Giovanni Paolo II, Cristianità n. 209-210 (1992)
Discorso in Piazza del Broletto, a Lodi, del 20-6-1992, nn. 3-4, in L’Osservatore Romano, 22/23-6-1992. Titolo e inserto fra parentesi quadre redazionali.
Quando nel IV secolo il grande Bassiano entrò come Vescovo nella nuova Diocesi [di Lodi], il territorio aveva già una sua fisionomia specifica, risalente all’epoca celtico-romana; ma fu solo col nuovo Pastore che iniziò a prender corpo e a consolidarsi quell’unità culturale che, attraverso vicende talvolta drammatiche, si è conservata fino ad oggi. Il messaggio cristiano, qui come altrove in Europa, fornì, per così dire, l’anima di una nuova sintesi culturale e sociale, che nei secoli si concretizzò in una fitta trama di pievi, di parrocchie e di opere al servizio della fede e della carità.
Parlando ai Vescovi della vostra Regione, circa un decennio fa, ebbi a dire che la “cultura popolare” è “quell’unione di principi e di valori che costituiscono l’ethos di un popolo, la forza che lo unifica nel profondo” e che “nessun popolo si forma al di fuori di questo fondamento. Nessuna esperienza politica, nessuna forma di democrazia può sopravvivere, se viene meno l’appello ad una comune moralità di base. Nessuna legge scritta è sufficiente a garantire la convivenza umana, se non trae la sua intima forza da un fondamento morale” (Insegnamenti, vol. V/1, 1982, p. 103).
In effetti, una società che smarrisse la dimensione spirituale e religiosa vedrebbe i propri valori svuotarsi del loro contenuto più vero. Il progresso economico si rivelerebbe illusorio e nel fondo insoddisfacente.
È quanto per alcuni versi sta vivendo l’umanità in questo nostro tempo. In particolare, il dilagante conformismo dei desideri e dei comportamenti sta plasmando una civiltà uniforme, appiattita, sazia di benessere, ma povera di slanci ideali e di speranze, una civiltà povera di anima. L’insidia più grave di tale processo sta proprio nella tendenza a soffocare il respiro trascendente della cultura, impoverendola, livellandola, svuotandola di energia.
Occorre resistere a questa subdola azione di livellamento che non risparmia nemmeno la vostra Comunità cittadina; bisogna contrastare i germi di morte che ne insidiano la stabilità. Una città è ricca quanto è ricca la sua cultura, poiché le città sono unità viventi, che incorporano una memoria, custodiscono un’anima, vantano una loro genialità ed una loro specifica vocazione. Le città possono diventare fontane inesauribili, libri vivi, fari di luce per il cammino delle nuove generazioni.
Il nome di Lodi, Laus, poi, evoca il destino più vero di ogni umana convivenza: costituire un corale inno a Dio mediante il tessuto di relazioni e di interscambi che lega fra loro persone e gruppi. Se “gloria di Dio è l’uomo vivente” (S. Ireneo), a maggior ragione lo sarà la comunità vivente, la polis, capace di esprimere in se stessa un alto stile di vita, nel segno della condivisione e della solidarietà.
Giovanni Paolo II