
Non esistono conflitti lontani quando Dio si fa pane per noi
di Michele Brambilla
Introducendo l’Angelus del 22 giugno, Papa Leone XIV evidenzia che «oggi, in molti Paesi, si celebra la Solennità del Corpo e del Sangue di Cristo, il Corpus Domini, e il Vangelo racconta il miracolo dei pani e dei pesci (cfr Lc 9,11-17)». Gli Apostoli mettono a disposizione di Gesù il poco cibo che hanno portato con loro e il Signore ordina di sfamare con esso la grande folla radunatasi. «Il risultato è sorprendente: non solo ciascuno riceve cibo a sufficienza, ma ne avanza in abbondanza (cfr Lc 9,17)», sottolinea il Papa. «Il miracolo, al di là del prodigio, è un “segno”, e ci ricorda che i doni di Dio, anche i più piccoli», crescono soprattutto quando li mettiamo a disposizione degli altri.
«Noi però, leggendo tutto questo nel giorno del Corpus Domini, riflettiamo su una realtà ancora più profonda. Sappiamo infatti che, alla radice di ogni condivisione umana ce n’è una più grande, che la precede: quella di Dio nei nostri confronti. Lui, il Creatore, che ci ha dato la vita, per salvarci ha chiesto a una sua creatura di essergli madre, di dargli un corpo fragile, limitato, mortale, come il nostro», ma nell’Ultima Cena ha scelto addirittura di trasformarsi in un alimento comune, perfettamente assimilabile dall’organismo umano, per aprirci alla vita di Grazia e, quindi, all’eternità.
«Pensiamo a come è bello, quando facciamo un regalo – magari piccolo, proporzionato alle nostre possibilità – vedere che è apprezzato da chi lo riceve; come siamo contenti quando sentiamo che, pur nella sua semplicità, quel dono ci unisce ancora di più a quelli che amiamo. Ebbene, nell’Eucaristia, tra noi e Dio, avviene proprio questo: il Signore accoglie, santifica e benedice il pane e il vino che noi mettiamo sull’Altare, assieme all’offerta della nostra vita, e li trasforma nel Corpo e nel Sangue di Cristo, Sacrificio d’amore per la salvezza del mondo», rimarca il Pontefice. Nell’Eucaristia «Dio si unisce a noi accogliendo con gioia ciò che portiamo e ci invita ad unirci a Lui ricevendo e condividendo con altrettanta gioia il suo dono d’amore».
Se Dio ci unisce a Sé, nulla dei nostri fratelli uomini ci è estraneo. Da qui il forte impegno di Leone XIV per la pace, ribadito anche il 22 giugno osservando che «si susseguono notizie allarmanti dal Medio Oriente, soprattutto dall’Iran. In questo scenario drammatico, che include Israele e Palestina, rischia di» far dimenticare «la sofferenza quotidiana della popolazione, specialmente a Gaza e negli altri territori, dove l’urgenza di un adeguato sostegno umanitario si fa sempre più pressante. Oggi più che mai, l’umanità grida e invoca la pace. È un grido che chiede responsabilità e ragione, e non dev’essere soffocato dal fragore delle armi e da parole retoriche che incitano al conflitto».
«Ogni membro della comunità internazionale ha una responsabilità morale: fermare la tragedia della guerra, prima che essa diventi una voragine irreparabile. Non esistono conflitti “lontani” quando la dignità umana è in gioco», perché essa non può essere violata in alcun modo, specialmente se ci si riconosce fratelli attorno alla stessa Mensa eucaristica.
Il Papa insiste sul fatto che «la guerra non risolve i problemi, anzi li amplifica e produce ferite profonde nella storia dei popoli, che impiegano generazioni per rimarginarsi. Nessuna vittoria armata potrà compensare il dolore delle madri, la paura dei bambini, il futuro rubato». Allora, in occasione del Giubileo dei governanti e degli amministratori (tanti i parlamentari e i sindaci con fascia tricolore presenti in piazza S. Pietro), «che la diplomazia faccia tacere le armi! Che le Nazioni traccino il loro futuro con opere di pace, non con la violenza e conflitti sanguinosi».
Lunedì, 23 giugno 202