Per molte settimane la Chiesa italiana ha chiesto ai fedeli di rinunciare a quanto vi è di più prezioso per un cristiano, ossia la partecipazione alla Santa Messa, il rinnovo del sacrificio di Cristo. Lo ha fatto addirittura in occasione della festa più importante dell’anno liturgico, la Pasqua che segna la Resurrezione di Cristo. Lo ha fatto per salvaguardare un bene prezioso, la salute dei cittadini italiani minacciata dalla diffusione di un virus che secondo gli esperti si diffonde soprattutto attraverso il contatto personale.
Questo senso di responsabilità, che molti hanno perfino giudicato eccessivamente prono alle decisioni del governo, è stato ripagato da quest’ultimo trattando la Chiesa italiana come il meno importante fra gli esercizi commerciali. “Si riparta gradualmente”, questo il senso del provvedimento contenente le indicazioni per la cosiddetta fase due presentato dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in Tv la sera di domenica 26 aprile, “per quanto riguarda le celebrazioni religiose si deve aspettare perché sono troppe le criticità rilevate dal Comitato tecnico scientifico”.
Così, con queste dichiarazioni, l’equilibrio fra diritto alla salute e diritto alla libertà religiosa e di culto si è rotto. E I vescovi hanno denunciato questa frattura.
Purtroppo il governo italiano ha dimostrato in questo frangente di considerare la Messa come uno sfizio del cittadino un po’ fragile dal punto di vista psicologico, che una volta alla settimana o anche quotidianamente ha bisogno di cercare un conforto spirituale. Ma così non è. E allora bisognerà riprendere la trattativa ricordando la centralità del culto nella vita pubblica di una nazione.
Roma, 27 Aprile 2020