Egemonia è un termine che ricorda un concetto espresso da Antonio Gramsci per indicare l’idea che per conquistare il potere in occidente il comunismo avrebbe dovuto sostituire l’egemonia borghese con quella del marxismo, prima di poter fare la rivoluzione.
Applicata alla Chiesa e al cristianesimo questa idea può generare effettivamente degli equivoci. Li ha indicati in una intervista al Corriere della Sera l’attuale leader di Comunione e liberazione don Julián Carrón, ricordando che la ricerca dell’egemonia è in contraddizione con la verità. Non ci interessano le briciole del potere, ma la testimonianza della verità che è Cristo, ha sostenuto il sacerdote spagnolo.
Tali affermazioni, che esprimono il condivisibile desiderio del primato della ricerca e della testimonianza del vero rispetto alla conquista del potere, aprono tuttavia a una serie di riflessioni che sono troppo importanti per essere lasciate cadere.
È indubbio che il passaggio del cristianesimo dalla persecuzione nei primi tre secoli alla libertà dopo l’editto di Milano del 313 e poi alla progressiva cristianizzazione dei costumi e della cultura dell’Occidente abbia favorito la nascita di una società migliore, cioè più conforme al progetto d’amore di Dio verso gli uomini, nella prospettiva della loro salvezza eterna e di una vita migliore, più dignitosa per gli uomini e soprattutto per le donne del tempo. Una “vita buona” direbbe il cardinale Angelo Scola, certamente migliore di quella precedente.
Questa società migliore è stata attaccata da un nemico che la ha progressivamente colpita nelle sue istituzioni principali, la Chiesa e l’autorità politica, con le due rivoluzioni, quella protestante e quella che dalla Francia è penetrata in Europa, dopo il 1789. Poi è stata la volta dell’assetto economico con il marxismo e infine è stata colpita la cellula fondamentale della società, la famiglia, prima di arrivare a insidiare la stessa persona, ogni uomo, arrivando a mettere in discussione la sua identità sessuale con l’ideologia gender.
Che cosa deve fare ora la Chiesa? È la domanda alla quale il corpo di Cristo ha cercato di rispondere nei due secoli in cui ha resistito denunciando quanto accadeva, dal 1789 al 1989, quando veniva meno l’ultimo tentativo di portare a compimento quella egemonia ideologica di cui parlava Gramsci. E oggi, dopo la resistenza che ha permesso alla Chiesa di sopravvivere seppure in minoranza, che cosa devono fare i cristiani per portare o riportare gli uomini a riconoscere in Cristo il Salvatore?
È quanto ha chiesto di fare il Concilio Vaticano II e tutto il Magistero successivo invitando i cristiani a dialogare con i contemporanei, a usare nei loro confronti la medicina della Misericordia invece del rigore della pur corretta e veritiera polemica.
Ma che cosa potrebbe nascere da questo apostolato, se non una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio, come auspicava San Giovanni Paolo II? Se gli uomini si convertissero e riconoscessero o tornassero a riconoscere la signoria di Cristo nella storia, che cosa potrebbe nascere se non una Cristianitá ? Di minoranza inizialmente, come diceva il card. Giacomo Biffi, ma se questa minoranza avesse la opportunità di crescere?
Si può avere una comprensibile preoccupazione a usare questa parola, ma nella cultura di una società, o prevale una “egemonia” o ne prevale un’altra. Certamente vi può essere una “società plurale”, cito sempre Scola, nella quale i cristiani porteranno il proprio contributo alla costruzione del bene comune, ma saranno anche consapevoli che altri, nella stessa società, avrebbero aspettative diverse, se non opposte.
Insomma, si può servire lealmente il bene comune, ma senza dimenticarsi che la cultura e le leggi di un popolo o vanno in una direzione o vanno verso altre prospettive.
La posta in gioco non è il potere, come giustamente dice Carrón, che può essere usato bene o male, ma l’eternità. La vita eterna di molti, che rischiano di perderla perché confusi da tante, troppe suggestioni errate. E la vita eterna potrebbe essere più facilmente raggiunta se fosse possibile vivere in un mondo migliore.
Marco Invernizzi