Gabriele Fontana, Cristianità n. 425 (2024)
1. Alcune necessarie premesse
1.1 L’agricoltura non è «natura»
L’attività agricola consiste in una profonda azione dell’intelletto e del lavoro umano sul dato naturale, inteso come situazione ove l’influenza dell’uomo è minima o nulla. La necessità di raccogliere in uno spazio definito — «coltivare» — una specie vegetale e di controllare direttamente la vita di specie animali — per semplicità qui consideriamo insieme l’agricoltura e l’allevamento — ha modificato radicalmente le caratteristiche delle specie selvatiche originali, mediante l’attività di selezione che ne ha progressivamente esaltato le caratteristiche più utili. Di conseguenza, la maggior parte di quanto coltivato o allevato oggi non ha di fatto possibilità di sopravvivenza in ambiente naturale senza la gestione umana.
Come risultato del lavoro di millenni, l’attività umana, anche in termini di «paesaggio», ha modificato profondamente gli ambienti naturali, in proporzione all’intensità dell’attività agricola, forestale e di allevamento ivi applicata. Si pensi, per esempio, alla bonifica delle zone paludose operate dai monaci nei secoli del cosiddetto Medioevo.
1.2 L’agricoltura e (è) il progresso
L’agricoltura risponde alle necessità vitali fondamentali dell’umanità, tanto da essere definita «settore primario». La produzione di cibo, di fibre tessili e di combustibili ha storicamente consentito all’umanità, in prima istanza, di sopravvivere. Nel quadro del progresso sociale e tecnologico delle diverse società storiche l’agricoltura ha gradualmente cessato di essere un’attività di pura sussistenza e ha via via permesso a parte della popolazione di occuparsi di altre attività.
Questo processo si è enormemente accelerato nel secolo XX grazie all’introduzione di innovazioni tecnologiche basate su conoscenze scientifiche sempre più estese.
Esistono testimonianze sulla pratica agronomica della romanità, ma l’innovazione tecnologica medioevale ha certamente avuto rilevante influenza nello sviluppo dell’attività agricola del mondo occidentale, cambiata profondamente con l’introduzione di nuove specie vegetali grazie alle scoperte geografiche dell’età successiva. A partire dal secolo XVIII conoscono una crescente e significativa diffusione nella coltivazione e nell’alimentazione mais, pomodoro, patata, riso, tutti curiosamente pilastri dell’italianità gastronomica, ma di fatto «specie esotiche» innovative, nella coltivazione e nell’alimentazione.
Sebbene, sempre nel secolo XVIII, le scienze agronomiche siano andate affinandosi — con un significativo contributo italiano —, e nonostante la prima Rivoluzione industriale abbia sottratto una parte della popolazione alla vita rurale e, nello stesso tempo, cominciato a fornire mezzi tecnici più avanzati all’agricoltura, almeno fino all’inizio del Novecento l’attività agricola ha coinvolto la maggioranza della popolazione. In Italia, nell’ambito di più complessi mutamenti demografici, ivi compresi il rilevante flusso migratorio postunitario e le migrazioni interne, la popolazione dedita all’agricoltura è passata, dall’unificazione alla fine del secolo XX, dal 70 al 5 per cento (1).
Nel secolo XX, grazie alla meccanizzazione, sostituta del lavoro umano e animale, e grazie alla chimica, che ha reso disponibili concimi e mezzi di difesa da malattie e parassiti, così come grazie al contributo significativo della genetica vegetale, l’agricoltura ha conseguito ulteriori e crescenti progressi. A livello globale e di fronte a una sostanziale stabilità delle superfici agricole, le produzioni sono state così in grado di sostenere il quadruplicarsi della popolazione mondiale nel corso di un secolo, e ciò è stato accompagnato anche dalla riduzione della popolazione sottonutrita negli ultimi decenni (2).
1.3 L’agricoltura in Italia
Il settore agricolo in Italia è minoritario in termini di contributo economico, rappresentando circa il 2 per cento del valore aggiunto e il 5 per cento dell’occupazione (dati relativi ad agricoltura, selvicoltura, pesca in aggregato) (3).
Se prendiamo come riferimento il 1964, siamo passati da 20,4 milioni di ettari coltivati ai 12,5 milioni attuali, mentre la superficie boschiva è passata da 6 a 11 milioni di ettari. I fattori principali della diminuzione dei coltivi sono l’abbandono delle aree più marginali e lo spopolamento delle zone più remote del territorio, nonché la sottrazione di superfici causate dall’urbanizzazione, dalle infrastrutture e da altre opere non agricole.
L’agricoltura italiana si presenta oggi come un’attività produttiva molto variegata, in cui rivestono un ruolo rilevante le colture specializzate di valore, e dove sono state conseguite numerose posizioni di primato a livello europeo. Essa risulta fortemente integrata con le produzioni zootecniche e le attività delle industrie alimentari (4).
Le dimensioni medie delle aziende sono andate crescendo negli ultimi anni, pur mostrando una frammentazione superiore ad altri sistemi agricoli. In un quadro generale di complessità e diversificazione, possiamo dire che nell’agricoltura italiana coesistano aziende di dimensioni medio-grandi di impronta imprenditoriale — anche a conduzione familiare — con altre di dimensioni più piccole, non necessariamente, ma frequentemente marginali. Queste ultime sono spesso caratterizzate da una fruizione dei loro prodotti da parte di nicchie di mercato a elevato livello di tipicità, integrate con forme di ristorazione e ospitalità e con compiti di presidio in realtà ambientali di valore. Data la differenza di ruolo, ma con una importanza, comunque, da considerare singolarmente per la funzione svolta, questa diversificazione merita la dovuta valorizzazione.
2. La Politica Agricola Comune (PAC) e il suo ruolo
Il settore agricolo nell’Unione Europea è fortemente sussidiato. Ciò contrasta con la politica generale dell’Unione a sostegno della libera concorrenza, ma trova giustificazione nella difficoltà del settore a competere a livello globale e nel suo ruolo strategico come garanzia di sicurezza e di autonomia alimentare dei popoli europei. La PAC nasce nel 1962 con gli scopi dichiarati di aumentare la produttività dell’agricoltura, di assicurare un tenore di vita equo agli agricoltori, di garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, di stabilizzare i mercati, di creare una catena di rifornimento alimentare a prezzi ragionevoli, infine di armonizzare le regole di concorrenza in tutti i Paesi. Si trattava di una politica inizialmente orientata al sostegno dei prezzi e del mercato dei prodotti, che poi, anche a fronte di distorsioni, si è orientata gradualmente a interventi di sostegno delle strutture produttive, con attenzione agli aspetti ambientali (5). Il peso dei sussidi agricoli è andato decrescendo negli anni, ma resta una voce rilevante nel budget dell’Unione, pari a circa il 31 per cento del totale (6).
Inoltre, come orientamento strategico generale, nell’ambito dell’European Green Deal (7), consistente in una serie di proposte tese a contrastare il cambiamento climatico e il degrado ambientale, la Commissione Europea nel 2020 ha declinato una di queste proposte in provvedimenti verso il comparto agricolo, proposta denominata Farm to Fork Strategy (8). In un quadro fortemente ideologizzato in chiave ambientalistica e con un accostamento di tipo dirigistico, tale proposta prevede l’estensione dell’«agricoltura biologica», la riduzione dell’uso di prodotti antiparassitari e di fertilizzanti chimici e altre misure concorrenti (9). Come logica conseguenza, l’attuazione di questa strategia non può che condizionare negativamente la produzione comunitaria (10) ed esternalizzare il rifornimento alimentare (11). Si tratta inoltre di una politica che fatica a tenere conto delle diverse caratteristiche produttive dell’agricoltura nei diversi Paesi dell’Unione (12).
3. La protesta degli agricoltori
A cominciare dalla Germania, lo scorso 8 gennaio il mondo agricolo europeo si è mobilitato, dando vita a una forma di protesta, attuata di regola in forme civili, per quanto ingombranti e rumorose, mettendo in moto i trattori per percorrere strade e occupare luoghi nevralgici del Paese. L’occasione scatenante, per gli agricoltori tedeschi, è stata il taglio dei sussidi al gasolio agricolo. La protesta era stata in qualche modo anticipata, nel marzo 2023, dal successo elettorale in Olanda del Movimento Civico Contadino (Boer Burger Beweging; BBB), nato nel 2019 e attivo contro le politiche ambientalistiche del governo locale, intese a ridurre gli allevamenti intensivi, colonna dell’economia rurale olandese.
La protesta, replicando le modalità tedesche, si è rapidamente estesa nel mese di gennaio di quest’anno in Polonia, Belgio, Spagna, Romania, Francia, Lituania, Grecia, Portogallo, Paesi Bassi e Italia, ma echi di proteste analoghe sono giunte anche dalla lontana India.
Le motivazioni sono assortite in modo diverso e con differente priorità nei vari Paesi, ma in generale hanno fatto riferimento prioritariamente alla compressione del divario fra costi e ricavi, dovuta al minore sostegno proveniente dagli incentivi, alla pressione fiscale, al potere di condizionamento dell’industria e della grande distribuzione — quest’ultima spinge verso il basso i prezzi d’acquisto —, all’aumento dei prezzi dei mezzi tecnici, all’effetto concomitante dell’inflazione e alla concorrenza di importazioni a prezzi bassi. Si tratta di una situazione che colpisce soprattutto le imprese di minori dimensioni, quelle che oggi maggiormente animano la protesta. Altri aspetti ampiamente e fortemente condivisi sono il rigetto, in quanto ritenute utopiche, delle politiche ambientalistiche dell’Unione — che vorrebbe condizionare l’uso di alcuni mezzi tecnici, concimi chimici e antiparassitari in primo luogo, secondo quanto previsto da Farm to Fork — e il rifiuto dell’imposizione a non coltivare parte della superficie aziendale prevista dalla PAC nella cosiddetta «condizionalità» ambientale, il cui rispetto consente di accedere ai contributi comunitari. Ovviamente anche queste misure ambientali sono viste come una minaccia per il reddito, dato che costituiscono un costo per le aziende, senza contare che aggiungono peso a un carico burocratico già gravoso. Il risultato finale è una sotto-remunerazione dell’attività imprenditoriale e del lavoro agricolo: le stime indicano che il reddito agricolo medio nel 2022 corrisponde a circa il 65 per cento di quello medio del lavoratore dipendente (13).
Dagli slogan che accompagnano la protesta emerge anche il desiderio di una diversa considerazione sociale dell’attività agricola, stante il fatto che per gli agricoltori l’occupazione non è solo semplice lavoro, ma il cuore di un’identità. Lo ricorda anche il comunicato con il quale il comitato dei vescovi europei ha commentato le proteste (14).
In Italia si è aggiunta la contestazione verso la cosiddetta «carne sintetica» e il consumo alimentare di insetti, aspetti sostanzialmente di nessun rilievo attuale — e forse nemmeno futuro — in termini di competizione con le produzioni agricole, ma «cavalcati» con enfasi da più parti. Non è mancato, fra gli argomenti più emozionali che reali, il richiamo alla difesa del «made in Italy».
Sia per quanto riguarda gli aspetti prettamente economici, sia per la crescente pressione ambientalistica, accompagnata dalla colpevolizzazione della categoria, la protesta è il risultato di una tensione crescente negli anni, rispetto alla quale la marcia dei trattori è una sorta di sfogo liberatorio.
4. I protagonisti della protesta
Il movimento di protesta ha avuto chiaramente caratteristiche di spontaneità, come dimostra il fatto che si è organizzato in diversi comitati autonomi, collegati via social, per altro divisi fra loro su alcuni aspetti significativi non tanto in termini di contenuti quanto nelle modalità di confronto e nei rapporti con le autorità.
Il fronte della protesta, leggendo le cronache delle manifestazioni, ha visto le posizioni più radicali rappresentate dalla sigla «C.R.A. (Comitati Riuniti Agricoli) Agricoltori Traditi», seguita, pur con rispettive sfumature, da altre denominazioni e sigle, come «Altragricoltura», «Maf», «Popolo produttivo», «Aspal», in qualche modo rispecchianti anche origini politiche diverse. Più «dialogante», anche se con frange scettiche sull’esito degli incontri con le autorità politiche, è apparsa la sigla «Riscatto agricolo» (15).
Va notato che le organizzazioni sindacali agricole rappresentative del settore (Coldiretti, Confagricoltura, CIA-Confederazione Italiana Agricoltori, Copagri-Confederazione Produttori Agricoli) non sono state coinvolte dai manifestanti, anzi, qualche volta sono state contestate, per quanto anch’esse abbiano da tempo fatto stato dei motivi di disagio della categoria nelle sedi istituzionali. Di fatto, in questo momento e rispetto alla protesta in atto, è parzialmente venuto meno il ruolo di intermediazione e di rappresentanza, proprio della loro ragione sociale.
In Italia, analoghi fenomeni spontanei si manifestarono nel 1997 a fronte della richiesta di pagamento di multe per gli allevatori che avevano superato intenzionalmente le quote di produzione del latte imposte a livello comunitario, certamente coinvolgendo un settore agricolo più limitato e in contrasto con chi nella categoria aveva rispettato le norme (16). Un altro precedente con simili modalità di protesta può essere rinvenuto nel «movimento dei forconi», sorto nel dicembre del 2013 e rapidamente esauritosi (17).
5. Gli esiti della protesta
A livello nazionale è ormai acquisito il rinnovo della proroga degli sgravi dell’IRPEF — l’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche — per le fasce di reddito più basse, ma di fatto la leva fiscale è il solo strumento di un qualche rilievo in possesso del governo e di possibile immediata attuazione. Non appare, invece, di facile soluzione il problema degli accresciuti costi di produzione, che non trovano riscontro nei prezzi di vendita delle derrate, stante anche la probabile scarsa efficacia di interventi dirigistici come l’imposizione di prezzi nei rapporti di filiera.
A livello europeo un successo notevole è rappresentato dal ritiro del regolamento sull’uso sostenibile degli agrofarmaci, pilastro del Farm to Fork, grazie anche a una intensa attività parlamentare, precedente alla protesta, che ha visto protagonisti parte del Partito Popolare Europeo, dividendo la stessa maggioranza, e l’opposizione di destra. A coronamento dell’esito è giunta la dichiarazione della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che ha giustificato la mossa sostenendo che la proposta si sia dimostrata causa di «polarizzazione» — forse la versione laica del «divisivo» clericale? Il disagio era già evidente da ben prima della protesta, tanto che nel settembre del 2023, con il discorso sullo stato dell’Unione, la stessa aveva lanciato il Dialogo strategico sul futuro dell’agricoltura — il primo incontro si è tenuto il 25 gennaio scorso (18) —, dopo che gli indirizzi strategici e i progetti normativi precedenti erano stati condizionati dall’accostamento ideologico della Commissione, che aveva ignorato sostanzialmente la consultazione delle parti produttive del settore. L’esito di questo indirizzo dipenderà dalle elezioni europee del 2024, ma intanto non sembra del tutto uscito dalle intenzioni «ideologiche» di chi rappresenta l’attuale maggioranza (19).
Un ulteriore successo, per quanto certamente parziale visti i vincoli comunque mantenuti in essere, riguarda il ritiro dell’obbligo a destina-zione non produttiva del 4 per cento della superficie aziendale coltivata (20).
6. In conclusione
La protesta dei «trattori», ma anche il più diffuso disagio del mondo agricolo, ha il carattere spontaneo del «ritorno al reale» da parte di una categoria sociale certamente in difficoltà. Tutto ciò a causa di un complesso quadro economico e di debolezze strutturali del settore, fortemente sovvenzionato per garantirne la sopravvivenza nel quadro della competizione globalizzata e per assicurare, almeno in parte, l’autonomia di approvvigionamento alimentare dell’Unione, che per altro rimane comunque fortemente dipendente dalle importazioni di derrate agricole fondamentali. Le motivazioni di fondo della protesta trovano riscontro in situazioni economiche contingenti, in specie la difficoltà di ricavare un reddito congruo dall’attività agricola, e in ragioni di natura fiscale, senza trascurare il radicale rigetto dell’indirizzo «verde» insito negli indirizzi strategici della Unione Europea e della PAC. Peraltro, un disagio più esteso per le politiche ambientalistiche dell’Unione si manifesta anche in relazione ad altri progetti legislativi in ambiti diversi, come l’adeguamento degli immobili agli standard di isolamento termico, la sostituzione del riciclo degli imballaggi con il riuso, la messa a regime del flusso dei corsi d’acqua, il «ripristino della natura», ricompresi nella strategia Green Deal.
Merita considerazione un recente commento del politologo Giovanni Orsina, che afferma: «“Non dimentichiamo l’ovvio”, scrive Pascal Chabot nel suo saggio di cronosofia Avere tempo: “non si può piantare un chiodo su Internet”. “Ci sono ora due umanità”, continua il filosofo belga, “quella che preme pulsanti, che ticchetta tutto il giorno, e quella per la quale questi segmenti significanti diventano ordini per fare, muovere, toccare, incollare, assemblare, sollevare, trasportare, guidare, ordinare, piantare, innaffiare, raccogliere, sanguinare, squartare, tagliare. Il buon vecchio mondo, dove esiste il sudore, dove il colpo della strega minaccia più del sovrappeso: il mondo della materia, senza il quale le meraviglie della tastiera non potrebbero sopravvivere a lungo”. Sono anni che ci interroghiamo sulle radici del cosiddetto populismo e che andiamo chiedendo risposte all’economia, alla geografia, alla cultura. La risposta — o per lo meno una risposta — forse va cercata proprio in questa citazione di Chabot: l’umanità che sta tutto il giorno davanti alla tastiera e abita sistemi globali e astratti, tende a votare per i partiti dell’establishment; quella che solleva e squarta in contesti locali e concreti, per i partiti della protesta».
E ancora: «Nessuno vive nella materia più di un agricoltore. Non può sorprenderci, allora, il veemente moto di protesta che sta attraversando oggi in Europa il mondo rurale: in Germania, ad esempio, in Olanda, Francia, Polonia, Romania. E naturalmente in Italia. Sono movimenti frammentati, decentralizzati, generati da un insieme eterogeneo di insoddisfazioni e rivendicazioni: pesa l’inflazione, che accresce i costi di produzione e restringe i mercati; pesa la concorrenza extraeuropea, a partire da quella ucraina; pesa l’eccesso di burocrazia; pesano i vincoli ambientali. Sono anche movimenti che in teoria potrebbero assumere colorazioni politiche differenti, di destra sovranista ma pure di sinistra no global, e che non hanno quindi un approdo politico naturale o privilegiato» (21).
Note:
1) Cfr. Accademia dei Georgofili, Storia dell’agricoltura italiana, 3 voll. in 5 tomi, Edizioni Polistampa, Firenze 2002, vol. III, L’età contemporanea, tomo 1, Dalle «rivoluzioni agronomiche» alle trasformazioni del Novecento, a cura di Reginaldo Cianferoni, Zeffiro Ciuffoletti e Leonardo Rombai.
2) Cfr. FAO, Land use statistics and indicators statistics. Global, regional and country trends. 1990-2019, FAOSTAT, Analytical Brief Series, n. 28, FAO, Roma 2021; e FAO, IFAD, UNICEF, WFP e WHO, The State of Food Security and Nutrition in the World 2023. Urbanization, agrifood systems transformation and healthy diets across the rural-urban continuum, FAO, Roma, 2023.
3) Per i dati statistici citati, cfr. in generale CREA. Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, L’agricoltura italiana conta. 2023, CREA, Roma 2023. Per le serie storiche, cfr. ISTAT. Istituto Nazionale di Statistica, L’Italia in 150 anni. Sommario di statistiche storiche. 1861-2010, ISTAT, Roma 2011, capitolo 13, Agricoltura, zootecnia e pesca.
4) Cfr. Fondazione Edison e Fondazione Argentina Altobelli, Il settore agroalimentare italiano, Tipografia Arminio, Latina 2022.
5) Cfr. Consiglio Europeo, Politica agricola comune, nel sito web <https://www.consilium.europa.eu/it/policies/cap-introduction> (gli indirizzi internet dell’intero articolo sono stati consultati il 4-3-2024).
6) Cfr. Commissione Europea, Agricoltura e sviluppo rurale, nel sito web <https://agriculture.ec.europa.eu/common-agricultural-policy/financing-cap/cap-funds_en#:~:text=The%20EAGF%20primarily%20finances%20income,amounted%20to%20€40.95%20billion>.
7) Cfr. Idem, Il Green Deal europeo. Per diventare il primo continente a impatto climatico zero, nel sito web <https://commission.europa.eu/strategy-and-policy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it>.
8) Cfr. Idem, Strategia «Dal produttore al consumatore», nel sito web <https://food.ec.europa.eu/horizontal-topics/farm-fork-strategy_en#About>.
9) Per una valutazione critica, cfr. Gabriele Fontana e Luigi Mariani, Farm to fork. Un documento d’indirizzo che non concilia i mezzi con i fini, nel sito web <https://www.agrariansciences.it/2020/06/farm-to-fork-un-documento-dindirizzo.html>.
10) Cfr. Jesús Barreiro-Hurlé et alii, Modelling environmental and climate ambition in the agricultural sector with the CAPRI model, Publications Office of the European Union, Lussemburgo (Granducato di Lussemburgo) 2021.
11) Cfr. Richard Fuchs et alii, Europe’s Green Deal offshores environmental damage to other nations. Importing millions of tonnes of crops and meat each year undercuts farming standards in the European Union and destroys tropical forests, in Nature, vol. 586, n. 7831, 29-10-2020, pp. 671-673.
12) «Semina in terra sperando nel Cielo il rustico lavoratore. Dal Cielo la vera cagione se un identico suolo alimenta in Norvegia soltanto qualche abete, produce grani in Germania, viti e olivi in Italia» (Carlo Berti Pichat [1799-1878], Istituzioni scientifiche e tecniche ossia corso teorico e pratico di agricoltura. Libri XXX, 7 voll., UTET. Unione Tipografico-Editrice, Torino 1855, vol. II, p. 7). L’autore semplifica, dando preminenza al clima, fondamentale ma non certo l’unico fattore di diversificazione.
13) Cfr. European Commission, Context Indicator 26. Agricultural Entrepreneurial Income, nel sito web <https://agridata.ec.europa.eu/extensions/IndicatorsSectorial/AgriculturalEntrepreneurialIncome.html>.
14) Cfr. il comunicato COMECE Statement on 2024 farmers protests «A sustainable future of our food system and a secure and flourishing future for farmers can coexist», nel sito web <https://www.comece.eu/comece-on-farmers-protests-a-sustainable-future-of-our-food-system-and-a-secure-and-flourishing-future-for-farmers-can-coexist>.
15) Cfr. Fabrizio Caccia, Dall’ex Forcone ai «federati» fino all’ex bertinottiano. Chi non molla sul trattore, in Corriere della Sera, 14-2-2024.
16) Sul complesso tema, cfr. Camera dei deputati. Documentazione Parlamentare, La vicenda delle cosiddette «quote latte», Area Studi-Agricoltura, 2021, nel sito web <https://temi.camera.it/leg18/post/OCD25-486.html>.
17) Silvia Sperandio, Forconi, chi c’è dietro la rivolta? Ecco le cinque ragioni per cui sono scesi in piazza, in il Sole-24ore, 10-12-2013.
18) Cfr. il comunicato stampa President von der Leyen launches Strategic Dialogue on the Future of EU Agriculture, nel sito web <https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_24_417>.
19) «È vero. I problemi si sono intensificati negli ultimi anni. I nostri agricoltori meritano di essere ascoltati. So che sono preoccupati per il futuro dell’agricoltura e per il loro futuro di agricoltori. Ma sanno anche che l’agricoltura deve passare a un modello di produzione più sostenibile, affinché le loro aziende agricole rimangano redditizie negli anni a venire. E vogliamo garantire che in questo processo gli agricoltori restino al posto di guida» (Ursula von der Layen, Speech at the European Parliament Plenary on the conclusions of the European Council meetings, in particular the special European Council meeting of 1 February 2024, nel sito web <https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/speech_24_661>).
20) Cfr. il comunicato stampa European farmers exempted from rules on land lying fallow, nel sito web <https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/ip_24_781>
21) Giovanni Orsina, La rivolta dei trattori e le destre al bivio, in La Stampa, 29-1-2024. Cfr. anche Idem, Trattori, la geografia dello scontento, ibid., 4-2-2024. Nell’articolo l’autore fa riferimento al saggio di Pascal Chabot, Avere tempo. Saggio di cronosofia, trad. it., Treccani Libri, Roma 2023.