Silvia Scaranari, Cristianità n. 376 (2015)
Rodney Stark, ordinario di Sociologia della Religione presso la Baylor University di Waco, in Texas, è da molti considerato il maggiore sociologo delle religioni vivente. Ha compiuto ottant’anni nel 2014, ma ama continuare a sostenere, come fa da molti anni, che il suo libro più importante sarà il prossimo. Lo abbiamo intervistato sul futuro della religione e ha voluto parlarci — in un’assoluta anteprima mondiale — del suo prossimo, ambizioso volume sullo stato di salute globale delle religioni.
Qualche anno fa molti pensavano che la secolarizzazione, almeno in Occidente, avrebbe ridotto la religione a un fenomeno marginale. Lei è stato uno dei maggiori critici delle teorie della secolarizzazione, che in effetti per alcuni anni sono sembrate in declino. Oggi si ritorna a parlare di chiese vuote e di declino globale della religione. Come vede il futuro?
Penso che il titolo del mio libro che sarà pubblicato nell’autunno 2015,Il risveglio religioso globale. Il trionfo della fede sulla secolarizzazione, risponda in modo completo. Per questa ricerca la Gallup ha condotto più di un milione d’interviste in 163 Paesi, che nel loro insieme coprono il 98 per cento della popolazione mondiale. Questa, che è probabilmente la più massiccia inchiesta sociologica sulla religione mai realizzata, ci dice che mai nella storia le religioni istituzionali hanno contato nelle loro fila una così alta percentuale della popolazione mondiale. L’81 per cento degli abitanti della Terra si considera parte di una religione e molti di quelli che non si dichiarano tali hanno qualche forma di religiosità o partecipano a qualche attività religiosa. In America Latina non vi è solo il fenomeno della crescita dei pentecostali protestanti. Anche i cattolici vanno a Messa più di prima. In certi Paesi latino-americani dichiara di frequentare settimanalmente una chiesa — cattolica o protestante — il 60 per cento della popolazione. Nell’Africa subsahariana vi sono oggi più cristiani che in ogni altra regione della Terra, anche se presto questo primato passerà alla Cina. Nel frattempo, benché cresca meno rapidamente del cristianesimo, l’islam ha visto il grado d’impegno religioso dei suoi fedeli crescere fino a livelli mai sperimentati nella sua storia e lo stesso è vero per l’induismo. Fra le grandi religioni mondiali ve n’è solo una che non cresce, il buddhismo. E in ogni piccola nicchia lasciata vuota dalle grandi religioni si sistemano nuove religioni e pratiche mistiche o occulte. In Russia vi sono più guaritori che fondano le loro pratiche su credenze esoteriche che dottori, il 38 per cento dei francesi crede nell’astrologia, il 35 per cento degli svizzeri crede che alcuni maghi e lettori di tarocchi possano davvero prevedere il futuro e quasi tutti in Giappone si fanno benedire la loro automobile nuova da un prete scintoista. Il risultato finale della mia indagine è che il 74 per cento della popolazione mondiale considera la religione una parte importante della sua vita e che gli atei ci sono, ma sono pochi: nella grande maggioranza dei Paesi sono meno del 5 per cento e solo in tre Paesi sono più del 20 per cento — Cina, Vietnam e Corea del Sud, considerando che in Corea del Nord le indagini sociologiche sono vietate.
Un’altra sua ricerca in corso, di cui ha presentato i primi risultati al convegno del 2014 del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni, tenutosi nella sua università a Waco, riguarda la Cina. Qual è il futuro del cristianesimo in questo immenso Paese, che sta tanto a cuore anche al Papa?
Dal 1950, nonostante decenni di repressione davvero sanguinosa, il cristianesimo in Cina è cresciuto a un tasso medio del 7 per cento annuo. Se la crescita continuasse così fino al 2020, in quell’anno ci sarebbero 150 milioni di cristiani in Cina e 300 milioni nel 2030. Naturalmente le previsioni sui tassi di crescita sono sempre incerte, ma parliamo di numeri molto significativi. Vale anche la pena di notare che sono i cinesi con il più alto livello di educazione che hanno più probabilità di convertirsi al cristianesimo.
A noi che viviamo in Italia, e più genericamente in Europa, sembra difficile credere a questa previsione. Possiamo parlare di «eccezione europea»? La religione ha un brillante futuro altrove mentre in Europa è destinata ad un declino inarrestabile?
Chi ha letto qualche mio libro conosce la mia tesi secondo cui si deve partire dal fatto che le percentuali altissime di persone che andavano a Messa in Europa in secoli passati esistono solo nella fantasia di certi storici. Questo vale anche per il Medioevo: ho studiato le dimensioni delle chiese, quante persone potevano contenere e il fatto che il 90 per cento degli abitanti dell’Europa viveva in aree rurali dove la Messa domenicale non era neppure assicurata. Anche agli albori dell’era moderna, nonostante la razionalizzazione del sistema delle chiese e del clero, non dobbiamo immaginare che i fedeli accorressero numerosi. Perché questo succede solo quando vi è concorrenza fra diverse religioni o, all’interno della stessa religione, fra diverse proposte. Questo è sempre successo negli Stati Uniti e oggi succede in America Latina, nell’Africa subsahariana e in Cina. Quanto ai Paesi islamici, non vi è molta concorrenza con le altre religioni ma piuttosto un’intensa concorrenza fra diverse moschee, spesso non solo nelle città ma anche nei villaggi, un dato di cui molti studiosi europei non si rendono conto. Per quanto riguarda l’Europa, il futuro della religione non è così cupo, grazie a un elemento spesso trascurato: le persone religiose fanno molti figli e quelli che non vanno in chiesa ne fanno molto pochi. Questo significa che nel giro di qualche decennio la percentuale di persone religiose crescerà per mere ragioni demografiche. Infine, dobbiamo precisare che gli europei non sono atei o irreligiosi, semplicemente vanno in chiesa meno degli abitanti di tutti gli altri continenti. Ma continuano a dichiarare di credere in qualcosa, fosse pure solo un vago misticismo. Si dichiara ateo solo il 6,6 per cento degli europei occidentali e il 4,4 per cento di quelli orientali.
I tassi di crescita del cristianesimo in Africa e in Asia negli ultimi decenni sono stati altissimi. Continueranno?
Certamente non ho mai pensato che la crescita di una religione sia un fenomeno lineare e continuo. Mi aspetto che la crescita del cristianesimo rallenti nell’Africa subsahariana, dove ha probabilmente già convertito molte delle persone suscettibili di conversione. Credo invece che la crescita continuerà in Asia, specie nei Paesi economicamente più sviluppati.
Diverse ricerche, antiche e recenti, ci parlano di un massiccio esodo di cattolici verso varie forme di protestantesimo nell’America Centrale e Meridionale e in Messico. Davvero l’America Latina sta diventando protestante?
Non è così. Perché dopo anni di tentativi sbagliati di rispondere all’avanzata protestante con la teologia della liberazione di stampo marxista, che è stata un totale fallimento quanto alla capacità di trattenere o attirare fedeli nella Chiesa Cattolica, le gerarchie cattoliche hanno capito che occorreva dare spazio ai movimenti, prima visti con sospetto, e in particolare — ma non è il solo — al Rinnovamento nello Spirito, che ha avuto un successo straordinario. Alcune statistiche qui possono ingannare. Il numero di latino-americani che si dichiarano cattolici è diminuito, è vero, ma il numero di latino-americani che vanno alla Messa cattolica ogni settimana è cresciuto. Penso che il dato importante sia un altro. Il numero di latino-americani che non solo si dicono cristiani ma sono in contatto regolare con una comunità, cattolica o protestante, è cresciuto in modo spettacolare. Il doppio risveglio — protestante e poi anche cattolico — ha trasformato un continente che ormai era di cattolici solo di nome in un continente cristiano di fatto.