La celebre pagina di Mt 22,15-21 attesta che esiste una legge divina sulla quale il cattolico non può transigere.
di Michele Brambilla
Come afferma Papa Francesco nel discorso per l’Angelus del 18 ottobre, «il Vangelo di questa domenica (cfr Mt 22,15-21) ci mostra Gesù alle prese con l’ipocrisia dei suoi avversari. Essi gli fanno tanti complimenti – all’inizio, tanti complimenti –, ma poi pongono una domanda insidiosa per metterlo in difficoltà e screditarlo davanti al popolo. Gli chiedono: “È lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?” (Mt 22,17)». Il quesito è, infatti, un’arma a doppio taglio: Gesù poteva essere additato dai farisei come un “servo dei Romani” o come uno zelota, vale a dire un appartenente ai nuclei armati che nel I secolo d.C. cercavano di allontanare le truppe romane con la violenza. Cristo schiva magistralmente entrambi i pericoli con una risposta che spiazza gli interlocutori: «chiede loro di mostrargli la moneta, la moneta delle tasse, del tributo, la prende tra le mani e domanda di chi sia l’immagine impressa. Quelli rispondono che è di Cesare, cioè dell’imperatore. Allora Gesù replica: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21)».
La frase è molto cara ai laicisti di ogni risma, che la ripetono per tentare di silenziare la parola della Chiesa sui temi “scomodi”, ma il Papa intuisce che «in questa sentenza di Gesù si trova non solo il criterio della distinzione tra sfera politica e sfera religiosa, ma emergono chiari orientamenti per la missione dei credenti di tutti i tempi, anche per noi oggi. Pagare le tasse è un dovere dei cittadini, come anche l’osservanza delle leggi giuste dello Stato» quando esse corrispondano davvero ai criteri di giustizia proposti dalla dottrina cattolica, perché «al tempo stesso, è necessario affermare il primato di Dio nella vita umana e nella storia, rispettando il diritto di Dio su ciò che gli appartiene». Lo stesso espediente della moneta «da una parte, riconosce che il tributo a Cesare va pagato – anche per tutti noi, le tasse vanno pagate –, perché l’immagine sulla moneta è la sua; ma soprattutto ricorda che ogni persona porta in sé un’altra immagine – la portiamo nel cuore, nell’anima –: quella di Dio, e pertanto è a Lui, e a Lui solo, che ognuno è debitore della propria esistenza, della propria vita», cosa che non era molto chiara ai tempi di Gesù e continua ad essere negata nel XXI secolo.
«Da qui», avverte il Pontefice, «deriva la missione della Chiesa e dei cristiani: parlare di Dio e testimoniarlo agli uomini e alle donne del proprio tempo. Ognuno di noi, per il Battesimo, è chiamato ad essere presenza viva nella società, animandola con il Vangelo e con la linfa vitale dello Spirito Santo». Come ribadisce Francesco, «si tratta di impegnarsi con umiltà, e al tempo stesso con coraggio, portando il proprio contributo all’edificazione della civiltà dell’amore, dove regnano la giustizia e la fraternità» autentiche, quelle insegnate dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa.
Esiste quindi qualcosa di irriducibile al potere dello Stato, un qualcosa che i cattolici devono testimoniare senza lasciarsi condizionare dal successo riscosso dalle proprie idee presso la cultura dominante: «Maria Santissima aiuti tutti a fuggire ogni ipocrisia e ad essere cittadini onesti e costruttivi. E sostenga noi discepoli di Cristo nella missione di testimoniare che Dio è il centro e il senso della vita». Il Papa ricorda che «oggi celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale, che ha per tema “Eccomi, manda me. Tessitori di fraternità”. È bella questa parola “tessitori”: ogni cristiano è chiamato ad essere un tessitore di fraternità» negli ambienti in cui vive. Un messaggio che giunge al cuore delle centinaia di cresimandi ambrosiani che in quelle ore, nella solennità della Dedicazione del Duomo di Milano, recuperano la Cresima che non si è potuta celebrare in primavera e vengono esortati dalla stessa liturgia a diventare “pietre vive” del Corpo ecclesiale.
Lunedì, 19 ottobre 2020