Giovanni Paolo II, Cristianità n. 324 (2004)
Lettera a S. E. mons. Mariano De Nicolò, vescovo di Rimini, in occasione del XXV Meeting per l’amicizia fra i popoli (Rimini, 22-28 agosto 2004), del 6-8-2004, nn. 1-3, in L’Osservatore Romano, Città del Vaticano 23/24-8-2004. Titolo redazionale.
Il tema scelto per il Meeting [ per l’amicizia fra i popoli] offre stimolanti motivi di riflessione sulle questioni più spinose che si pongono drammaticamente all’uomo d’oggi. Molta luce può infatti gettare su di esse la consapevolezza che “il nostro progresso non consiste nel presumere di essere arrivati, ma nel tendere continuamente alla meta”.
In realtà, è ben noto quel “senso di potenza che l’odierno progresso tecnico ispira all’uomo” (Gaudium et spes, n. 20).
Particolarmente forte è, quindi, la tentazione di pensare che l’opera dell’uomo trovi in se stessa la giustificazione dei propri obiettivi. I risultati raggiunti nei vari ambiti della scienza e della tecnica vengono da molti considerati e difesi come a priori accettabili. Si finisce così per pretendere che ciò che è tecnicamente possibile sia di per sé anche eticamente buono.
Secondo questa opinione, proprio perché il progresso delle conoscenze scientifiche e dei mezzi tecnici a disposizione dell’uomo spinge di fatto sempre più in là il confine tra ciò che è possibile “fare” e ciò che ancora non lo è, tale progresso finirebbe per spostare indefinitamente in avanti anche il confine tra il giusto e l’ingiusto. In tale ottica, il progresso diverrebbe allora un valore assoluto, anzi la fonte stessa di ogni valore. La verità e la giustizia non sarebbero più istanze superiori, criteri di giudizio ai quali l’uomo si deve attenere nell’orientare le azioni che alimentano il progresso stesso, ma diventerebbero un prodotto della sua attività di ricerca e di manipolazione della realtà.
Non c’è chi non veda le conseguenze drammatiche e desolanti di tale pragmatismo, che concepisce la verità e la giustizia come qualcosa di modellabile ad opera dell’uomo stesso. Basti, come esempio fra gli altri, il tentativo dell’uomo di appropriarsi delle fonti della vita attraverso gli esperimenti di clonazione umana. Qui tocchiamo con mano la presunzione di cui parla proprio il titolo del Meeting: la violenza con cui l’uomo tenta di appropriarsi del vero e del giusto, riducendoli a valori di cui egli può disporre liberamente, cioè senza riconoscere limiti di sorta, se non quelli fissati e continuamente superati dell’operabilità tecnica.
La via insegnata da Cristo è un’altra: è quella del rispetto per l’essere umano, che ogni mezzo di ricerca deve anzitutto mirare a conoscere nella sua verità, per poi servirlo, non manipolandolo secondo un progetto considerato talora con arroganza come migliore di quello del Creatore stesso.
Per il cristiano il mistero dell’essere è talmente profondo che risulta inesauribile all’indagine umana. L’uomo invece che, nella presunzione di Prometeo, si erge ad arbitro del bene e del male, fa del progresso il suo ideale assoluto e ne rimane poi schiacciato. Il secolo appena trascorso, attraverso le ideologie che ne hanno tristemente marcato la tragica storia e le guerre che lo hanno profondamente solcato, sta davanti agli occhi di tutti a mostrare quale sia l’esito di tale presunzione.
Il tema del Meeting di Rimini invita a volgere al Creatore uno sguardo stupito per la bellezza e la razionalità di ciò che Egli ha posto e mantiene nell’essere. Solo questa umiltà di fronte alla grandezza e alla misteriosità del creato può salvare l’uomo dalle conseguenze nefaste della propria arroganza.
Auspico di cuore che il Meeting contribuisca a favorire questo atteggiamento di umiltà di fronte ai tesori che il Creatore ha disseminato nell’universo come riflessi della sua sapienza, così che il credente possa trarre dalla loro contemplazione motivi sempre nuovi di luce e di conforto nel quotidiano confronto con gli interrogativi emergenti dalla vita.