di Luciano Moia da Avvenire del 29/10/2020
Filippo Vari: gli emendamenti al testo non sono sufficienti a escludere i pericoli per i diritti fondamentali della persona. Intanto la Camera accelera: approvati i primi 5 articoli
Dovrebbe arrivare già stasera il via libera della Camera alla legge contro l’omofobia. Ieri approvati i primi cinque articoli della legge (in tutto sono dieci). L’obiettivo della maggioranza è quello di approvare oggi gli altri cinque. Quindi la legge passerà al Senato. L’articolo 1 del testo modifica l’articolo 604 bis del codice penale, aggiungendo tra i reati di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa, punibili con la detenzione, anche gli atti di violenza o incitamento alla violenza e alla discriminazione «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità». L’articolo 2, sempre approvato ieri, modifica invece l’articolo 604 ter del codice penale, relativo alle circostanze aggravanti, aggiungendo anche l’identità di genere e la disabilità tra i reati la cui pena è aumentata fino alla metà. L’articolo 3 ‘(Pluralismo delle idee e libertà delle scelte), cioè il cosiddetto ‘salvaidee’, recita: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Proprio sulla coniugazione disgiuntiva si concentrano le perplessità. Come definire un ‘atto discriminatorio’ se non c’è violenza?
Gli emendamenti approvati dalla maggioranza per risolvere alla radice i rischi ideologici del testo unico sull’omofobia non bastano a sciogliere tutti i dubbi. Due soprattutto le questioni tuttora aperte; la mancata definizione di ‘atti discriminatori’ e la spiegazione dei termini genere, orientamento sessuale e identità di genere che, più che al diritto, sembrano sconfinare nelle categorie dell’antropologia e della psicologia. Con interpretazioni tutt’altro che univoche. Ne è convinto Filippo Vari, docente di diritto costituzionale all’Università Europea di Roma.
Tra gli emendamenti approvati dalla maggioranza, è stato riscritto l’art. 3, il cosiddetto ‘salvaidee’, che ora recita: ‘Ai sensi della presente legge, restano salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti’. È sufficiente per evitare il rischio che la legge finisca per assumere risvolti liberticidi?
No, la formulazione dell’emendamento non è sufficiente a escludere rischi per i diritti fondamentali delle persone. Nel diritto ogni parola pesa: si diceva, basta una virgola del legislatore e cadono intere biblioteche. Ciò ancor più per una normativa penale, come questa. Essa non definisce il concetto di ‘atti discriminatori’, puniti finanche con 18 mesi di carcere, a prescindere dal legame con la violenza o con la lesione della dignità. Atto discriminatorio, senza legame con la violenza, può ricomprendere qualsiasi comportamento, anche espressione di un diritto di libertà: la scelta di un circolo di accettare tra i soci solo uomini; quella di un proprietario di locare soltanto a ragazze; l’istituzione di convitti solo per ragazzi; la scelta di un pubblicitario di promuovere un prodotto esclusivamente con immagini di coppie eterosessuali; il rifiuto dei genitori di far partecipare a scuola i figli a lezioni di educazione civica nelle quali s’introduce l’ideologia di gender. La mancata definizione del concetto di atto discriminatorio – oltre a ledere potenzialmente la libertà di associazione, di riunione, religiosa, d’educazione – rischia di minare anche la libertà di manifestazione del pensiero, come l’esperienza comparatistica insegna.
Il costituzionalista e deputato Pd, Stefano Ceccanti, ha sottolineato l’importanza dell’inserimento del concetto di ‘concreto pericolo’ del compimento di atti discriminatori o violenti, la cui specificità metterebbe al riparo da interpretazioni estensive della norma. È d’accordo?
Il riferimento al ‘concreto pericolo’ è utile se legato a una fattispecie chiara, come il compimento o la minaccia di ‘atti violenti’, atti, va ribadito, che meritano pene. Ma a cosa serve limitare la punizione di convincimenti, opinioni o condotte solo se ‘idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori’ se il concetto di atto discriminatorio è vago e potenzialmente onnicomprensivo?
Perché è così importante definire questo concetto?
Stiamo parlando di manifestazioni del pensiero e comportamenti che non hanno nulla a che fare né con la violenza – che è vietata e punita da aspetti della disciplina diversi da quello di cui sto parlando – né con la protezione della dignità della persona. Non si potrebbe trovare una formula più chiara per scongiurare il rischio di letture ideologiche? Il legislatore ha l’obbligo di trovare formule chiare, oltretutto in materia penale. Uno dei principi su cui si fonda lo Stato di diritto, accolto in Costituzione all’art. 25, è che si conoscano i fatti leciti e quelli vietati. Ci deve essere un totale divieto di atti violenti, che vanno perseguiti e puniti, in modo chiaro, proporzionale, ragionevole. Tuttavia, questa normativa, accanto alla giusta punizione di fatti violenti o di minaccia degli stessi, introduce un regime di dubbio e d’incertezza che porta alla paura di poter esprimere una qualsiasi valutazione sulla ideologia di genere o su un orientamento sessuale o compiere qualsiasi atto che a essi possa essere riferito.
Gli altri emendamenti puntano a spiegare in modo ancora più esplicito, come richiesto dalla Commissione affari costituzionali, i concetti di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. Anche qui ci potrebbero essere motivi di fraintendimenti?
Direi che, si fa richiamo, per l’applicazione della normativa, a concetti il cui fondamento sul piano scientifico è dibattuto, come genere e identità di genere, ma la cui definizione e differenza non è assolutamente intelligibile dall’uomo della strada, che però rischia di trovarsi coinvolto in un’azione penale, senza aver fatto male o minacciato nessuno, senza aver leso la dignità di nessuno, ma magari avendo esercitato un diritto di libertà riconosciuto dalla Costituzione. È vero che, poi, ci saranno giudici di buon senso. Ma a quante vicende incredibili d’incriminazione assistiamo oggi? Si verrà anche assolti, ma un’indagine e un processo sono già una pena in sé. In Inghilterra, ove persone dello stesso sesso possono adottare, le associazioni che promuovevano l’adozione solo per coppie eterosessuali hanno chiuso per paura d’incappare nel divieto di discriminazione. Non vorrei che – insisto a scanso di equivoci – al giusto ripudio e alla giusta punizione della violenza si affiancasse la creazione di un clima di terrore.
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