Una breve riflessione sull’incoronazione di Carlo III
di Marco Invernizzi
Provate per un attimo a dimenticare tutto quanto c’è nel passato della monarchia inglese che la rende indigesta. Provate a dimenticare il re Enrico VIII (1491-1547), che per cambiare moglie creò una chiesa nazionale, dimenticate per un momento i tanti martiri cattolici durante la persecuzione della regina Elisabetta I (1533-1603). Mettete da parte l’anglicanesimo, il protestantesimo e gli scandali recenti della famiglia reale e, invece, concentratevi sull’incoronazione di sabato 6 maggio, che ha affidato il Regno d’Inghilterra a Carlo III. Ascoltate le parole dell’arcivescovo di Canterbury, che ha messo sul capo di Carlo la corona di sant’Edoardo il Confessore (1002-1066), monarca canonizzato e cattolico, ascoltate le parole pronunciate dal re, che si impegna a usare la spada per realizzare la Giustizia con la Misericordia, pensate per un attimo a un cerimoniale così sacro, dove l’autorità proviene ancora da Dio in modo esplicito e il popolo riconosce tutto questo. Persino il Corriere della Sera ha colto la religiosità insita in una cerimonia che ha mostrato la profonda differenza fra il mondo attuale secolarizzato e le parole e i gesti simbolici presenti nell’incoronazione.
Poi la cerimonia finisce e si rientra nella realtà. La distanza fra le parole ascoltate e l’attualità è siderale. La famiglia reale ricomincerà a dividersi e a scandalizzare, forse re Carlo non inciderà in alcun modo nella vita pubblica, se non qualche volta in modo negativo.
Però, se avrete assistito in tv ad alcuni momenti dell’incoronazione, non avrete perso tempo. Non tanto perché vi sarà subito venuta in mente la distanza abissale fra il mondo in cui la politica aveva un tratto religioso e sacrale e il tempo successivo alla Rivoluzione francese, dove questo legame fra Dio e il governo del popolo è stato semplicemente eliminato, anche col sangue della ghigliottina. Non è questo il punto, almeno il principale, tanto che un Paese come l’Inghilterra, che non ha conosciuto direttamente gli effetti devastanti della Rivoluzione francese, non “se la passa” meglio dei Paesi latini, come la Francia e il nostro, che invece sono stati vittime del 1789 e della sua versione italiana.
Il punto è che quella cerimonia, che non veniva ripetuta dal 1953, settant’anni fa, ci ha ricordato che «non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio», come scrive san Paolo nella Lettera ai Romani (cap. 13), e noi uomini abbiamo bisogno di segni che ce lo ricordino, proprio perché siamo semplici uomini, bisognosi di gesti che tocchino la nostra sensibilità. Altrimenti dell’autorità rimarrebbe soltanto il potere.
Lunedì, 8 maggio 2023