Don Roberto Spataro SDB, Cristianità n. 423 (2023)
Intervento, rivisto e annotato, svolto il 1° ottobre 2023 in occasione del pellegrinaggio all’abbazia benedettina del Santissimo Salvatore al Goleto (Avellino), organizzato da Alleanza Cattolica per la propria famiglia spirituale in Campania. È stato mantenuto lo stile del parlato.
Carissimi amici,
onorato di prendere la parola dinanzi alla vostra benemerita associazione, vorrei consegnare alla vostra benevola e dotta considerazione alcuni pensieri che scaturiscono tanto da questo venerando luogo, odierna meta del nostro pellegrinaggio, quanto dalle convinzioni e dalle attese di militanti e simpatizzanti di Alleanza Cattolica.
Ci troviamo in un monastero che, come avremo modo di ascoltare dalla guida che ci introdurrà nella storia di questo sito, ebbe per secoli un ruolo assai rilevante nel Sud dell’Italia, forte anche della sua duplice configurazione, maschile e femminile. Ci immergiamo, dunque, nell’epopea del monachesimo medioevale e, senza illusorie nostalgie, certamente meno dannose di pericolose fughe in avanti, guardiamo a quel kósmos,modellato sinergicamente dall’azione della Grazia e dal lavoro creativo dell’uomo, per trovare in esso fonte d’ispirazione per la nostra vocazione di credenti del secolo XXI.
Il monastero nasce da uno spirito contro-rivoluzionario. Di fronte al crollo del diritto romano — e dunque della legge naturale che ne fu il fondamento — e di fronte all’imbarbarimento della vita quotidiana, nelle sue strutture materiali e nelle sue consuetudini morali, i monaci vollero creare delle relazioni buone, con Dio, con il prossimo, con sé stessi. Anzitutto, la regola benedettina ci appare un’applicazione saggia e realistica della legge morale naturale e della theologia perennis,che parte dalla considerazione che esistono princìpi «non negoziabili» e modelli virtuosi che fungono da costante riferimento oggettivo alla costruzione, alla conservazione e allo sviluppo dei monasteri: il primato di Dio, l’ordine gerarchico e istituzionale, la dignità di ogni uomo, monaco, pellegrino, villico, la concordia generale per il raggiungimento del bene comune, la sacralità del lavoro per orientare la creazione alla sua finalità, nello spirito di un’autentica ecologia integrale e antropocentrica, l’imprescindibilità dell’educazione a una vita buona. L’elenco è naturalmente parziale, ma ci appare subito solido e profondamente umano. Quegli antichi contro-rivoluzionari si opposero al processo di decadenza delle fatiscenti strutture materiali e immateriali dell’Impero romano d’Occidente, che collassò sotto la pressione dei popoli germanici e le insidie della parte bizantina, riproponendo un modello culturale convincente, ragionevole, umanizzante, antico eppure nuovo, perché adattato alle circostanze.
Fra quegli uomini protagonisti della rinascita dell’Europa si possono certamente annoverare personalità eccellenti per qualità spirituali e capacità organizzative, come lo stesso san Guglielmo da Vercelli (1085-1142), ecista (1) del Goleto. Esse, però, rappresentano eccezioni rispetto a un populus di monaci segnati dalle loro debolezze, che intravediamo nelle testimonianze letterarie, dalle cronache alle regole. Ecco una delle grandi lezioni dell’imperitura Regula Benedicti,il realismo! Gli uomini a cui si rivolge san Benedetto da Norcia (480-547) e di cui descrive i comportamenti sono pigri, egoisti, avidi, menzogneri, irascibili; pur se sottoposti a un regolare lavorìo di miglioramento di sé grazie alla vita monastica tout court, rimangono costantemente esposti a cadute e ricadute, al punto da essere talvolta sanzionati dalla direzione monastica, che tuttavia, con estremo realismo, non ignorando questa condizione ontologica, non perde mai la speranza della resipiscenza e della conversione. Perfino abati, priori e decani sono consapevoli di essere esposti ad ambizione, superbia, autoritarismo. E così la Regula introduce dinamismi carismatici e istituzionali perché queste debolezze non inficino la missione provvidenziale del monachesimo. Scrive a tal proposito lo storico belga Léo Moulin (1906-1996): «Ecco, in soldoni, come Benedetto vede i suoi fratelli (e, a fortiori, gli altri uomini): la loro debolezza è radicale. In loro il male, la tentazione del male, ha la meglio sul bene; l’inclinazione naturale a lasciarsi andare è più forte della loro volontà di agire bene.
«Di qui, naturalmente, l’assoluta necessità di una guida, una regola, un codice, di leggi o di istituzioni, che sopperiscano alla sostanziale fragilità della natura umana» (2). Non è forse anche questa una salutare lezione per la vita interiore dei militanti e per l’apostolato contro-rivoluzionario?
Entriamo idealmente in un antico monastero, prima di addentrarci negli ambienti dell’abbazia del Goleto. Fra gli ambienti che sicuramente attrarrebbero la nostra attenzione ammirata annoveriamo senza dubbio gli scriptoria. Sono i luoghi della trasmissione della cultura letteraria e, per svolgere quest’opera, i monaci non risparmiano tempo, energie, salute. Gli amanuensi hanno spesso le mani raggelate e l’oscurità del luogo indebolisce la loro vista, anche se hanno inventato gli occhiali, che hanno raddoppiato la vita intellettuale. Il frutto del loro lavoro confluisce nelle biblioteche, autentiche fortezze spirituali, dove mediamente sono conservati fra i quattrocento e i cinquecento codices. Sono opere degli autori cristiani precedenti, le auctoritates patristiche, e opere degli autori pagani, che coprono molte discipline, dalla letteratura alla musica, dalla geografia alla medicina. Sono opere consultate dai magistri dellescuole, che sorgono all’interno e accanto al monastero. Perché senza questo immenso sforzo culturale sarebbero inimmaginabili il mondo intero, l’Europa e la «Magna Europa», per adoperare la felice espressione introdotta da Giovanni Cantoni (1938-2020).
Non posso fare a meno di proporvi una lunga citazione, tratta dal discorso epocale che Benedetto XVI (2005-2013) tenne al Collège des Bernardinsa Parigi nel settembre dell’anno 2008; quindici anni fa, eppure sembra che sia passato un tempo lunghissimo, a causa dei cambiamenti avvenuti nella Chiesa negli ultimi anni e che talvolta ci lasciano perplessi e addolorati. Ispirandosi al saggio di Jean Leclercq O.S.B. (1911-1993), intitolato L’amour des lettres et le désir de Dieu (3), il nostro caro doctor Ecclesiae,parlando dei monaci medioevali, dei loro scriptoria e delle loro biblioteche, affermò: «Per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile […]. Quaerere Deum: poiché erano cristiani, questa non era una spedizione in un deserto senza strade, una ricerca verso il buio assoluto. Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso, anzi, aveva spianato una via, e il compito consisteva nel trovarla e seguirla. Questa via era la sua Parola che, nei libri delle Sacre Scritture, era aperta davanti agli uomini. La ricerca di Dio richiede quindi per intrinseca esigenza una cultura della parola […]. Il desiderio di Dio, le désir de Dieu, include l’amour des lettres, l’amore per la parola, il penetrare in tutte le sue dimensioni. Poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esigeva la cultura della parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie verso la parola. Per lo stesso motivo ne fa parte anche la scuola, nella quale le vie vengono aperte concretamente. […] Il monastero serve alla eruditio, alla formazione e all’erudizione dell’uomo — una formazione con l’obbiettivo ultimo che l’uomo impari a servire Dio. Ma questo comporta proprio anche la formazione della ragione, l’erudizione, in base alla quale l’uomo impara a percepire, in mezzo alle parole, la Parola» (4).
Torna qui il tema caro a tutta l’apologetica cristiana, e dunque al pensiero contro-rivoluzionario, dell’alleanza tra fede e ragione, sicché l’una sostiene l’altra in un processo virtuoso di esplorazione del mistero dell’uomo e del senso della storia. Non è forse Alleanza Cattolica un luogo ecclesiale di questa alleanza tra fede e ragione, autenticamente e pienamente cattolica, ossia completa e integrale, universalmente aperta alla ragione di ogni uomo e alla sua capacitas Dei? Certamente il nostro pellegrinaggio ai luoghi del monachesimo consoliderà la dedizione a questa missione intellettuale per «erudire»gli uomini del nostro tempo, a questo apostolato culturale perché la quaestio Dei inquieti la loro ragione e il loro cuore. In questa vocazione di Alleanza Cattolica si colloca l’amour pour les lettres dei suoi militanti e simpatizzanti.
All’interno della nostra perlustratio monastica, diacronica e sincronica, un altro tratto peculiare e inconfondibile ci colpisce: il silenzio che avvolge ogni spazio e ogni momento, anche quando udiamo il belato delle pecore e il canto del coro, anche quando assistiamo alla lectio nel refettorio e ai sobri e quasi furtivi colloqui fra il cellelarius e i suoi collaboratori e dipendenti, come il pistor, i guardiani dei vivai, delle vigne e del grano, il pistancerius, il connestabile,guardiano della scuderia, il cellelarius coquinae, il cellelarius vini. È il silenzio di chi parla e di chi tace perché ascende a un’osservazione della vita sub specie aeternitatis.
Qual è dunque il silenzio al quale ci introducono i nostri maestri della vita monastica? È l’habitare secum sotto lo sguardo di Colui che vede tutto, come si legge nei Dialogi di Papa san Gregorio Magno (590-604) (5), che racconta la vita di san Benedetto da Norcia. E ne abbiamo tanto bisogno. Un’anima allenata al silenzio potrà discernere bene e male, vero e falso. Quando il cuore dimora nel silenzio, non ci sono più passioni che turbano, pensieri di orgoglio e di invidia, moti di gelosia e di prepotenza, non c’è più sensualità. Allora, nell’anima fioriscono solo gioioso stupore, pura gratitudine, dolcezza e mitezza per tutti. E un’anima piena di mitezza e di pace sa comunicare con un linguaggio che penetra negli altri cuori come benefica rugiada. Porta ristoro e calma dove c’è sconforto e turbamento; prepara l’anima di chi la accosta a percepire la trama degli avvenimenti quotidiani per cogliere il senso profondo di tutte le cose, il mistero che congiunge a Dio. Il silenzio è uno scrigno prezioso che raccoglie, custodisce e protegge tante virtù.
Ricorderete che alcuni anni fa il cardinal Robert Sarah, una delle figure più luminose e autorevoli del Sacro Collegio, pubblicò il libro La force du silence. Contre la dictature du bruit, tradotto immediatamente in varie lingue (6). I militanti di Alleanza Cattolica conoscono bene questa forza alla quale si allenano nei giorni di esercizi spirituali annuali e nelle varie occasioni periodiche di raccoglimento personale. Essi sanno bene chegli uomini del nostro tempo sono sottomessi pure a questa dittatura del rumore, indizio anch’esso della bagarre rivoluzionaria di cui ha parlato, sia pur in altro contesto, Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995). Cito dunque da quel libro ispirato, in traduzione italiana: «È necessario per tutti noi coltivare il silenzio e circondarlo di una diga interiore. Nella mia preghiera e nella mia vita interiore, ho sempre sperimentato il bisogno di un silenzio più profondo, più completo. Si tratta di quella sobrietà che conduce a non pensare neppure a me stesso, ma a volgere il mio sguardo, il mio essere e la mia anima verso Dio» (7).
Il monastero antico è un luogo dove tutto si svolge ordinatamente, secondo una disposizione gerarchica, improntata a un saggio principio di sussidiarietà in vista del bene comune della comunità e del mondo che attorno ad essa gravita, integrata da una solidarietà con le istituzioni esterne, che scatta pure con i dinamismi virtuosi previsti al suo interno. È veramente un luogo dove la dottrina sociale ante litteram ha trovato una sua non irrilevante applicazione. Da questa organizzazione sociale è bandita la fretta, causa ed effetto di agitazione interiore e, dunque, di dispersione e di lacerazione. Un ritmo semplice e solenne allo stesso tempo avvolge il tempo dell’otium orante nel coro e nei negotia ivi praticati, che resero i monasteri le cellule di un’economia a misura d’uomo per molti secoli. Una sorta di sovrana tranquillità impedisce che le occupazioni sovrastino dominatrici del pensiero e dell’azione. Giorno e notte, ore e periodi, scorrono placidamente nel monastero, scanditi dal suono della campana, voce di Dio che assegna un tempo ad ogni cosa e che, come salutare monito, richiama la destinazione eterna di ogni momento e di ciò che lo riempie. La storia viene vissuta con pienezza nell’esercizio di una libertà responsabile, eppure non assorbe nei suoi gorghi hegeliani l’anima, ma umilmente si inchina dinanzi alla ghenesis e all’eschaton. Sono proprio queste due grandezze metastoriche, l’inizio e la fine, la creazione e la palingenesi, che permettono al monaco di agire senza affanni e senza inquietudini, se non quelle da pagare alla condizione radicale d’imperfezione, sottraendosi alle lusinghe dell’avversario che tenta di strappare l’anima al presente, dove si accoglie l’imperativo dell’age quod agis, e alla sua proiezione nella beatitudine eterna attraverso l’esercizio della virtù tipicamente cristiana della speranza.
Non è un caso che la rivoluzione protestante e quella illuministico-francese, quella social-comunista e quella nichilista, ingaggiando una lotta implacabile al monachesimo, incompreso, osteggiato, abbattuto, abbiano introdotto una visione orizzontale della storia sospesa fra la negazione del passato e il balzo verso il futuro, dimentiche della densità del momento presente per amare Dio con atti seminati nel tempo, i cui frutti saranno pienamente raccolti nell’eternità. La rivoluzione ha fretta di raggiungere i suoi illusori obiettivi, s’inquieta per le resistenze che incontra e le combatte aspramente, è intrinsecamente in uno stato di agitazione che bypassa il presente, è asfitticamente priva del respiro dell’eternità e si dimena tentando di accaparrare violentemente un futuro che non esiste se non nell’ideologia. A questo storicismo impazzito il monachesimo oppone la quiete della sua filosofia del tempo e della sua teologia della storia che, quotidianamente, si traduce nel fare una cosa per volta e farla bene. Mi sia lecito completare la meditazione su quest’ultimo punto citando un passaggio, come sempre delizioso nella sua profonda semplicità, di san Francesco di Sales (1567-1622), indirizzato — è bene ricordarlo nel nostro contesto — ai fedeli laici, le «filotee» che vivono nel mondo, senza però appartenervi, per trasformarlo, ognuna pro viribus suis.
«L’accurata diligenza che occorre negli affari è ben diversa dalla preoccupazione, inquietudine e ansietà.
«[…] Sii dunque accurata e diligente in tutti gli affari, dei quali avrai il dovere di occuparti, o mia Filotea. Il Signore, che te li ha affidati, vuole che tu vi metta gran cura; ma possibilmente, non ti confondere, non ti turbare: non trattarli cioè con agitazione, ansietà e veemenza.
«[…] Le mosche sono moleste per il numero. Le grandi importanti non ci disturbano tanto come le piccole, quando siano molte. Sbriga dunque in pace le faccende che ti occorre sbrigare con ordine una dopo l’altra.
«In tutte le imprese appoggiati completamente alla divina Provvidenza, con l’aiuto della quale soltanto potrai attuare i tuoi disegni.
«[…] Fai come i bambini che con una mano si tengono al padre e con l’altra colgono fragole e more lungo le siepi; mentre, cioè, con una mano maneggi i beni di questo mondo, tienti sempre con l’altra al Padre celeste; volgiti di tanto in tanto a Lui, per vedere se gli piacciono i tuoi lavori e le tue occupazioni. E guardati bene di non lasciare la sua mano e la sua protezione, nella speranza di abbracciare molto di più.
«[…] Dio opererà con te, in te e per te e tu coglierai frutti consolanti dalla tua fatica» (8).
Mi avvio, dunque, a concludere, carissimi amici. Stiamo svolgendo un pellegrinaggio, pratica molto salutare per le nostre anime, a un’antica abbazia ove i monaci erano regolarmente ispirati dalla domanda che san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) ripeteva a sé stesso nella formulazione della celebre interrogazione, analoga a quella che Gesù rivolge a Giuda nell’istante del tradimento (9): «Bernarde, ad quid venisti?». Chiedendolo pure a noi stessi, oseremo rispondere che siamo venuti per confermare la nostra convinta adesione a quella nobilissima visione della vita e della storia, ispirata dalla retta ragione e dalla Rivelazione, che è la dottrina contro-rivoluzionaria, e per rinnovare, sotto lo sguardo di Dio e di Maria Santissima, il nostro impegno militante di apostolato negli ambienti e nelle relazioni interpersonali per dare il nostro contributo alla costruzione della civiltà dell’amore, per adoperare le parole di san Paolo VI (1963-1978), pronunziate nel denunciare il rimedio alla drammatica separazione tra fede e cultura e, per dirla con la divisa di un Pontefice molto caro al pensiero contro-rivoluzionario, san Pio X (1903-1914), per instaurare omnia in Christo.
Nos cum prole pia, benedicat Virgo Maria!
Don Roberto Spataro SDB
Note:
1) Cfr. «ecista — s. m. [dal gr. οἰκιστής «fondatore», der. di οἰκίζω «fondare (una città o una colonia)», da οἶκος «casa»] […] — Nell’antica Grecia, il capo di una spedizione coloniale, generalmente discendente di famiglia nobile o regia, ovvero, caso frequente nella più remota antichità, mero personaggio mitico, scelto per tradizione locale di culto o per tarda derivazione eponimica» (Vocabolario Treccani online).
2) Léo Moulin, La vita quotidiana secondo San Benedetto, trad. it., Jaca Book, Milano, Milano 1991, pp. 70-71.
3) Cfr. Jean Leclercq, L’amour des lettres et le désir de Dieu. Initiation aux auteurs monastiques du Moyen âge, 4a ed. corr., Les Éditions du Cerf, Parigi 2008.
4) Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, 12-9-2008.
5) Cfr. Gregorio I, Vita di san Benedetto, commentata da Adalbert de Vogüé O.S.B. (1924-2011), EDB. Edizioni Dehoniane Bologna, Bologna 2009.
6) Cfr. Card. Robert Sarah e Nicolas Diat, La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore, trad. it., prefazione di Benedetto XVI (2005-2013), Cantagalli, Siena 2017.
7) Card. R. Sarah e N. Diat, op. cit., p. 287.
8) San Francesco di Sales, Introduzione alla vita devota o Filotea, trad. it., Cantagalli, Siena 1978, pp. 143-145.
9) Cfr. Mt 26, 50.