Massimo Introvigne, Cristianità n. 372 (2014)
Relazione di apertura al convegno nazionale di Alleanza Cattolica La buona politica. I cattolici, la famiglia e il futuro dell’Italia, svoltosi a Roma il 22-3-2014.
Si chiamava Eduardo De Falco (1975-2014), ma per gli amici eraSpeedy Pizza. Aveva ideato un sistema per sfornare pizzette molto rapidamente nella sua panetteria di Casalnuovo di Napoli. Si è suicidato, inalando i gas di scarico della sua auto, il 19 febbraio 2014. Lascia una moglie e tre figli: una ragazza di quattordici anni e due fratelli gemelli di cinque. Già prostrato dalle tasse, rischiava la chiusura del negozio. L’Ispettorato del Lavoro aveva trovato la moglie — che sembra andasse nella panetteria solo occasionalmente — intenta ad aiutarlo con le pizzette. Poiché la donna non aveva un contratto di lavoro, aveva comminato a Speedy Pizza una multa di duemila euro e ora minacciava di chiudere l’esercizio. Uno squilibrato vittima della depressione? Sembra di no. «Conoscevo Eduardo De Falco — dice il vicepresidente di Confcommercio Napoli, Gaetano Coppola, anche lui residente a Casalnuovo — era un gran lavoratore e faceva un prodotto ottimo. Era un uomo molto equilibrato. Se ha deciso di togliersi la vita è perché non reggeva più alle difficoltà economiche e la multa è stato l’ultimo colpo. La sua morte si aggiunge a quella di altre decine di commercianti che si sono suicidati per l’impossibilità di dialogare con il fisco, con gli enti locali, e con gli uffici che recapitano multe e cartelle esattoriale che richiederebbero almeno una rateizzazione, che spesso è impossibile chiedere» (1).
Un grande pittore, non particolarmente cattolico e che aderirà poi al Futurismo, Giacomo Balla (1871-1958), dipinge nel 1902 a Roma quello che è considerato il suo primo capolavoro, Fallimento. Un negozio che ha dovuto chiudere bottega, prostrato dalla crisi economica, graffiti di gesso sul portone ormai definitivamente chiuso, una strada stanca e senza speranza, perfino uno sputo che imbratta il gradino di pietra. È l’autoritratto di un’epoca di crisi. Ma sembra attualissimo perché oggi quella crisi ritorna. In Italia, dove tradizionalmente i suicidi sono meno numerosi che altrove, vi è un suicidio economico ogni due giorni e mezzo: l’aumento nel 2013 è del 75 per cento sul 2012. Il 45,6 per cento di questi suicidi è opera d’imprenditori; inoltre, nel 2013 rispetto al 2012 sono aumentati del 90 per cento i tentati suicidi per motivi economici (2).
Se, però, non si tratta di persone squilibrate e depresse — era questo, secondo il vicepresidente della Confcommercio di Napoli, il caso del povero Speedy Pizza —, vi è qualcosa che dev’essere spiegato. La povertà di per sé non spinge necessariamente a suicidarsi, anzi i Paesi del Terzo Mondo hanno tassi di suicidio molto più bassi dell’Europa.
Che cosa sta succedendo? Mi propongo di analizzare la crisi — che è insieme economica, politica e culturale — con l’aiuto del Magistero di Papa Francesco, utilizzando soprattutto l’esortazione apostolicaEvangelii gaudium (3), che propone elementi sia di diagnosi, sia di terapia.
«La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si impadroniscono del cuore di numerose persone» (n. 52). E questo a prescindere dalle loro condizioni economiche. «La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di rispetto e la violenza» (ibidem). Le stesse nuove tecnologie sono «fonte di nuove forme di un potere molto spesso anonimo» (ibidem), di cui molti diffidano. Domina la paura, che produce molte conseguenze sociali negative e fa aumentare anche i suicidi.
Vi è un generale impoverimento, che non riguarda solo i poveri ma la maggioranza della popolazione. «Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice» (n. 56). Il sociologo Luciano Gallino nel suo La lotta di classe dopo la lotta di classe (4), pure in un gergo marxista difficilmente sopportabile, descrive un fenomeno reale: la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi super-ricchi, insieme causa ed effetto della lunghissima crisi economica, e l’impoverimento del ceto medio che scivola nella povertà, nella proletarizzazione e nella disperazione.
Dal 15 novembre 2013 al 9 marzo 2014 molti hanno potuto ammirare a Milano, al Museo del Novecento, la mostra dedicata alla genesi de Il Quarto Stato, un quadro dipinto nel 1901 da Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) e diventato un’icona della protesta sociale italiana. Raffigura contadini e operai che avanzano, in lotta per i loro diritti. Quel Quarto Stato, nella sostanza il mondo del lavoro dipendente, grazie ai cattolici ben più che ai socialisti ha raggiunto nel secolo XX e nel XXI una condizione non certo ottimale, ma che regge meglio alla crisi rispetto a due altri gruppi.
Si tratta di quelli che il sociologo Aldo Bonomi chiama il popolo della«vita nuda» (5) e il popolo della «nuda vita» (6).
Il popolo della «vita nuda» è quello che rovista nei cassonetti, che conosce la povertà del corpo. Gli manca la casa, e qualche volta gli manca anche da mangiare. Oggi non è costituito solo da immigrati e da barboni, ma anche da ex piccolo-borghesi rovinati dalla crisi e dalle tasse. Il popolo della «nuda vita» è invece quello che altri sociologi prima di Bonomi avevano chiamato il Quinto Stato (7): giovani dotati di conoscenze e di know-how, figli della società dell’informatica e delle nuove professioni, ma ora disoccupati o — se sono lavoratori autonomi — proletarizzati inflessibilmente dalla pressione fiscale e contributiva, a tutto vantaggio dei super-ricchi.
A poco a poco il Quinto Stato, la «vita nuda», va a confluire nella«nuda vita»: il futuro è il cassonetto e, per chi rifiuta il cassonetto, il suicidio. In Italia mille imprese falliscono ogni giorno, centomila posti di lavoro si perdono ogni mese. La Confcommercio stima quattro milioni di poveri, altri pensano che siano il doppio — e parliamo di cittadini italiani, stranieri esclusi (8). Secondo l’ISTAT il tasso di disoccupazione italiano agli inizi del 2014 è del 12,9 per cento, aumentato di 1,4 punti rispetto al 2012, ma il tasso di disoccupazione giovanile, che è del 42,4 per cento, è uno dei più alti del mondo (9).
Quali sono le cause? Gli economisti parlano delle tre «D»: delocalizzazione-deficit-debito (10). La delocalizzazione sposta i posti di lavoro dove il lavoro costa meno. All’inizio funziona: nelle società occidentali si lavora di meno e si consumano di più prodotti che costano meno. Ma, mentre la Cina e altri Paesi «nuovi ricchi» producono senza consumare — il che non è senza problemi, per loro e per noi —, Nord America ed Europa consumano senza produrre e creano deficit. A partire dagli anni 1970 l’aumento dei consumi è finanziato dal deficit degli Stati occidentali, il quale diventa debito che incombe talora sulle famiglie e talora sugli Stati. In Italia il rapporto fra debito e prodotto interno lordo (PIL) è salito a fine 2013 al 133 per cento e il suo «servizio» costa agli italiani 85 miliardi di euro all’anno — con un trend che viaggia verso i cento miliardi (11) —, finanziati con un fisco da record mondiale e con una vessazione del contribuente che assume i caratteri di vera e propria persecuzione fiscale (12). «Il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto» (n. 56).
L’idea che la semplice crescita del PIL offra di per sé e automaticamente maggiore benessere a tutti è definita dalla Evangelii gaudium «grossolana e ingenua» (n. 54). Questa tesi di Papa Francesco è stata criticata. Se la s’intende come se fosse a sua volta una «legge», come fa l’economista antiglobalista statunitense Joseph Stiglitz, diventa ideologica. La crescita del PIL di per sé è una buona cosa. Ma se è perseguita facendo lavorare con salari da schiavitù una parte della popolazione perché pochi, o lo Stato, accumulino riserve — come in Cina —, o al contrario indebitandosi per «drogare» artificialmente i consumi, non giova al bene comune. Il problema non èse cresce il PIL ma come lo si fa crescere.
Al di là delle tre «D» — delocalizzazione, deficit e debito — emerge la quarta «D», che è insieme alle loro radici e all’origine profonda della crisi: la demografia(13). L’economista cattolico Ettore Gotti Tedeschi è stato talora criticato per l’eccessiva insistenza sulle questioni demografiche: ma, anche da un punto di vista sociologico, la sua lettura della crisi appare convincente. Così la riassume: «Senza aumento delle nascite il Pil — di fatto e senza retorica accademica — nel mondo cresce solo se si fanno crescere i consumi individuali. Per creare una cultura di consumismo si devono installare nella cervice umana concetti di soddisfazione materialistica al posto di quelli di soddisfazione intellettuale e spirituale. […] Si comincia a “mangiar” risparmio per arrivare progressivamente alla magia dell’indebitamento progressivo. In un sistema poi di welfare maturo la non crescita reale del Pil produce la crescita reale dei costi fissi (sanità, pensioni, ecc.) che viene coperta da sempre maggiori imposte, che riducono il potere di acquisto e gli investimenti. Per sostenere detto potere di acquisto necessario ai consumi si delocalizzano le produzioni in Paesi a basso costo. Ma questo, senza strategie alternative, crea vulnerabilità di produzione e occupazione… In pratica crea la situazione cui siamo arrivati» (14).
Si cerca di far crescere il PIL a ogni costo, e senza curarsi delle conseguenze a lungo termine, perché «[…] vi è una profonda crisi antropologica» (n. 55). «Dietro questo atteggiamento si nascondono il rifiuto dell’etica e il rifiuto di Dio. All’etica si guarda di solito con un certo disprezzo beffardo. […] La si avverte come una minaccia […]. In definitiva, l’etica rimanda a un Dio che attende una risposta impegnativa» (n. 57). Ma l’esperienza oggi dimostra che «un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano»(n. 58) non fa bene solo all’etica ma anche all’economia. Per non parlare della sicurezza pubblica, perché «[…] ogni azione ha delle conseguenze, un male annidato nelle strutture di una società contiene sempre un potenziale di dissoluzione e di morte» (n. 59).
Che fare, allora, di fronte alla crisi, alla depressione e ai suicidi? La dottrina sociale della Chiesa non propone soluzioni tecniche, ma offre dei princìpi generali. Dalla Evangelii gaudium, che pure di per sé «non è un documento sociale» (n. 184), possiamo ricavare però dieci princìpi — se vogliamo, dieci «comandamenti» — che, dipanandosi come un filo d’Arianna, possono aiutarci a uscire dal labirinto della crisi, apparentemente senza uscita. Nel mito di Arianna al centro del labirinto s’incontra il Minotauro, un essere mostruoso mezzo uomo e mezzo toro che si ciba di carne umana. Non basta allora avere un filo tecnicamente adeguato. Ci servono anche il coraggio e la spada per uccidere il Minotauro.
Primo: più realismo. Ci riempiamo troppo spesso la bocca di parole e di slogan che ci portano lontani dal reale e diventano utopie e ideologie. Anche la finanza talvolta diventa utopia e miraggio di facili guadagni promessi agli stolti. Lo abbiamo visto nella crisi finanziaria iniziata nel 2008, con i vari prodotti derivati e «bond spazzatura», una saga che talora ricorda l’operetta del 1893 di William Schwenck Gilbert (1836-1911) e Arthur Seymour Sullivan (1842-1900), Utopia, Limited, satira divertente ma a suo modo spietata dei rischi per i risparmiatori delle società a responsabilità limitata.
«La realtà è più importante dell’idea» (n. 231). «Esiste anche una tensione bipolare tra l’idea e la realtà. La realtà semplicemente è, l’idea si elabora. Tra le due si deve instaurare un dialogo costante, evitando che l’idea finisca per separarsi dalla realtà. È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine, del sofisma»(ibidem). L’idea è uno strumento fondamentale della nostra conoscenza, ma «[…] staccata dalla realtà origina idealismi e nominalismi inefficaci, che al massimo classificano o definiscono, ma non coinvolgono» (n. 232). «Bisogna passare dal nominalismo formale all’oggettività armoniosa. Diversamente si manipola la verità, così come si sostituisce la ginnastica con la cosmesi» (ibidem), e si finisce per «costruire sulla sabbia» (n. 233). Se invece si vuole costruire sulla roccia, è obbligatorio partire da un apprezzamento realistico di che cosa sta veramente succedendo.
Secondo: più solidarietà. Un primo aspetto di quanto sta succedendo è che molti sono poveri, e molti sono nuovi poveri passati dalla gestione di una piccola azienda o di un negozio al cassonetto. La società tende a considerarli dei perdenti, che vanno semplicemente scartati. «Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione, ma di qualcosa di nuovo: con l’esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l’appartenenza alla società in cui si vive, dal momento che in essa non si sta nei bassifondi, nella periferia, o senza potere, bensì si sta fuori. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”» (n. 53). È vero, «la bellezza stessa del Vangelo non sempre può essere adeguatamente manifestata da noi, ma c’è un segno che non deve mai mancare: l’opzione per gli ultimi, per quelli che la società scarta e getta via» (n. 195).
Attenzione, però. La nostra solidarietà non è credibile se non s’interessa anzitutto — senza trascurare altri «perdenti» — alle prime vittime della cultura dello scarto: i vecchi eliminati con l’eutanasia e i bambini uccisi con l’aborto. In un’omelia a Casa Santa Marta, il 18 novembre 2013, il Papa ha addirittura evocato i sacrifici umani: «Ma voi pensate che oggi non si facciano i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono» (15). Quando si parla di deboli e di ultimi dobbiamo sempre ricordare che «tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo» (n. 213). Spesso, «[…] per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano»(ibidem). La violazione del diritto alla vita «[…] grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo»(ibidem). E non si tratta di princìpi che valgono solo per i credenti, perché «la sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana» (ibidem).
Terzo: più sobrietà. Il sociologo dell’economia Luca Ricolfi nel suo libroL’enigma della crescita sostiene che, alla fine, la ragione per cui le società del benessere non crescono è lo stesso benessere, il quale induce a consumare più che a produrre, a parlare di diritti più che di doveri, a concentrarsi sul divertimento più che sul lavoro, ad amare il quieto vivere più del rischio imprenditoriale. «Il benessere — scrive Ricolfi — frena la crescita. La ragione fondamentale è che, man mano che diventano ricche, le società modificano radicalmente la propria cultura, come rettili che cambiano pelle. Una società in cui il tempo dell’intrattenimento supera quello del lavoro, la popolazione inattiva eccede quella attiva, i settori assistiti soffocano quelli che creano ricchezza, il bisogno di protezione prevale sulla volontà di rischiare, una società, insomma, in cui la cultura dei diritti ha preso definitivamente il sopravvento su quella dei doveri, è una società che ha cambiato pelle. Una simile società non può crescere, o non può crescere come un tempo, innanzitutto perché ha perso l’energia per farlo» (16).
Quello di Ricolfi è un brillante pamphlet, e come in tutta la letteratura di questo genere ogni affermazione dovrebbe essere analizzata e, se del caso, sfumata. Resta però vero che la cultura dei diritti senza doveri oggi tende a fiaccare le società e le economie. Il Papa non è meno severo di Ricolfi. Scrive che oggi «[…] tende a svilupparsi un nuovo paganesimo individualista» (n. 195). «A volte siamo duri di cuore e di mente, ci dimentichiamo, ci divertiamo, ci estasiamo con le immense possibilità di consumo e di distrazione che offre questa società. Così si produce una specie di alienazione che ci colpisce tutti»(n. 196). Già ai tempi dei Padri della Chiesa il cristianesimo sviluppò«una resistenza profetica, come alternativa culturale, di fronte all’individualismo edonista pagano» (n. 193). Karl Marx (1818-1883) invitava i proletari a spezzare le catene dell’oppressione economica — finì, come capita spesso in questi casi, per crearne di nuove e di più pesanti —, ma oggi le catene sono piuttosto psicologiche e culturali.«Mi interessa unicamente — afferma il Pontefice — fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra» (n. 208).
Quarto: più economia, il che significa più imprenditori che facciano davvero il loro mestiere. «La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita» (n. 203). Nella prefazione a un libro del prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gerhard Ludwig Müller, forse sorprendendo qualcuno, Papa Francesco propone un elogio del denaro. Il denaro è «uno strumento buono» (17), «[…] uno strumento che in qualche modo prolunga e accresce le capacità della libertà umana» (18). Il denaro ci toglie libertà solo se ce lo teniamo avidamente «fermo» anziché farlo fruttificare. «Quando il potere economico è uno strumento che produce tesori che si tengono solo per sé, nascondendoli agli altri, esso produce iniquità, perde la sua originaria valenza positiva» (19). Allora il denaro «[…] può ritorcersi contro l’uomo» (20), chiudendolo «in un orizzonte egocentrico ed egoistico» (21).
Lo stesso testo propone a suo modo un elogio del profitto, che ha un legame originario con la solidarietà. Se cerchiamo l’arte per l’arte — è un grande insegnamento di Papa Benedetto XVI (2005-2013) — di solito non facciamo arte. Se cerchiamo il profitto per il profitto, spesso non facciamo profitto. «Quando vive abitualmente nella solidarietà, l’uomo sa che ciò che nega ad altri e trattiene per sé, prima o poi, si ritorcerà contro di lui» (22). Esistono «un’originaria unità tra profitto e solidarietà» (23) e «una circolarità feconda fra guadagno e dono»(24).«Il peccato tende a spezzare e offuscare» (25) la percezione di questo legame. Ma il legame esiste. Quando i beni «[…] sono utilizzati non solo per i pro pri bisogni […] diffondendosi si moltiplicano e portano spesso un frutto inatteso» (26).
Dobbiamo «riscoprire, vivere e annunciare a tutti questa preziosa e originaria unità fra profitto e solidarietà» (27). È un altro insegnamento centrale di Papa Benedetto XVI, più volte ripetuto (28): non volete introdurre più morale nell’economia in nome della morale? Introducetela in nome dell’economia. Scoprirete che, prestando più attenzione alla morale, spesso i beni «[…] si moltiplicano», il profitto aumenta, l’economia cresce.
Quinto: più politica. Non vuol dire più Stato, o più tasse. Vuol dire più applicazione seria di regole che la politica detta ai poteri forti dell’economia e delle banche e non viceversa. Si situa qui l’esigenza di«una riforma finanziaria che non ignori l’etica» (n. 58). «La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune» (n. 205). Naturalmente, una buona politica — una politica capace di farsi rispettare dai poteri forti — richiede buoni politici.
Qualche settimana fa un uomo politico di qualche rilievo ha spiegato a un amico che cos’è per lui la politica: l’arte, gli ha detto, di fare incontrare una sedia e un sedere. E, poiché questo politico ha — in senso metaforico, s’intende — un grosso sedere, cioè una grossa ambizione, ha affermato di aver bisogno anche di una grossa sedia. Continuando la sua lezione, ha spiegato che il politico accorto s’iscrive a partiti dove ci sono molte sedie e pochi sederi, evitando invece accuratamente quelli dove ci sono molti sederi e poche sedie. Non dev’essere questa la politica come forma preziosa di carità che ha in mente il Pontefice… Ma nel contesto attuale — e forse in tutti i contesti — resistere alle deformazioni della politica e alle tentazioni non è facile senza l’aiuto di Dio… Ma nel contesto attuale — e forse in tutti i contesti — resistere alle deformazioni della politica e alle tentazioni non è facile senza l’aiuto di Dio. «E perché — aggiunge infatti Papa Francesco — non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale» (ibidem).
Di qui dunque il passaggio al sesto «comandamento»: più religione. Un principio che deve ispirare anche il nostro atteggiamento nei confronti di chi è povero di beni materiali. Il Papa deve «[…] affermare con dolore che la peggior discriminazione di cui soffrono i poveri è la mancanza di attenzione spirituale» (n. 200). Anche nella Chiesa troppo spesso ci si preoccupa solo delle loro necessità materiali, ma si trascurano quelle spirituali. I poveri «hanno bisogno di Dio e non possiamo tralasciare di offrire loro la sua amicizia, la sua benedizione, la sua Parola, la celebrazione dei Sacramenti e la proposta di un cammino di crescita e di maturazione nella fede» (ibidem). Chi porta al povero cibo e coperte, ma non il Vangelo, lo deruba e nega il suo primo diritto, quello all’evangelizzazione.
Più religione significa anche più libertà religiosa. Papa Francesco lo ha detto molte volte: non si possono più tollerare gli «[…] autentici attacchi alla libertà religiosa [e le] nuove situazioni di persecuzione dei cristiani, le quali, in alcuni Paesi, hanno raggiunto livelli allarmanti di odio e di violenza» (n. 61). Commemorando il protomartire santo Stefano, ha affermato che i cristiani martiri e perseguitati «[…]purtroppo, sono più numerosi oggi che nei primi tempi della Chiesa. Ce ne sono tanti! Questo accade specialmente là dove la libertà religiosa non è ancora garantita o non è pienamente realizzata. Accade però anche in Paesi e ambienti che sulla carta tutelano la libertà e i diritti umani, ma dove di fatto i credenti, e specialmente i cristiani, incontrano limitazioni e discriminazioni» (29). E nell’omelia a Casa Santa Marta del 28 novembre 2013 il Pontefice ha paragonato il nostro tempo a quello del profeta Daniele: un tempo in cui chi crede in Dio è«[…] condannato soltanto per adorazione, per adorare Dio. E la desolazione della abominazione si chiama divieto di adorazione» (30).
Settimo: più morale. Vi è oggi «una diffusa indifferenza relativista, connessa con la disillusione e la crisi delle ideologie» (n. 61). Ma il relativismo, e peggio la «dittatura del relativismo» (31) — espressione che sulla scia di Benedetto XVI anche Papa Francesco ha usato nel suo primo incontro con il corpo diplomatico, del 22 marzo 2013 — fanno male anche alla società, alla politica e all’economia. Il relativismo non danneggia solo la religione «[…] ma la vita sociale in genere. Riconosciamo che una cultura, in cui ciascuno vuole essere portatore di una propria verità soggettiva, rende difficile che i cittadini desiderino partecipare ad un progetto comune che vada oltre gli interessi e i desideri personali» (n. 61). In Occidente «la negazione di ogni trascendenza, ha prodotto una crescente deformazione etica, un indebolimento del senso del peccato personale e sociale e un progressivo aumento del relativismo, che danno luogo ad un disorientamento generalizzato» (n. 64). «Mentre la Chiesa insiste sull’esistenza di norme morali oggettive, valide per tutti» (ibidem), il relativismo «[…] finisce per portarci ad una tremenda superficialità al momento di impostare le questioni morali» (ibidem).
Nel suo Messaggio per la Quaresima 2014 Papa Francesco nota che esistono una triplice povertà nonché una triplice «miseria», che è la forma più grave di povertà: materiale, morale e spirituale. La miseria materiale è certamente grave. Ma «non meno preoccupante è lamiseria morale, che consiste nel diventare schiavi del vizio e del peccato. Quante famiglie sono nell’angoscia perché qualcuno dei membri — spesso giovane — è soggiogato dall’alcol, dalla droga, dal gioco, dalla pornografia! Quante persone hanno smarrito il senso della vita, sono prive di prospettive sul futuro e hanno perso la speranza!»(32). Queste situazioni di «suicidio incipiente» (33), spesso «anche causa di rovina economica» (34), si collegano «[…] sempre allamiseria spirituale, che ci colpisce quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo il suo amore. Se riteniamo di non aver bisogno di Dio, che in Cristo ci tende la mano, perché pensiamo di bastare a noi stessi, ci incamminiamo su una via di fallimento. Dio è l’unico che veramente salva e libera» (35). E la miseria spirituale colpisce anche i ricchi. Come rispondere? «Il Vangelo è il vero antidoto contro la miseria spirituale: il cristiano è chiamato a portare in ogni ambiente l’annuncio liberante che esiste il perdono del male commesso, che Dio è più grande del nostro peccato e ci ama gratuitamente, sempre, e che siamo fatti per la comunione e per la vita eterna» (36).
Ottavo: più radici. Si può vivere nella globalizzazione, ma «[…] senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio» (n. 235). Vale per la geopolitica internazionale come per i problemi italiani. Le nazioni che vivono la globalizzazione come sradicamento dalla propria identità e spaesamento dalle proprie tradizioni muoiono: una lezione per la vecchia Europa che, nonostante tutto, merita ancora di essere difesa. Oggi tutti sono connessi con tutti, ma proprio per questo debbono vigilare per mantenere la propria identità e non sprofondare nella dittatura dell’omologazione universale. «Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità» (n. 236).
Nono: più speranza. «Il tempo è superiore allo spazio» (n. 222): è un tema che la Evangelii gaudium riprende dall’enciclica Lumen fidei. Nell’enciclica il Pontefice aveva esclamato: «Non facciamoci rubare la speranza, non permettiamo che sia vanificata con soluzioni e proposte immediate che ci bloccano nel cammino, che “frammentano” il tempo, trasformandolo in spazio. Il tempo è sempre superiore allo spazio. Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza» (37). Dire che il tempo è superiore allo spazio significa invitare a «[…] lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati» (n. 222) e soprattutto senza che i vari poteri forti ci costringano a credere che un certo esito di ogni dibattito sociale è già precostituito e inevitabile, trasformandoci in«[…] generali di eserciti sconfitti piuttosto che semplici soldati di uno squadrone che continua a combattere» (n. 96). Come già nella Lumen fidei, il Papa cita a proposito di questa visione del tempo, utile anche per impostare bene l’evangelizzazione, un pensiero che ricava dal teologo tedesco di origine italiana Romano Guardini (1885-1968). Il cristiano sa che il nemico, Satana, può talora sembrare trionfante ma alla fine non è mai destinato a vincere: «[…] può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo» (n. 225).
Decimo: più famiglia. «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari» (n. 67). Se la demografia, e per altro verso la solitudine, stanno alle radici della crisi, allora la famiglia è la prima risposta alla crisi. Ma «la famiglia oggi è disprezzata, è maltrattata» (38). Dire sì alla famiglia — il che implica dire no a chi disprezza e maltratta la famiglia — è dunque la conclusione e insieme l’inizio di tutto, l’ultimo, ma per importanza il primo, «comandamento» della dottrina sociale oggi (39).
Tutto questo c’entra molto con la grande mobilitazione di popolo che in Italia con i comitati Sì alla famiglia, le Sentinelle in Piedi e altre iniziative sta portando nelle piazze e nelle sale ogni giorno, ogni sera, decine di migliaia di persone, che difendono la famiglia e rifiutano il cammino che secondo qualcuno dalla legge contro l’omofobia dovrebbe portare inesorabilmente al «matrimonio» e alle adozioni omosessuali. C’entra molto con tutte le dimensioni della crisi, economia compresa. Se si diffondono più modelli alternativi di famiglia, diminuisce il numero di famiglie. Se si diffondono più modelli alternativi di matrimonio, la confusione sociale sull’idea stessa del matrimonio fa diminuire i matrimoni. Si cita in contrario uno studio del 2013 di Alexis Dinno e Chelsea Whitney (40), due ricercatori dell’Università di Portland, nell’Oregon, secondo cui negli Stati degli Stati Uniti che hanno introdotto il «matrimonio omosessuale» i matrimoni fra un uomo e una donna non sono diminuiti. Il testo è stato pubblicato su Plos One, che non è, come si vuole far credere in Italia, una rivista prestigiosa ma un giornale online che afferma di sfidare le convenzioni accademiche pubblicando quello che le riviste universitarie rifiutano e intanto funziona come un vanity journal, cioè si fa pagare dagli autori degli articoli. Comunque, se si legge bene lo studio i cui autori sono anch’essi attivisti militanti in favore del «matrimonio» fra persone dello stesso sesso, si scopre che gli stessi ricercatori considerano il «matrimonio» omosessuale d’introduzione troppo recente perché le serie statistiche che hanno raccolto possano essere significative. Ovviamente, il danno non si produce nel minuto esatto in cui uno Stato introduce il «matrimonio» omosessuale. I matrimoni diminuiscono a causa di un clima culturale di cui le leggi sono solo una delle componenti.
Meno matrimoni significa meno figli. Quando espongo questa tesi in pubbliche conferenze, trovo quasi sempre qualche cortese oppositore che si alza e, con un sorrisetto ironico, mi fa notare che una donna non sposata è altrettanto capace di fare figli di una donna sposata. Di norma ringrazio l’interlocutore per la straordinaria rivelazione — senza di lui, gli dico, non ci sarei mai arrivato — ma gli spiego anche che sto parlando d’altro. Non mi sto occupando di ginecologia, su cui non ho alcuna competenza, ma di sociologia.
Un ginecologo ci dirà che le donne non sposate hanno la stessa possibilità biologica di fecondità delle donne sposate. Ma il sociologo ci rivelerà che le donne non sposate hanno un tasso di fecondità più basso. Lo dicono i numeri e non vi è ideologia che riesca a cambiarli. Anche qui, si oppongono studi secondo cui in Paesi — fra cui la Svezia e la Norvegia — dove sono aumentate le coabitazioni e diminuiti i matrimoni il tasso di natalità non è diminuito in modo significativo. Queste statistiche non ci dicono però nulla sul tasso di fertilità delle singole donne, sposate e non sposate, e cozzano contro gli studi molto dettagliati sugli Stati Uniti dello U.S. Census Bureau, da cui emerge con chiarezza come le donne sposate siano più feconde (41). Estraendo e componendo i dati dal censimento americano del 2008 emerge come la percentuale di donne senza neppure un figlio era del 77,2 per cento fra le donne non sposate e del 18,8 per cento fra le donne sposate. Il numero medio di figli per ogni gruppo di mille donne sposate era di 1.784, per ogni gruppo di mille donne non sposate di 439. Le nascite medie all’anno su mille donne sposate erano 83,6, su mille donne non sposate della stessa età 41,5 (42). E il dato statistico non è poi così sorprendente. Fare un figlio non è un semplice fatto biologico. Senza prospettive di stabilità e sicurezza per allevarlo ed educarlo è più difficile che una donna decida oggi d’intraprendere quest’avventura ed eventualmente resista alle sirene dell’aborto.
I dati confermano dunque le parole del cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, all’Assemblea Generale dei Vescovi italiani del 20 maggio 2013: «La famiglia non può essere umiliata e indebolita da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un vulnus progressivo alla sua specifica identità»(43). Tali «rappresentazioni similari» indeboliscono e, come dice il cardinale Bagnasco, «umiliano» la famiglia, creando un clima dove ci saranno meno famiglie, meno matrimoni, meno figli, meno produttori, meno consumatori, dunque più debito, più deficit, più crisi, più impoverimento, più disperazione.
Alleanza Cattolica — mentre quasi tutti tacevano — per prima è scesa in campo con un manifesto pubblicato su cinque quotidiani italiani nel giugno 2013, denunciando l’itinerario che si andava preparando, dalla legge liberticida contro l’omofobia al riconoscimento giuridico delle unioni fra persone dello stesso sesso, poi, in prospettiva, del «matrimonio» e delle adozioni omosessuali (44). Senza arroganza, riconoscendo i molti contributi di altri e anzi auspicando che si moltiplichino, ci permettiamo però di ricordare che senza il manifesto di Alleanza Cattolica, e senza altre iniziative che non abbiamo promosso né alimentiamo da soli ma dove il nostro contributo è stato e rimane decisivo, la legge sull’omofobia sarebbe stata approvata in silenzio e di notte, e la «gioiosa macchina da guerra» che nelle intenzioni di qualcuno doveva portare anche in Italia il «matrimonio» omosessuale non si sarebbe inceppata, com’è invece avvenuto.
Certo, la macchina — pure inceppata — continua la sua corsa, sostenuta da tanti poteri forti che possono dispiegare una potenza di propaganda e di denaro immensa. Non possiamo e non dobbiamo farci illusioni sul futuro. Oggi vogliamo però guardare non solo a tanto male che ci circonda e ci minaccia, ma anche a tanto bene che fa Alleanza Cattolica a molte persone, ai risultati — straordinari considerando quanto limitate sono le nostre risorse — che abbiamo conseguito e che talora per una modestia, pure inizialmente lodevole, trascuriamo di far conoscere anche agli amici — e questo è sbagliato —, all’orgoglio e alla gioia di vivere la più bella avventura del mondo, sotto le bandiere di Cristo Re e di Maria Regina: un’avventura che va sostenuta nella buona e nella cattiva sorte, va fatta conoscere e va diffusa, come afferma Papa Francesco, «non per proselitismo ma per attrazione» (n. 16), va difesa quando è attaccata, va amata sempre. Questa è la buona politica, questo è il programma politico che Alleanza Cattolica propone e declina nelle circostanze concrete ogni giorno, mentre altri s’illudono di fare politica immiserendosi nelle chiacchiere prive di realismo, nelle beghe infinite di persone e di poltrone, nelle fantasie di chi pensa di poter parlare di dottrina sociale della Chiesa in astratto senza ascoltare, seguire e diffondere il Magistero vivente, quello di oggi e di Papa Francesco, il che non significa certamente buttare via il Magistero precedente né dimenticare la «continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso» (45). È il tempo della prudenza, del lavoro e della generosità. Ma è soprattutto il tempo della preghiera.
Massimo Introvigne
Note:
(1) Commerciante suicida, doveva pagare una multa entro pochi giorni. Confcommercio accusa: ucciso dall’ansia del fisco, in la Repubblica, Roma 20-2-2014.
(2) Cfr. Effetto crisi: impennata di suicidi nel 2013, la metà erano imprenditori, in Il Sole-24 ore, Milano 15-2-2014.
(3) Cfr. Francesco, Esortazione apostolica «Evangelii gaudium» ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, alle persone consacrate e ai fedeli laici, sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, del 24-11-2013. Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a questo documento. Per un inquadramento generale cfr. il mio L’esortazione apostolica «Evangelii gaudium». «La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore», in Cristianità, anno XLII, n. 371, gennaio-marzo 2014, pp. 1-30.
(4) Cfr. Luciano Gallino, La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, Roma-Bari 2012.
(5) Cfr. Aldo Bonomi, Vita nuda e nuda vita. Due categorie per l’analisi della nuova composizione sociale, in Lelio Demichelis e Giovanni Leghissa (a cura di), Biopolitiche del lavoro, Mimesis, Milano-Udine 2008, pp. 39-56.
(6) Ibidem.
(7) Cfr. Carlo Formenti, Utopie letali. Contro l’ideologia postmoderna, Jaca Book, Milano 2013; Giuseppe Allegri e Roberto Ceccarelli, Il Quinto Stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro. Precari autonomi e freelance per una nuova società, Ponte alle Grazie, Firenze 2013.
(8) Cfr. A. Bonomi, Il capitalismo in-finito. Indagine sui territori della crisi, Einaudi, Torino 2013, p. 7.
(9) Cfr. Roberto Bagnoli, Giovani senza lavoro, livello record. Nella crisi perso un milione di posti, in Corriere della Sera, Milano 1-3-2014.
(10) Cfr. Maurizio Milano, Crescita a debito, tramonto di un paradigma, in La nuova Bussola quotidiana, 19-2-2014, di cui riassumo le osservazioni nel paragrafo che segue.
(11) Cfr. Vito Lops, Come sarà l’Italia nel 2015? Pagherà gli stessi interessi sul debito pubblico (100 miliardi) del turbolento 1992, in Il Sole 24 Ore, Milano 4-4-2013.
(12) Parlare di persecuzione fiscale non è esagerato. «Il livello complessivo del prelievo, infatti, già accresciuto dall’IRAP e ultimamente incrementato dall’imposta sul patrimonio immobiliare (IMU), ha raggiunto, e in certi casi superato, il limite della fiscalitàconfiscatoria, che si ha quando il tasso impositivo globale è talmente elevato da costringere il contribuente, non bastandovi il reddito disponibile, a mutilare il proprio patrimonio per soddisfare l’obbligazione tributaria» (Ferdinando Leotta, Giusta imposta: pagare meno, pagare tutti, in La nuova Bussola quotidiana, 19-12-2013).
(13) Cfr. M. Milano, L’inverno demografico, la vera causa della crisi, inLa nuova Bussola quotidiana, 24-2-2014.
(14) Ettore Gotti Tedeschi, La meravigliosa lezione di Papa Francesco sulla crescita basata sulla famiglia, in Formiche (edizione online), del 18-10-2013, consultabile all’indirizzo Internet <http://www.formiche.net/2013/10/18/papa-francescoettore-gotti-tedeschi-economista/> (gl’indirizzi Internet dell’intero articolo sono stati consultati il 28-4-2014).
(15) La fedeltà a Dio non si negozia, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano 19-11-2013. Cfr. Contro il «Padrone del mondo». Papa Francesco da Benson a Chesterton, in Cristianità, n. 371, cit., pp. 31-34.
(16) Luca Ricolfi, Se il benessere uccide la crescita, in La Stampa, Torino 25-2-2014. L’articolo presenta e riassume l’opera dello stesso autore L’enigma della crescita, Mondadori, Milano 2014, di cui si veda in particolare il capitolo XV (pp. 155-163) sulla «deriva signorile»(ibid., p. 155).
(17) Francesco, Prefazione a Gerhard Ludwig Müller, Povera per i poveri. La missione della Chiesa, trad. it., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2014, pp. 5-12 (p. 6).
(18) Ibidem.
(19) Ibidem.
(20) Ibidem.
(21) Ibidem.
(22) Ibid., p. 7.
(23) Ibid., p. 8.
(24) Ibidem.
(25) Ibidem.
(26) Ibidem.
(27) Ibidem.
(28) Cfr. sul punto Massimo Introvigne e Pier Marco Ferraresi, Il Papa e Joe l’idraulico. La crisi economica e l’enciclica Caritas in veritate, Fede & Cultura, Verona 2009.
(29) Francesco, Angelus, del 26-12-2013, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano, 27/28-12-2013.
(30) La fede non è mai un fatto privato, 28-11-2013, ibid. 29-11-2013.
(31) Francesco, Discorso durante l’udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, del 22-3-2013, ibid. 23-3-2013.
(32) Idem, Messaggio per la Quaresima 2014 «Si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9)», del 26-12-2013.
(33) Ibidem.
(34) Ibidem.
(35) Ibidem.
(36) Ibidem.
(37) Idem, Lettera enciclica «Lumen fidei» sulla fede, del 29-6-2013, n. 52. Per un inquadramento cfr. il mio «Lumen fidei»: senza la verità la fede è solo una «bella fiaba», in Cristianità, anno XLI, n. 369, luglio-settembre 2013, pp. 1-7.
(38) Francesco, Apertura del Concistoro straordinario, del 20-2-2014, in L’Osservatore Romano. Giornale quotidiano politico religioso, Città del Vaticano, 21-2-2014.
(39) Cfr. il mio Sì alla famiglia. Manifesto per un’istituzione in pericolo, Sugarco, Milano 2014.
(40) Alexis Dinno e Chelsea Whitney, Same Sex Marriage and the Perceived Assault on Opposite Sex Marriage, in Plos One, dell’11-6-2013, all’indirizzo Internet <http://www.plosone.org/article/info%3Adoi%2F10.1371%2Fjournal. pone.0065730>.
(41) Per i dati più recenti cfr. Lindsay M. Monte e Renée Ellis,Relationship Status at First Birth for Women age 15-50 in the United States, United States Census Bureau, Washington D.C. 2013. Da questi dati emerge anche che, fra le donne che hanno avuto un figlio pur non essendo sposate, è molto più rara la nascita di un secondo figlio rispetto a quelle che hanno avuto il primo figlio all’interno del matrimonio.
(42) Cfr. U.S. Census Bureau, Current Population Survey, June 2008, United States Census Bureau, Washington D.C. 2010, tavola 2_08 (All Races).
(43) Card. Angelo Bagnasco, «La Chiesa è una storia d’amore», inAvvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica, Milano 21-5-2013.
(44) Un paradossale riconoscimento dell’importanza del Manifesto è venuto nel gennaio 2014 dal Servizio LGBT del Comune di Torino. Nelle sue Schede didattiche scuole secondarie di secondo grado propone infatti agli studenti il Manifesto di Alleanza Cattolica come il nemico per eccellenza, assegnando come compito il tentativo di confutarlo (scheda D4, sito del Comune di Torino, all’indirizzo Internet <http://www.comune.torino.it/politichedigenere/bm~doc/d4-diritti-delle-coppie.pdf>). Il 26 marzo 2014, in seguito alle proteste di alcuni consiglieri comunali, le schede erano state rimosse dal sito del Comune, dove sono però riapparse il 28 marzo, sia pure con qualche modifica.
(45) Benedetto XVI, Discorso ai Cardinali, agli Arcivescovi, ai Vescovi e ai Prelati della Curia Romana per la presentazione degli auguri natalizi, del 22-12-2005, in Insegnamenti di Benedetto XVI, vol. I, 2005. (Aprile-Dicembre), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2006, pp. 1018-1032 [p. 1024].