Di Matteo Matzuzzi da Il Foglio del 28/10/2020
Il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, mons. Massimo Camisasca, è stato fra i primi a dubitare delle ricostruzione fornite dai media sul passaggio “incriminato” del documentario “Francesco”, in cui il Papa sembrava benedire la famiglia omosessuale, con tanto di prole, quasi fosse uguale a quella composta da mamma e papà. Ne è seguito un dibattito su cosa volesse davvero dire Francesco. Non è la prima volta che accade in questi sette anni e mezzo di pontificato. Ma insomma, il Papa ha cambiato la dottrina e innovato la prassi, o è stato vittima di una trappola?
“Offro una lettura di quello che è accaduto”, risponde Camisasca al Foglio: “Naturalmente è una mia lettura, di una persona che non possiede tanti elementi per valutare con più profondità. Il Papa ha rilasciato un’intervista nel maggio del 2019 a una giornalista messicana. In quest’intervista, che era per un pubblico latinoamericano e che ha come sfondo l’esperienza di Bergoglio in America latina, Francesco ha sostanzialmente detto due cose. Innanzitutto, che i giovani omosessuali devono poter essere riconosciuti dalle proprie famiglie come figli di Dio, come persone, come soggetti che non devono in alcun caso essere espulsi dalla famiglia e respinti. Il riferimento, qui, è a una prassi ancora presente in America latina. Quindi, chi ha interpretato la frase del Papa ‘le persone omosessuali devono avere una famiglia’ come ‘devono essere una famiglia’, ha volutamente o non volutamente equivocato quanto detto dal Santo Padre. Se si va a leggere la frase in spagnolo, essa mi sembra inequivocabile. Un secondo aspetto riguarda ciò che il Papa chiama in spagnolo ‘ley de convivencia civil’. Effettivamente egli, come arcivescovo di Buenos Aires, per evitare che nell’ordinamento argentino le unioni omosessuali fossero equiparate ai matrimoni, favorì una ‘ley civil’ che riconoscesse i diritti delle persone. Da questo punto di vista, mi sembra che non ci sia alcuna innovazione della dottrina come ben hanno capito gli esponenti del movimento lgbt in Argentina che, non a caso, hanno accolto negativamente le parole del Papa nell’intervista. Il Vaticano deve però aver avvertito che questa seconda risposta del Papa poteva essere strumentalizzata, e così è stata tagliata. Non si sa da chi, questa parte è stata data al regista russo che ha composto il film documentario intitolato ‘Francesco’. Rimane a me misterioso – prosegue Camisasca – perché il Vaticano non abbia chiarito l’accaduto. Forse, si sta cercando chi ha operato questo passaggio. Per quanto riguarda l’altra parte della domanda, la prassi pastorale, io penso che sia mutata: non solo con Papa Francesco, ma lentamente anche con i Pontefici precedenti. Effettivamente c’è un grosso interrogativo nella Chiesa oggi a riguardo della vita di persone omosessuali o addirittura di coppie omosessuali. Dal documento Persona Humana della congregazione per la Dottrina della fede (1975), al Catechismo fino ai pronunciamenti più recenti, penso ad Amoris Laetitia. La Chiesa ha compiuto un percorso reale di scoperta delle persone con orientamento omosessuale, accogliendo loro e accogliendo il loro mistero, valutandone l’integrazione nella vita pastorale delle parrocchie, delle comunità e dei movimenti. Soprattutto, però, la Chiesa si è posta l’interrogativo sulla questione più dirimente e importante: se una persona ha orientamenti omosessuali fin dalla nascita, questo rivela un disegno di Dio su di lui? E’ una vocazione? E quindi come giudicare l’affetto di una persona con orientamento omosessuale verso una persona con analogo orientamento? Penso che questo sia davvero un tempo propizio per riflettere e per coniugare ascolto e attenzione con la strada che la Chiesa ha ritenuto nei secoli di dover indicare a queste persone”.
La differenza tra “orientamento” e “preferenza” è attuale. Anche durante le audizioni al Senato della nuova giudice della Corte suprema americana, Amy Coney Barrett, si è molto discusso di ciò. Qual è la differenza?
“Rispondo con una battuta di Papa Francesco: preferisco i sostantivi agli aggettivi. La Chiesa ha sempre parlato di ‘persona’ con orientamento omosessuale. Non di omosessuali, gay, lgbt (anche se lgbt è ormai, a mio giudizio in modo sbagliato, parola sdoganata anche nella Chiesa)”. Non è però un po’ particolare che per due tre giorni abbiamo assistito a vescovi, teologi ed esperti vari intenti a spiegare, interpretare e valutare quanto detto dal Papa su un tema che apparentemente dovrebbe essere cristallino? Risponde mons. Camisasca: “Sì, è molto particolare e direi che c’è un problema di comunicazione all’interno della Santa Sede. Probabilmente, il Santo Padre ritiene che le sue parole siano chiare, ma allo stesso tempo queste parole sono trasmesse in modo tale che debbano essere spiegate. Questo è singolare e anche penoso”.
Non sono però pochi gli esponenti della Chiesa che, appena visto il filmato o aver letto i primi lanci d’agenzia, hanno esultato per quanto detto dal Papa. Anche l’Italia, seppure più lentamente, si è messa sulla scia del riconoscimento dei cosiddetti nuovi diritti, talmente buoni che chi è perplesso è subito bollato come un retrogrado, se non peggio. Come può la Chiesa reggere l’urto del mondo?
“Innanzitutto, la forza del mondo è veramente pervasiva e si arma di tutti gli strumenti possibili, soprattutto mediatici e tecnologici. Allo stesso tempo, però, il mondo è una tigre di carta. A poco a poco emergono le ragioni dell’umano. Io sono molto confortato dal numero enorme di persone con orientamento omosessuale che mi dicono di andare avanti seguendo l’ideale proposto dalla Chiesa. L’affronto di una questione così grave esige tempi lunghi. Non solo la Chiesa, ma la società stessa ha scoperto di recente che era possibile un approccio diverso alle persone con orientamento omosessuale. Mi sembra un punto non da poco di fronte a un cinema, a un’arte, a una letteratura che insultava gli omosessuali. Non dimentichiamo la condanna di Oscar Wilde. Noi scontiamo i frutti del puritanesimo, quindi di una società che aveva una forte presenza omosessuale al suo interno e una larga espressione di rifiuto all’esterno, basata sull’ipocrisia. La Chiesa ha detto basta con l’ipocrisia: si tratta di persone umane che portano un mistero, nessuno va emarginato, etichettato o sbeffeggiato. C’è tutto un cammino di ripensamento a questo riguardo, che come tutti i cammini nuovi può correre due rischi: il primo è di avere premura, e quando c’è premura si sbaglia sempre perché si vuole chiudere il cerchio prima del tempo. Ma chiudere i cerchi della libertà di Dio e della libertà dell’uomo è un’impresa difficile. Talvolta vanno lasciati aperti. La Chiesa cerca di indicare la strada che sembra migliore. L’altro errore consiste nel dimenticare la dottrina e la prassi che la Chiesa ha vissuto e sperimentato per duemila anni, come se fosse possibile gettare nel gabinetto l’esperienza dell’uomo che ha maturato. Vedo invece frutti positivi negli incontri di preghiera tra sacerdoti e persone con orientamento omosessuale: sono un tentativo di sostenere queste persone che vivono difficoltà molto forti. Non dobbiamo mai dimenticare che l’orientamento omosessuale, soprattutto nei cristiani che desiderano vivere la loro fede, è una misteriosa fonte di sofferenza, una croce che occorre aiutare a portare, non ad appesantire. Vedo una forte presenza di credenti con orientamento omosessuale che si interrogano su ciò che lega il loro stato e la fede; persone che si sostengono a questo riguardo. Non dobbiamo avere la spocchia di dire che tutto è risolto. E’ un cammino”.
Però spesso questo cammino è contrastato da chi all’ascolto preferisce l’insulto. In un’intervista al Foglio, il cardinale Wim Eijk parlava del fatto che ormai per la Chiesa è difficile farsi capire. Come si può stabilire un dialogo fecondo con chi insulta?
“E’ un’arte difficile, bisognerebbe riuscire a capire cosa c’è dietro l’insulto. In taluni c’è una ferita, in altri c’è il demonio. Con i primi il dialogo è possibile, con gli altri bisogna pregare. Comunque bisogna accostarli, sempre. Io ho sempre cercato di incontrare tutti, la prima intervista fatta quando arrivai a Reggio, sulla Gazzetta, fu intitolata dal giornalista ‘Camisasca è un vescovo vulnerabile’. Quando io subisco un insulto, invito chi me lo ha rivolto a venire a trovarmi. Poi magari questa persona non viene”.
Ha l’impressione che si tenda a vivere il sentimento in modo superficiale, oggi? Si abusa troppo della parola ‘amore’?
“Ci sono due movimenti sbagliati – spiega il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla. Il primo è il predominio del sentimento sulla ragione. Oggi la parola scritta, pensata e ragionata sembra non avere più alcun significato. Stiamo cadendo nell’epoca della barbarie. In secondo luogo, nel mondo dei sentimenti, la parola ‘amore’ ha una prevalenza talmente ampia che finisce per non avere alcun valore. E’ triste per noi cristiani, se pensiamo che Giovanni ha scritto: Dio è amore. Comunque c’è la necessità assoluta di ridare significato alla parola ‘amore’, sottraendola a quel mielismo e insignificanza a cui la cultura contemporanea l’ha ridotta. Ritengo che l’amore di Dio debba essere sempre legato all’ira di Dio: senza la considerazione dell’ira di Dio non si può comprendere l’amore. L’ira di Dio è la sua irriducibilità al male, la sua lotta contro il male. Oggi si parla molto di misericordia e per nulla di pentimento, ma se non c’è un atto di pentimento non c’è possibilità di gloria. Per questo la messa inizia con il Confiteor. L’eliminazione del pentimento è il primo gradino della perdita di consapevolezza di cos’è il cristianesimo, che viene così ridotto a una delle tante ideologie mondane”. Insomma, osserva mons. Massimo Camisasca, “imparare che cosa sia l’amore, che cosa significhi amare, quale posto abbiano nella vita il perdono, i sentimenti, gli istinti, la ragione e il sacrificio, insomma imparare quale sia la verità dell’uomo e la strada della sua realizzazione sono sfide che riguardano tutti, indipendentemente dall’orientamento sessuale”.
Foto da diocesi.re.it