Silvia Scaranari, Cristianità n. 404 (2020)
Dopo l’introduzione di don Diego Goso e la prefazione di mons. Giuseppe Liberto, già direttore della Cappella Musicale Pontificia Sistina, il testo si sviluppa come intervista a S.E. mons. Antonio Suetta — vescovo di Ventimiglia-Sanremo (Imperia) — su piccoli e grandi temi sociali, politici ed ecclesiali del nostro tempo.
Don Diego Goso, l’intervistatore, è un sacerdote diocesano di Torino in trasferta presso la diocesi di Ventimiglia-Sanremo come incaricato per l’Ufficio di Comunicazioni Sociali. È un sacerdote che ha fatto della comunicazione la sua missione, cercando di avvicinare soprattutto i giovani con testi come Cattolicesimo, manuale di sopravvivenza (2006), Scherzi da prete. Ridere della religione religiosamente (2008), Il Vangelo secondo… dr. House (2009), Il Vangelo secondo… i Simpson (2010), tutti dell’editrice Effatà, di Cantalupa (Torino).
Dopo un primo capitolo dedicato al tema del Covid e delle difficoltà vissute nei mesi passati (pp. 15-23), l’attenzione del vescovo ligure è rivolta alla formazione dei giovani sacerdoti e al loro accompagnamento nel difficile cammino pastorale (cap. 2, pp. 25-61). «La gente ci cerca non per quello che siamo o rappresentiamo umanamente, ma perché sa e crede che siamo portatori di Dio, del suo amore, della sua salvezza e del suo messaggio» (p. 23), afferma il vescovo, e per questo i sacerdoti devono essere fedeli portatori di una verità che li trascende, quella di Cristo, senza troppe interpretazioni personali. Per far ciò occorrono sacerdoti ben formati, ma non irretiti dall’intellettualismo oggi tanto di moda. La fede è semplice perché Dio è la semplicità perfetta e quindi la verità deve essere trasmessa con semplicità e serietà. I sacerdoti devono vivere una dimensione personale di vero fervore, devono saper pregare — cioè ascoltare — e non solo analizzarsi introspettivamente. La preghiera, infatti, è una comunicazione con l’Altro e la comunicazione implica l’ascolto, è un aprirsi con fiducia, è chiedere evitando la cosiddetta «fede adulta» che spesso diventa la pretesa di «costringere la fede nei limiti della ragione, accreditando a questa una sorta di onnipotenza» (p. 21). I sacerdoti veri sono quelli che accettano di essere totalmente al servizio della Chiesa — e in questa prospettiva il celibato è un arricchimento, non una perdita —, sono pieni di speranza perché sanno che c’è sempre una prospettiva che va oltre, sono persone felici perché vivono a fondo la coerenza e la fedeltà al cammino iniziato, sono «padri» (p. 40), ma soprattutto devono vivere un equilibrio interiore che renda loro possibile affrontare le sfide di tutti i giorni (cfr. p. 43).
Il sacerdote deve portare l’uomo d’oggi alla verità, «[…] che secondo la parola di Gesù rende liberi, è il primo grande atto di misericordia» (p. 56), ma per far ciò occorre avere il coraggio di mettere in discussione idee e comportamenti che il mondo considera scontati e leciti. La verità non condanna ma illumina e il sacerdote accompagna al confessionale, che lui per primo deve però frequentare.
Mons. Suetta si lascia definire «vescovo di frontiera» (cap. 3, pp. 63-88), non solo perché Ventimiglia è paese di frontiera con la Francia, ma perché ha affrontato con coraggio situazioni complesse come l’invasione di migranti con momenti di significativa tensione con le forze dell’ordine dal 2015 in poi. Tutti i mezzi di comunicazione hanno ripreso il vescovo che sale sugli scogli per parlare con i migranti, ma ciò non implica una visione unilaterale da parte del presule. Accanto ai migranti, ma anche voce seria verso i confratelli della Conferenza Episcopale Italiana perché prendano coscienza del fenomeno nella sua dimensione plurale e non solo gridando al crescente razzismo. Emerge dall’intervista un presule che non disdegna la politica, ricordando che Papa san Paolo VI (1963-1978) l’ha definita «la più alta forma di carità» (p. 73). Interessarsi di politica non vuol dire necessariamente scendere in campo per un partito, ma può anche semplicemente tradursi nel guardare agli uomini politici partendo dai loro programmi e confrontando questi con la Dottrina sociale della Chiesa. In questo senso il presule è sceso apertamente in campo su temi etici molto importanti quali la vita, la sessualità, la morte, la procreazione, la malattia, richiamando tutti a riflettere sull’importanza della vera dignità della persona umana. Non sono problemi religiosi, ricorda con coraggio, ma temi che riguardano l’uomo e perciò condivisibili anche da chi cattolico non è (cfr. pp. 71-73).
Il tema della vita e della morale è ripreso anche nel capitolo 4 (pp. 89-113), dove il discorso sul ruolo della politica si fa più stringente. In questo contesto si colloca l’appoggio del presule alla Marcia per la Vita, che ogni anno si svolge a Roma, e al ruolo svolto da Mario Adinolfi nella battaglia per la vita.
Nel guardare la politica un punto importante è anche l’idea di nazione, l’idea di Europa, la sincerità con cui occorre ripensare la nostra storia senza voler tagliare le radici su cui siamo cresciuti, come ricordava con forza Papa Benedetto XVI (2005-2013).
Il capitolo 5 (pp. 115-135) contiene uno sguardo alla Chiesa di oggi e al suo compito di profezia verso il mondo. La Chiesa è credibile quando annuncia Cristo senza cedere a prospettive mondane che vorrebbero «[…] assoggettare i contenuti della fede, parlando impropriamente di aggiornamento, dimenticando soprattutto che non deve essere il mondo a giudicare la fede, ma la fede a giudicare il mondo» (p. 116).
«Dobbiamo ritrovare la fierezza (sono molto affezionato a questo termine) o detto più biblicamente, la “parresìa”, di annunciare il messaggio di Cristo senza riduzioni e senza adattamenti, avendo la responsabilità, il coraggio, ma soprattutto la gioia da parte di chi annuncia e da parte di chi ascolta di incominciare non dalle cose che, logicamente e tatticamente, starebbero dentro il contenitore del minimo comun denominatore, ma a partire da quello che è il cuore del messaggio cristiano, cioè il dono della salvezza e la vita eterna» (p. 121).
Il ruolo profetico della Chiesa si manifesta quando il cristiano è il sale della terra, ben sapendo che quando il sale si posa su una ferita brucia molto, ma proprio da questo dolore inizia la guarigione. Coraggiosamente mons. Suetta ricorda che il cristiano che non «fa male» al mondo non è un cristiano vero. Perciò in conclusione torna a parlare di temi scottanti come l’ordinazione dei preti sposati chiesta durante il Sinodo per l’Amazzonia o l’ordinazione sacerdotale femminile. Se la Chiesa ha sempre previsto le dispense per le situazioni molto particolari, non per questo le ha trasformate in legge universale. In questo caso forse — ma il presule confessa di non conoscere la situazione e quindi di non poter esprimere opinioni fondate — si colloca il problema Amazzonia e come caso speciale deve essere considerato.
Sul ruolo della donna, invece, mons. Suetta ribadisce con grande chiarezza l’importanza di fondare la dignità della donna in quanto le è peculiare, non in una brutta copia del ruolo maschile. La differenza fra uomini e donne dona all’umanità una immensa ricchezza e una vera risorsa. Il processo di «liberazione» della donna, che ha avuto inizio alla metà del secolo scorso e ha raggiunto il suo culmine con il movimento del Sessantotto, non ha garantito una vera liberazione, quanto piuttosto ne ha calpestato la dignità solo in modo diverso.
Provocatorie le ultime domande sul come finirà la Chiesa fra carrierismi, scandali morali e finanziari, forzature e provocazioni. La risposta del presule è chiara: gli uomini di Chiesa sono uomini del nostro tempo, né più né meno degli altri; ma gli avversari non praevalebunt, assicura il Signore, e quindi in ultima analisi è Lui che guida la storia, anche della Chiesa nella sua parte più umana.
L’ultimo capitolo, il sesto (pp. 137-155), è riservato al volto più privato del vescovo, al suo amore per l’arte culinaria, alla musica che ascolta o ai libri che legge, ma uno spunto interessante è dato dalla scelta dei testi indispensabili che porterebbe con sé sull’isola deserta: Contro Mastro Ciliegia del cardinale Giacomo Biffi (1928-2015) e la Summa Theologiae di san Tommaso d’Aquino (1225 ca.-1274), testo fondamentale per la semplicità con cui espone temi complessi, vera sfida al problematicismo della cultura ecclesiale contemporanea.
Un libro da leggere, un testo su cui riflettere per ritrovare il coraggio, anzi la fierezza, di essere ancora cattolici veri, anche nel 2020.
Silvia Scaranari