di Marco Tangheroni
1. Il Medirerraneo “mare musulmano”
Ibn Khaldun (1332-1406) – il maggior storico arabo – così ripensava alla grandezza della potenza navale musulmana nel Mediterraneo nel secolo X e al successivo declino: “I musulmani avevano raggiunto il controllo su tutto il Mediterraneo. Il loro potere e il loro dominio su di esso furono grandi e nulla potevano i cristiani contro le flotte musulmane in nessuna sua parte. […] i cristiani erano obbligati a passare con le loro navi nella parte nord-est del Mediterraneo, per toccare le regioni marittime appartenenti ai franchi e agli slavi e alle isole romane. La flotta dei musulmani si accaniva su quelle dei cristiani come il leone si accanisce sulla sua preda”. Ma in seguito, per l’azione delle flotte cristiane, “[…] i musulmani divennero stranieri al Mediterraneo. La sola eccezione era costituita da pochi abitanti delle regioni costiere, ancora attivi sul mare”.
In effetti, nel corso di cento anni, dall’inizio del secolo XI all’inizio del XII, il cambiamento è spettacolare e radicale. Come scrive lo storico francese Robert Fossier, “la riconquista del Tirreno costituisce un evento fondamentale nella storia dell’Europa medievale”. Ne sono protagonisti, con le loro navi, pisani e genovesi, con una serie di imprese navali, dapprima volte a contenere le marinerie islamiche, poi, ben presto, miranti a imporre la loro superiorità. Soltanto nel secolo XII, una volta raggiunto il risultato, le due repubbliche marinare diventano nemiche fra loro, aprendo così duecento anni di rivalità e di conflitti, destinati a risolversi con la definitiva affermazione della superiorità della repubblica ligure.
Va ricordato che nel secolo IX, forti della loro superiorità marittima, i saraceni erano arrivati, oltre che a conquistare la Sicilia e a isolare la Sardegna, a costituire un emirato a Bari (840-870), a installarsi alle foci del Garigliano e, da qui, a compiere scorrerie contro la stessa Roma – con l’attacco alle basiliche di San Pietro e di San Paolo fuori le Mura nell’846 -, a insediarsi a lungo in Provenza. Lungo le coste rimaste cristiane sopravviveva soltanto una limitata attività di piccolo cabotaggio. Solo la Repubblica di Venezia e il Ducato di Amalfi rimanevano attivi sul mare, la prima collegata a Costantinopoli, sia pure non senza pericoli, attraverso l’Adriatico e lo Ionio, il secondo inserito piuttosto, come capolinea cristiano, nel sistema economico-marittimo del mondo islamico.
2. Quasi una crociata: le spedizioni di pisani e di genovesi nel Mediterraneo Occidentale
Nel 1015-1016, sollecitate da Papa Benedetto VIII (1012-1024), Pisa e Genova intervengono con successo in Sardegna, dove al-Mugiahid (?-1044), signore della città di Denia – oggi nella provincia spagnola di Alicante -, e anche delle Baleari, tentava di colonizzare almeno parte dell’isola e di costituire un potente Stato marittimo. Dopo questa prima vittoria – che apre la strada alla penetrazione pisana e genovese in Sardegna – nel 1034 gli audaci marinai e guerrieri della città toscana attaccano vittoriosamente la città africana di Bona – oggi il porto algerino di Annaba – e nel 1064 Palermo, ancora musulmana. Quindi decidono di investire le ricchezze ottenute con il saccheggio del porto della città siciliana nell’avvio della costruzione della grande cattedrale intorno alla quale, nei secoli, verrà edificato un complesso di edifici non a torto paragonato, per la sua capacità di esprimere compiutamente una civiltà, alla collina del Partenone di Atene.
Nel 1087 Pisa e Genova guidano, contro l’allora importantissima città africana di al-Mahdiya – oggi piccolo porto tunisino -, che secondo Giuseppe Scalia “[…] rappresentava il più serio pericolo per la sicurezza del commercio marittimo”, una grande spedizione della quale facevano parte anche amalfitani, romani e altri contingenti italiani. Le fonti arabe più affidabili parlano di trecento navi e di trentamila uomini. La spedizione si conclude con una straordinaria vittoria, che stupisce i contemporanei per l’imponenza delle difese della città, e ha alcune caratteristiche che l’avvicinano alla prima crociata, svoltasi pochi anni dopo: il suo carattere marcatamente religioso, la sollecitazione da parte di Papa Vittore III (1086-1087) e il signum Petri, il “segno di Pietro” – quasi certamente la croce – posto sulle bisacce dei partecipanti.
A Pisa, un poeta anonimo compone un elegante poemetto in latino, il Carmen in victoriam Pisanorum, ricco di citazioni classiche e bibliche, nel quale sottolinea sia la ripresa della “romanità”, sia lo spirito religioso dell’impresa. Ecco, per esempio, l’inizio: “Inclitorum Pisanorum scripturus istoriam, / antiquorum Romanorum renovo memoriam: / nam extendit modo Pisa laudem admirabilem, / quam recepit olim Roma vincendo Carthaginem”, “Scrivendo la storia degli illustri pisani, rinnovo la memoria degli antichi romani: infatti ora Pisa continua la mirabile gloria che ebbe un tempo Roma vincendo Cartagine”. E, per l’aspetto religioso, fra i molti passi che vi insistono, si possono citare i versi 43-44: “Non curant de vita mundi nec de suis filiis / pro amore Redemptoris se donant periculis”, “Non si preoccupano della vita terrena o dei figli, per amore del Redentore si gettano nei pericoli”.
Non sono mancati storici che hanno considerato queste imprese marittime come ispirate da sole motivazioni economiche, come se l’aspetto religioso fosse stato soltanto una specie di travestimento, una sovrastruttura ideologica. Ma si tratta di un’operazione metodologicamente scorretta, perché non è lecito ignorare il consenso unanime delle fonti. È significativo che, con i proventi della spedizione, i pisani decidessero di costruire una chiesa intitolata a Papa san Sisto II (257-258): una vera e propria “chiesa civica”, nella quale si terranno per secoli le riunioni degli organi ristretti di governo, mentre quelle del Consiglio Generale avranno come sede abituale la cattedrale. Si deve pure ricordare che uno degli obiettivi delle spedizioni era poi sempre quello di liberare le centinaia o migliaia di schiavi cristiani nelle mani dei saraceni.
Ciò non significa che i risultati conseguiti anche dal punto di vista economico e da quello politico non fossero notevoli, tanto più che contemporaneamente, nella seconda metà del secolo XI, i normanni procedono alla riconquista della Sicilia, islamizzata da circa duecento anni. Pisani e genovesi si preoccupano indubbiamente di ottenere favorevoli condizioni doganali per i loro traffici e la concessione di edifici loro riservati, i “fondaci”, con una chiesa, un forno, case, bagni e magazzini.
3. Le repubbliche marinare italiane a fianco dei crociati
Alla fine del secolo XI l’appello lanciato da Papa beato Urbano II (1088-1099), alla fine del concilio di Clermont, in Francia, nel novembre del 1095, perché i cavalieri cristiani intervenissero in aiuto dei fratelli orientali e dei pellegrini in Terrasanta, minacciati gli uni e gli altri dall’espansione dei turchi selgiuchidi, apre nuove prospettive anche a Pisa e Genova, i cui mercanti-navigatori avevano già saltuari contatti con l’Oriente, in particolare con l’Egitto. Daiberto, arcivescovo di Pisa (vescovo dal 1088, arcivescovo dal 1092-1107), uno dei consiglieri più vicini al Papa, viene incaricato di organizzare gli indispensabili soccorsi navali.
Una prima flotta parte da Genova nel 1098 e ha una parte importante nell’ultima fase della spedizione crociata; una seconda, forte di ben centoventi navi, muove l’anno successivo da Pisa e, giunta in Terrasanta poco dopo la conquista di Gerusalemme, ha un ruolo decisivo nella conquista delle città marittime e nell’assicurare il mantenimento della Città Santa. Anche Venezia, in un primo tempo incerta a causa dei suoi stretti legami con l’impero bizantino, organizza una potente flotta che prende a operare nelle acque siro-palestinesi.
Dunque, le città marinare non sostengono la prima crociata alla ricerca di nuovi mercati, come talora si ripete; ma è più corretto dire che la prima crociata apre loro nuove possibilità di espansione economica. In cambio del sostegno agli Stati “latini”, instaurati in Terrasanta dai crociati, esse ottengono concessioni di favorevoli condizioni commerciali e di quartieri nelle città della costa. Nei primi anni del secolo XII le flotte cristiane impongono la propria superiorità anche nel Mediterraneo Orientale, riducendo l’azione delle navi musulmane a una semplice, anche se fastidiosa, guerra di corsa.
Nel 1113-1115 Pisa rivolge nuovamente la sua attenzione al Mediterraneo Occidentale, dando vita alla più imponente delle sue spedizioni navali: quella per la conquista di Maiorca, base principale della pirateria islamica, nella quale era tenuto in condizioni di schiavitù un gran numero di prigionieri cristiani. L’impresa, di enorme difficoltà anche dal punto di vista tecnico – si pensi alla necessità di trasportare a grande distanza non solo molti uomini, ma pure un buon numero di cavalli -, è felicemente condotta a termine grazie all’alleanza con Raimondo Berengario III il Grande, conte di Barcellona dal 1096 al 1131, con la conquista dell’isola e della munitissima capitale. Per la verità, Maiorca è di lì a poco riconquistata dai musulmani berberi Almoravidi, ma, oltre alla liberazione dei prigionieri, la spedizione era servita a stabilire definitivamente la supremazia cristiana nel Mediterraneo Occidentale.
Dopo l’impresa balearica – cantata in un bel poema latino in esametri, il Liber Maiorichinus -, Pisa non prende più iniziative militari importanti in quei mari. Genova si impegna ancora, verso la metà del secolo XII, attaccando Minorca, sostenendo la conquista castigliana di Almeria e quella catalana di Tortosa, alla foce dell’Ebro (1146-1148); poi, anch’essa, si accontenta della supremazia raggiunta.
Ormai, a una prima fase, marcata soprattutto da azioni militari, seguiva una fase di stabilizzazione dei rapporti, attraverso la stipula di regolari trattati. Una fonte araba – nota in Occidente come Livre des deux jardins perché giunta in versione francese – distingue bene, appunto, un primo periodo in cui pisani e genovesi “[…] erano a volte guerrieri temibili che facevano seri danni e bruciavano di un odio inestinguibile, a volte viaggiatori che si imponevano all’Islam con il commercio e sfuggivano al rigore dei regolamenti”, e un secondo periodo, nel quale erano stati conclusi trattati vantaggiosi, sì che “[…] essi ci portano come merci quelle stesse armi con cui prima ci combattevano”.
4. Le rivalità fra repubbliche marinare e la perdita della supremazia
Ma, soprattutto, hanno conseguenze negative per la Cristianità le rivalità accesesi nel Mediterraneo fra le città marinare italiane: Pisa e Genova lottano per il primato politico e di giurisdizione ecclesiastica in Corsica e in Sardegna, per quello commerciale in Provenza e in Africa, mentre in Oriente Genova e Venezia aprono un duello destinato a pesare ancora, secoli dopo, quando ai turchi selgiuchidi succedono, ancora più minacciosi, i turchi ottomani.
Tuttavia, non vanno dimenticati l’importanza delle audaci imprese marittime delle repubbliche marinare italiane, l’apporto decisivo garantito al mantenimento, per due secoli, delle posizioni crociate nel Vicino Oriente, l’impulso dato al commercio e allo sviluppo economico dell’Occidente, le sofferenze, le fatiche, le perdite umane patite in nome della fede cristiana.
Per approfondire: vedi un quadro generale, in Robert Fossier, Il risveglio dell’Europa. 920-1250, trad. it., Einaudi, Torino 1985; e nel mio Commercio e navigazione nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari 1996; aspetti particolari, nel mio Pisa, l’Islam, il Mediterraneo, la prima crociata: alcune considerazioni, in Toscana e Terrasanta, Olschki, Firenze 1980, pp. 30-55; in Giuseppe Scalia, Il carme pisano sull’impresa contro i Saraceni del 1087, in Studi di filologia romanza scritti in onore di Silvio Pellegrini, Liviana, Padova 1971, pp. 565-627; in Gabriella Airaldi, Genova e la Liguria nel Medioevo, in Storia d’Italia, diretta da Giuseppe Galasso, vol. V, UTET, Torino 1986; in G. Airaldi e Benjamin Kedar (a cura di), I Comuni italiani nel Regno crociato di Gerusalemme, Università di Genova, Genova 1986.