi ancora il tuo sospiro,
spargi il tuo seme di tigre e di quercia
il tuo grido, il tuo lieve giro
di luci sulla pianura e sul mare –
fila, macina, amore
tu che sei il mio filatore, il mio
macinatore