Come si è evoluta nel tempo la raffigurazione del patrono di Milano
di Michele Brambilla
Come è noto, la prima rappresentazione di sant’Ambrogio (340-397) è di poco posteriore alla sua morte. Si tratta del celeberrimo ritratto che fu inserito nel V secolo tra i mosaici del sacello di S. Vittore in Ciel d’oro, proprio accanto alla basilica di S. Ambrogio a Milano. Il patrono della città è ritratto in piedi, con la sua fisionomia reale (barba e capelli scuri, occhi grandi, volto leggermente asimmetrico) e con i panni che vestivano i vescovi paleocristiani: una semplice tunica bianca, bordata di azzurro, ricoperta da un mantello di lana scura.
Nei secoli dell’Alto Medioevo era ancora viva la memoria della predicazione del santo, una pietra miliare della Patristica occidentale. Un tondo in stucco del X secolo, conservato al Museo Diocesano di Milano, lo raffigura proprio mettendo in evidenza i suoi scritti. L’unico attributo, a parte il pallio episcopale, che pende sopra una casula dorata, è un volume con il suo nome. Il volto è disegnato avendo come modello i mosaici di S. Vittore in Ciel d’oro.
Giusto cento anni dopo il tondo, nell’XI secolo, iniziò in Lombardia la lotta contro il catarismo. Le raffigurazioni di sant’Ambrogio cominciarono, allora, a mettere in evidenza il ruolo giocato contro l’arianesimo e si inserì tra gli attributi del santo lo staffile, un frustino per animali che simboleggiava proprio la sua combattività. Questa iconografia raggiunse il massimo sviluppo con il sopraggiungere della Riforma cattolica, fino alla versione energica di Giovanni Ambrogio Figino (1553-1608), in cui il santo carica a cavallo gli ariani con un impeto che sembra travolgere lo stesso spettatore. L’opera originale, del 1590, è conservata al Castello Sforzesco, ma una copia domina ancora oggi la sala consiliare del Comune di Milano.
Nel 1590 era morto da pochi anni san Carlo Borromeo (1538-84), il compatrono. Egli aveva dovuto affrontare più volte le resistenze della nobiltà e dell’alto clero milanese alle riforme tridentine, che abolivano anche molte intromissioni dei laici nelle questioni di Chiesa. Le tensioni di quell’epoca, destinate ad acuirsi nei secoli dell’Assolutismo e del giurisdizionalismo laicista, sono quasi tastabili nel Sant’Ambrogio ferma Teodosio di Camillo Procaccini (1561-1629). Il vescovo, con un gesto molto deciso della mano, allontana l’imperatore, che protesta con veemenza puntando il dito contro Ambrogio.
Carlo Francesco Nuvolone (1609-62), ispirandosi all’immagine preparata dal Cerano (1573-1632) nel 1610 per la canonizzazione di san Carlo Borromeo, nel 1650 preparò un’immagine di sant’Ambrogio che conservava tutti gli attributi tradizionali, ma ne sottolineava maggiormente gli aspetti mistici e pastorali. Lo sguardo del santo è infatti alzato verso il cielo. Anche il braccio destro è alzato, ma per esprimere l’incanto della visione celeste. Lo staffile c’è, ma è sovrastato dagli attributi tipicamente episcopali: croce astile e pastorale a ricciolo.
Questa immagine ispirò il frontespizio dell’edizione del Messale Ambrosiano pubblicata nel 1750, in cui vediamo Ambrogio assiso in Paradiso, ma non la si ricalcò pedissequamente. A riprendersi infatti il primo piano tra gli attributi del santo è il libro, che Ambrogio sfoglia guardando il cielo. Esso, come detto, richiama direttamente l’aspetto dottrinale dell’insegnamento ambrosiano, ma nel Settecento lo fa in una luce nuova. Siamo infatti nell’epoca dell’Illuminismo trionfante, ovvero agli albori del mondo ideologico. L’uomo moderno rifiuta l’autorità, specialmente se si presenta in maniera impositiva, ma riconosce ancora i testimoni, specialmente chi si china con pazienza e dolcezza sulle sue ferite interiori e le sa illuminare con un’esposizione chiara, pacata, ma profondamente sentita della Verità. Il volto del santo è quello di un uomo che ha raggiunto la pienezza e sa ancora meravigliarsi per l’amore che Dio ha nei suoi confronti.
Sabato, 6 dicembre 2025





