Se non fosse per una incomprensibile campagna per il Sì alle riforme costituzionali che ci toglierebbero un po’ di libertà e di democrazia e per una nostalgia dell’accordo del Nazareno fra Berlusconi e Renzi, il Foglio sarebbe un ottimo giornale. E lo rimane, nonostante questo, perché riesce a dare spazio, e uno spazio intelligente e informato, a una delle tante tragedie dimenticate del nostro tempo: la persecuzione anticristiana nel mondo.
Difficile capire perché la realtà della persecuzione non penetri nel nostro popolo: il Papa ne parla continuamente, il terrorismo avanza e si avvicina sempre più anche a obiettivi italiani, colpendo i cristiani in Iraq e Siria, perseguitandoli in Pakistan e altrove, ma anche ormai sgozzando sacerdoti, eppure dopo un primo momento di attenzione passiamo subito a occuparci della pancia delle o dei “cicciottelli“, quasi fossero un problema geopolitico. Certo, non si tratta di prestare il fianco alla provocazione di chi, come i terroristi dell’IS, vorrebbe scatenare una guerra religiosa per giustificare la barbarie di chi uccide innocenti indifesi, ma basterebbe dire che di guerra si tratta, seppure “a pezzi” come dice Papa Francesco. Non solo, ma di guerra che colpisce anche molti musulmani, oltre ai cristiani che vivono in Siria e in Iraq, costretti a lasciare le loro case e spesso uccisi perché Nazareni, come vengono definiti da chi segna le loro case con la lettera N, per renderli identificabili e più facilmente eliminabili.
La verità anzitutto è la prima condizione per uscire dalla guerra. La verità dei fatti e qui entra in gioco il Foglio, che anche il 12 agosto dedica due articoli al tema della persecuzione.
Nel primo, di Giulio Meotti, si attribuisce un nome a coloro che cercano di salvare concretamente i cristiani perseguitati, facendo passare la misericordia dal cuore alle mani, come auspica il Santo Padre Francesco. Emerge così una rete di associazioni praticamente sconosciute in Italia. I più attenti conoscono l’importante opera della Fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre per fare conoscere e per aiutare i cristiani perseguitati, ma certi nomi pochissimi li conoscevano. Nazarene Fund per esempio, che ha messo in salvo 2.400 cristiani nei paesi del Califfato, attraverso l’organizzazione Mercury One, ispirata da Glenn Beck, celebre conduttore radiotelevisivo americano. Oppure la rete dell’imprenditore ebreo di Montreal Steve Maman, che guida la ong Liberation of Christian and Yazidi Children of Iraq, che è riuscito a pagare il riscatto di centinaia di donne cristiane e yazide finite come schiave sessuali nelle mani dei jihadisti. Oppure ancora la Fondazione Hatune, attiva in Polonia, che porta il nome della suora cattolica Hatune Dogan ed è diretta dall’imprenditore danese Hans Erling Jensen, che sostiene la riabilitazione psicologica di donne sopravvissute alla schiavitù sessuale all’interno del Califfato.
Come fare a far conoscere queste iniziative anche in Italia e a favorirne l’emulazione? Il 15 agosto di due anni fa la Conferenza episcopale lanciò l’idea di una giornata di preghiera di tutta la Chiesa italiana per i cristiani perseguitati. Ferragosto forse non è il giorno migliore per favorire l’attenzione ma il gesto fu comunque importante. Da allora la persecuzione è aumentata e si è avvicinata a noi, con i terroristi islamisti che uccidono nelle città dell’Occidente e con i dieci italiani assassinati a Dacca, per i quali le nostre istituzioni non hanno promosso nulla di paragonabile a quanto fatto, per esempio, per la morte di Giulio Regeni in Egitto, come se fossero morti di serie B.
Tacere, fare finta di niente non è mai una soluzione, anche quando è dettato non dalla vigliaccheria ma da un supposto senso di responsabilità che non vuole dare pubblicità agli assassini che la cercano. Mi ricorda chi cercava di non dare troppo peso alla violenza che cominciava a diffondersi nelle scuole e nelle università negli anni successivi al 1968, quando molti invitavano a fare finta di niente, illudendosi che la violenza sarebbe finita presto. È vero che la violenza va disinnescata dal cuore di chi reagisce, come amaramente abbiamo dovuto sperimentare in quegli anni violenti. È vero che ciascuno di noi deve fare ogni sforzo spirituale per impedire che l’odio penetri nel proprio cuore di fronte a tanta violenza, ma la reazione ci deve essere, ferma e determinata. Anzitutto da parte delle istituzioni, ma anche nelle persone, soprattutto in chi ha la possibilità di influenzare. E facendo conoscere anche le gesta eroiche di chi l’odio e la violenza li va a combattere dove nascono, come fa sempre il Foglio (il secondo articolo nello stesso giorno del primo) raccontando dei trecento occidentali accorsi a combattere contro l’IS, di cui ha scritto il Think tank americano Institute for Strategic Dialogue. Uno di questi combattenti, l’americano Jordan MacTaggart, è stato ucciso in Siria in combattimento pochi giorni fa. Lo hanno annunciato le Forze di difesa del popolo curdo (Ypg), aveva solo 22 anni.
Non basta (mi è capitato personalmente) ricordare con parole dotte e partecipate il martirio di San Lorenzo, il diacono ucciso in odio alla sua fede il 10 agosto del 258, e dimenticare che i martiri ci sono ancora oggi, più che nei primi tre secoli, come ha ricordato anche il Pontefice. Così, stenta a salire una preghiera collettiva nelle chiese italiane, come quella che accompagnava gli apostoli e i primi cristiani durante la persecuzione. Stenta anche perché non c’è una adeguata conoscenza dei fatti. L’Aiuto alla Chiesa che Soffre ha fatto tingere di rosso la Fontana di Trevi, la Regione Lombardia ha organizzato una veglia con la proiezione del film Cristiada che ricorda la persecuzione dei cattolici messicani, altre iniziative sono state organizzate ma la persecuzione a noi contemporanea non viene percepita nella sua gravità. La Chiesa non difende soltanto se stessa e non ricorda soltanto i cristiani. Vittime di questo odio sono anche musulmani, yazidi, in generale gli occidentali, che credano oppure no. La Chiesa si fa carico di un principio assoluto e fondamentale, quello che ogni persona ha diritto di vivere e cercare la verità nella libertà e che ogni violenza è contro l’uomo. Per questo ogni parroco, ogni giornalista, ogni politico deve sentire la responsabilità di fare conoscere che questo odio, antico come il demonio, si è messo in moto e non verrà estirpato se prima non sarà conosciuto.
Chi può faccia qualcosa. Adesso.
Marco Invernizzi