Giovanni Cantoni, Cristianità n. 77 (1981)
I termini di «ricomposizione» e di «rinnovamento» continuano a caratterizzare il dibattito nel mondo cattolico italiano, in previsione di incontri di un certo rilievo – tra i quali la tanto «chiacchierata» Assemblea nazionale della Democrazia Cristiana -, che si terranno prima della fine di quest’anno. La nozione di cristianità, cioè di civiltà cristiana, assediata dal liberal-socialismo e dal social-comunismo, presupposto indispensabile per comprendere i termini reali di una vera «ricomposizione dell’area» cattolica. Le puntuali indicazioni dell’insegnamento di Giovanni Paolo II su questo delicato e importante problema.
Indicazioni dottrinali e spunti critici
A proposito di «ricomposizione» e di «rinnovamento»
Nel futuro immediato e prossimo l’area cattolica – come è venuto in uso di chiamare il mondo cattolico, con versione geografica di quanto un tempo si indicava con riferimento più umano e più storico, così come si è sostituito «paese» a «nazione» – sarà attenta allo svolgimento di incontri, di diverso impegno e valore, ufficialmente tesi a fare progredire la sua «ricomposizione» e a promuovere, e quindi a realizzare, il «rinnovamento» della sua rappresentanza politica.
Di entrambi i temi – variamente focalizzati – si parla ormai da anni, e con sempre maggiore insistenza, sì che pare opportuno contribuire a una loro corretta definizione, per quindi indicare orientamenti fondati, miranti alla possibile soluzione dei problemi che sono a essi soggiacenti.
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La nozione di «ricomposizione dell’area cattolica», e il problema che definisce, è di gran lunga più comprensiva e più profonda di quanto indicato come «rinnovamento» della rappresentanza politica del mondo cattolico. Tale nozione, infatti, fa riferimento ad aspetti socio-culturali – e, quindi, anche religiosi, trattandosi di area «cattolica» – della nazione italiana, e immediatamente evoca un processo di «decomposizione» di tale area o mondo cattolico, fino a rimandare a un certo orizzonte della memoria storica in cui mondo cattolico italiano e nazione italiana sono termini storicamente fungibili.
Stando così le cose, ogni e qualsiasi prospettiva che tenti una descrizione del problema corrente e in esame, e un approccio a esso, senza partire dalla cristianità italiana – così mi pare corretto indicare la fungibilità tra mondo cattolico italiano e nazione italiana, e la loro storica coincidenza – si vota inevitabilmente all’insuccesso, in quanto procede a tale descrizione e opera tale approccio con strumenti inadeguati, che, riducendo il problema attraverso una sua insufficiente espressione, rendono riduttiva, inevitabilmente, anche la sua ipotizzata soluzione.
Inoltre, tale eventuale prospettiva riduttiva non può rendere conto della origine storica del pluralismo ideologico – così come del centralismo statuale -, sì che è tentata di assumerlo come un dato naturale, alla stregua del pluralismo sociale, che, invece, si fonda sulle diverse qualità degli uomini. E tale eventuale assunzione come categoria del pluralismo ideologico – che altro non è che la assolutizzazione e la dogmatizzazione di un fatto, di un errore storico – introduce un elemento oggettivamente corruttore nella ipotetica soluzione del problema. Infatti, senza arrivare al momento della cristianità, cioè senza risalire a essa prima come fatto e poi come principio, si rischia di assumere il pluralismo ideologico, che è già causa e segno della «decomposizione» della cristianità stessa, non come un fatto di cui tenere conto e un errore cui porre rimedio, ma, piuttosto, come un dato da rispettare e sul quale costruire. Sì che, in ultima analisi, l’errore storico – il pluralismo ideologico – diventa natura da rispettare, e la natura – il pluralismo sociale e politico – errore storico da correggere e da eliminare!
Al contrario, partendo dalla cristianità italiana e dalla sua decomposizione, si possono porre basi adeguate alla sua ricomposizione totale, cioè non solo come parte, come area della nazione italiana, ma, almeno in tesi, come mondo coesteso a tutta la nazione stessa.
In questa prospettiva il problema della «ricomposizione dell’area cattolica» si rivela essere semplicemente quello della restaurazione cattolica della nazione italiana, indicato con un nome tratto da un vocabolario se non mutilo certo svigorito. E tale problema trova la sua collocazione – e quindi la sua possibile soluzione – all’interno di un quadro di straordinaria ampiezza, di cui costituisce semplicemente la parte contemporanea in via di esecuzione, cioè il quadro della lotta tra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione, dello scontro tra le «due città» di agostiniana memoria (1).
I termini evocati spingono alla impostazione di un quesito ulteriore: la «ricomposizione dell’area cattolica» e il suo corollario politico, cioè il «rinnovamento» della rappresentanza politica del mondo cattolico, sono una «restaurazione cattolica della nazione italiana» dìminutae rationis per limitatezza connaturata dei suoi operatori, oppure per malizia, tesa a produrre la ennesima illusione per condurre alla ennesima delusione? Per quanto riguarda tutto ciò che è risposta ufficiale al problema, si è pressoché costretti a giudicare valida l’ipotesi della malizia di pochi, che sposa la inadeguatezza dei più; quindi, a non farsi illusioni, per non patire delusioni!
Fatto salvo questo ultimo proposito, mi pare non inutile offrire a quanti saranno in qualche modo protagonisti minori o almeno spettatori di assemblee e di incontri, qualche termine di riferimento inequivoco.
In tema di «ricomposizione dell’area cattolica», il regnante Pontefice ne ha dettato il criterio fondamentale, cioè «l’ossequio, dovuto da tutti fedeli, al Magistero autentico della Chiesa, anche a riguardo delle questioni connesse con la dottrina concernente la fede ed i costumi» (2). E tale «magistero autentico del romano pontefice, anche quando non parla “ex cathedra” […] sia con riverenza riconosciuto, e con sincerità si aderisca alle sentenze che egli esprime, secondo che fa conoscere la sua intenzione e la sua volontà, che si palesano specialmente sia dalla natura dei documenti, sia dal frequente riproporre la stessa dottrina, sia dal tenore della espressione verbale» (3). Mi pare meriti attenzione tutta particolare quel «frequente riproporre la stessa dottrina», che definisce chiaramente il Magistero autentico come equipollente al Magistero che si può dire costante o tradizionale, e che evita la ipotesi del procedimento corrente secondo il quale «Papa scaccia Papa»!
Per quanto riguarda il «rinnovamento» della rappresentanza politica del mondo cattolico, si può ricavare il criterio di giudizio sempre da affermazioni puntuali del Santo Padre Giovanni Paolo II, che ammonisce: «[…] per pesare le proprie decisioni politiche, ogni cristiano dovrà prendere in considerazione non solo gli imperativi inviolabili della morale fondamentale, di cui ogni uomo ed ogni autorità pubblica dovrebbe tener conto, ma anche un certo numero di obiettivi che sono parte integrante del Vangelo o ad esso coerenti» (4).
Che altro sono, infatti, «gli imperativi inviolabili della morale fondamentale», se non i «comandamenti del Decalogo, cioè le esigenze fondamentali di ogni morale umana» (5)?
E che altro rappresentano gli «obiettivi che sono parte integrante del Vangelo o ad esso coerenti», se non quel «corpo di princìpi di morale sociale cristiana, conosciuti oggi come Dottrina Sociale della Chiesa», che «non si limita ad offrire princìpi di riflessione, orientamenti, direttive, constatazioni o richiami, ma presenta anche norme di giudizio e direttive per l’azione»; che «si compone di elementi duraturi e supremi», sì che gli «elementi contingenti che ne permettono l’evoluzione e lo sviluppo in sintonia con le urgenze dei problemi impellenti» non ne diminuiscono «la stabilità e la certezza nei princìpi e nelle forme fondamentali»; che è «parte integrante della concezione cristiana della vita» (6)?
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Ecco dunque segnalati – a grandissime linee, ma in termini radicalmente alternativi al vaniloquio che parla di «valori» e di «ispirazioni» indefinite – i criteri con cui giudicare il processo di «ricomposizione dell’area cattolica» e di «rinnovamento» della sua rappresentanza politica, e con cui in esso eventualmente intervenire, ai più diversi livelli, in Italia, cioè in «un Paese essenzialmente cattolico nel suo strato profondo, ma che, alla superficie, ha dovuto far fronte agli attacchi, i quali, dagli opposti fronti del laicismo e del materialismo […] hanno inferto danni gravi alla vita spirituale della Nazione» (7 ), e che paiono avviarsi al parossismo.
Giovanni Cantoni
Note:
(1) Cfr., in generale, PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3ª ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977; e, in particolare, i miei L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo al volume citato, e La «lezione italiana», Cristianità, Piacenza 1980, pp. 5-17.
(2) GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, del 23-1-1979, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. II, 1, p. 100.
(3) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, n. 25.
(4) GIOVANNI PAOLO II, Discorso al Gruppo di Spiritualità delle Assemblee Parlamentari francesi, del 4-3-1981, in L’Osservatore Romano, 5-3-1981.
(5) IDEM, Discorso durante la veglia con i giovani al Parc des Princes, dell’1-6-1980, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 1622.
(6) IDEM, Discorso all’udienza generale, del 13-5-1981, in L’Osservatore Romano, 15-5-1981.
(7) IDEM, Discorso alla XVII Assemblea Generale dei Vescovi Italiani, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. III, 1, p. 1505.