Giovanni Paolo II, Cristianità n. 311 (2002)
Messaggio al Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, del 21-3-2002, nn. 2-4, in L’Osservatore Romano, 22-3-2002. Titolo e inserto fra parentesi quadre redazionali.
Non vi è dubbio che l’unità del diritto e della scienza giuridica trovi il proprio fondamento in una giustizia dinamica, espressione non soltanto dello stretto ordine legale, ma soprattutto di quella recta ratio che deve governare sia i comportamenti dei singoli che quelli dell’autorità. È quanto afferma san Tommaso d’Aquino, quando ricorda che: “omnis lex humanitus posita in tantum habet de ratione legis, in quantum a lege naturae derivatur [ogni legge posta dagli uomini ha ragione di legge in quanto deriva dalla legge di natura]“ (Summa Theol., I-II, q. 95, a. 2).
Nella visione cristiana i termini diritto e giustizia, in quanto operanti nello strutturarsi degli ordinamenti giuridici, costituiscono altrettanti richiami ad una giustizia superiore, che diventa criterio di confronto per ogni comportamento giuridicamente rilevante, da quello dei legislatori a quello di quanti, a diverso titolo, operano nel campo della giustizia.
In effetti, a partire dall’essenza stessa del diritto della Chiesa emerge immediatamente l’esigenza di garantire la salus animarum quale criterio del corretto rapporto tra norma giuridica e legittime aspirazioni dei christifideles. L’ordinamento giuridico della Comunità ecclesiale tende primariamente a realizzare la comunione ecclesiale, facendo prevalere la dignità di ogni battezzato, nella sostanziale eguaglianza e nella diversità dei ruoli di ciascuno. Questa diversità, infatti, non è espressione semplicemente di una “esigenza funzionale”, ma è indice della peculiare visione antropologica cristiana e della realtà sacramentale e istituzionale della Chiesa.
Solo nella comunione organica della Comunità ecclesiale, infatti, la dignità dei christifideles trova lo spazio ed i modi per collocare l’esigenza legittima di tutela dei diritti e di assunzione di doveri. Ecco perché la comunione esige che sia sempre presente la carità, che non contraddice il diritto, ma lo eleva a strumento di verità, contribuendo a creare la certezza delle regole e quindi l’ordinato svolgersi di relazioni giuridiche non lesive della giustizia.
Guardando la realtà odierna degli ordinamenti della società civile, pur in presenza di diversità culturali e di concezioni alle quali si ispirano i diversi sistemi giuridici, possiamo rilevare quanto il senso del diritto trovi ovunque considerazione, fino a giungere a vere e proprie rivendicazioni quando emergono conflitti o anche atteggiamenti profondi che si oppongono ad un’effettiva giustizia.
Assistiamo spesso, purtroppo, alla formulazione di norme che, invece di contemperare le esigenze del bene comune con la garanzia della tutela legittima dei singoli, si limitano a considerare soltanto gli interessi di ristrette categorie, deformando così la stessa idea di giustizia e riducendo l’ordinamento giuridico a mero strumento di pragmatica regolamentazione. Anzi, in molti casi, un rapido ed inconsueto accrescersi delle norme, giustificato in nome di un’apparente necessità di regolamentare ogni aspetto dell’ordine sociale, tende a sottrarre ai singoli ed alle formazioni sociali intermedie quegli spazi vitali necessari a garantire le aspirazioni più profonde dell’uomo.
È chiaro che la dignità della persona umana, anche se formalmente riconosciuta come fondamento di ogni diritto, risulterebbe violata o almeno disattesa, qualora la giustizia fosse ridotta a semplice funzione di soluzione di controversie. In questo caso, anche il ruolo della scienza giuridica ne uscirebbe mortificato e l’attività degli operatori della giustizia si ridurrebbe all’applicazione di decisioni puramente tecniche.
Giovanni Paolo II