di Luca Finatti
Di padre in figlio, alla ricerca dell’unico Padre. Si potrebbe chiosare così lo splendido documentario Il cinema come preghiera (2020) che Andrej Andreevič Tarkovskij ha realizzato sul padre, Andrej Arsen’evič Tarkovskij (1932-1986), il geniale regista russo che ha creduto nel cinema come arte capace di attingere all’assoluto, figlio a propria volta di un poeta tra i più significativi del Novecento sovietico – Arsenij Aleksandrovič Tarkovskij (1907-1989). Il film esplora l’infanzia del cineasta, il suo amore viscerale per la campagna russa, la memoria della madre, fervente cristiana, e la poesia del padre che ne attraversa tutta l’opera cinematografica, fonte d’ispirazione costante.
La trama del racconto è affidata interamente alle parole del biografato, attraverso dialoghi inediti dedicati anzitutto a esplorare il significato dell’arte e della vita, da cui emerge uno spiccato senso religioso, nutrito dalla fede cristiano-ortodossa e dalla lettura meditata degli autori preferiti, in primis lo scrittore russo Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881) e il filosofo russo Pavel Aleksandrovič Florenskij (1882-1937). Il titolo è del resto un’espressione che il figlio scopre rovistando tra le interviste dimenticate del padre, trasformata in motto efficace e icastico a suggello dell’intera opera di Tarkovskij.
Diviso in sette capitoli a cui si aggiunge un epilogo, l’opera è un lungo flusso di memorie, dove si alternano fotografie, sequenze cinematografiche e parole, senza l’intenzione di costruire un ritratto a tutto tondo, ma solo uno scorcio del percorso interiore dell’artista.
Scelta specifica e particolare è quella di tacere del conflitto persistente e drammatico fra Tarkovskij e il regime comunista sovietico, che fece di tutto per impedirgli di esprimere la propria arte.
È cosa nota che, nel 1980, il regista arrivò in Italia per ricevere il premio cinematografico David di Donatello per Lo specchio (1974), decidendo poi di stabilirsi – dal 1982 – a Firenze con la moglie, entrambi esuli in fuga dal dispotismo comunista. Il regime impedì al figlio, rimasto in Russia, di ricongiungersi con il padre fino al 1986, quando lo stesso segretario generale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Michail Sergeevič Gorbačëv, intervenne concedendo finalmente il ricongiungimento con il padre, oramai consumato dalla malattia. Ma Tutto questo nel documentario non c’è.
La sofferenza e il sacrificio – temi chiave di tutta l’opera di Tarkovskij – del padre e del figlio sono come sublimati dalle riflessioni artistiche del padre, oltrepassati dal suo sguardo: «Quando parliamo di semplicità nella costruzione di un’immagine artistica, essa rappresenta sempre per me un autore che con una mano sfiora la terra e con l’altra si protende da qualche altra parte, verso le sfere ultraterrene».
Tarkovskij scrisse numerose pagine sulla propria idea di arte cinematografica e infatti il documentario invita a rileggere il bellissimo saggio Scolpire il tempo. Riflessioni sul cinema (Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij, Firenze 2015), testo non solo per cultori di cinema, bensì raccolta sistematica e ordinata di meditazioni sul senso dell’arte e della ricerca della verità: «[…] l’artista non può rimanere sordo al richiamo della verità, poiché è unicamente questa a determinare la sua volontà creatrice e a organizzarla. Solo in questo caso è in grado di trasmettere la sua fede all’altro. L’artista che non ha fede assomiglia a un pittore cieco dalla nascita» (p. 43).
I documentari di solito non hanno una distribuzione capillare e diffusa, e non sarà perciò facile vedere questo film. Conviene però non lasciarsi sfuggire l’occasione per un’esperienza che al cinema non capita spesso, quella cioè di un autore che vuole rendere gloria a Dio attraverso la propria arte di “scultore del tempo”: «Lo scopo dell’arte non consiste affatto, come talvolta ritengono gli artisti stessi, nell’istillare pensieri, nel contagiare con le idee, nel servire da esempio.
La sua finalità consiste nel preparare l’uomo alla morte, nell’arare e nel rendere tenera la sua anima in modo che sia capace di rivolgersi al bene» (ibid., p. 44).
Mercoledì, 4 marzo 2020