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Appello dei cattolici uniti rumeni: un esempio di resistenza anticomunista

30 Marzo 1980 - Autore: Alleanza Cattolica

Cristianità n. 59 (1980)

 

Il 21 dicembre 1979 compariva sul quotidiano la Croix un appello lanciato da esponenti e responsabili – clero e laici – della Chiesa rumena unita. Questa Chiesa – perseguitata dopo la seconda guerra mondiale – è stata soppressa con un decreto governativo il 1° dicembre 1948. Dalle catacombe del regime comunista rumeno riportiamo, ammirati, questa eccezionale testimonianza di fedeltà alla Chiesa cattolica e di resistenza anticomunista, augurandoci che siano anzitutto i cattolici a riconoscere il valore dell’esempio offerto da questi fratelli nella fede perseguitati, e a convincersi che la salvezza, o anche il semplice aiuto, non potrà venire loro da organismi «umanitari», come Amnesty International, ma da un autentico risveglio anticomunista in difesa della fede e dei valori della civiltà naturale e cristiana. Non ultima lezione che si può ricordare da questo documento è quella relativa alla natura autenticamente comunista, e quindi persecutoria, del regime guidato da Ceausescu, sul cui conto, purtroppo, non mancano colpevoli illusioni anche in ambienti sedicenti anticomunisti.

 

Dalla “Chiesa del silenzio”

Appello dei cattolici uniti rumeni: un esempio di resistenza anticomunista

 

Dopo la morte dei vescovi-martiri, la Chiesa greco-cattolica ha continuato a esistere. Essa vive intensamente e vigorosamente in silenzio nelle catacombe. Ne hanno assunto la direzione cinque vescovi clandestini che, per questo, sono stati condannati ciascuno a venticinque anni di prigione. Al momento della sua soppressione la Chiesa greco-cattolica contava circa due milioni di fedeli; oggi, è difficile valutarne il numero. Essi sono assistiti spiritualmente, con grande rischio, dai loro sacerdoti. Nelle città partecipano anche alle messe cattoliche romane, ma è vietato ai sacerdoti cattolici latini di amministrare loro pubblicamente i sacramenti.

Anche se non sanno l’ungherese (1), i fedeli praticanti greco-cattolici formano la maggioranza di quanti sono presenti in certe chiese cattoliche di rito latino. Ove mancano le chiese romano-cattoliche, partecipano a cerimonie ortodosse, pur conservando una fede inalterata e la speranza della restaurazione della loro Chiesa.

Dei cinque vescovi usciti di prigione (la generazione clandestina), uno è morto, un altro soffre di una malattia psichica dovuta alle torture subite.

Dei tre «attivi», due sono gravemente malati senza speranza di guarigione. Ne resta uno solo. Vi sono circa cinquecento sacerdoti attivi nelle catacombe.

I vescovi e un buon numero di sacerdoti sono incessantemente molestati, fatti oggetto di indagini, terrorizzati, perseguitati e sorvegliati. È loro vietato prendere contatti con i fedeli, catechizzare, svolgere una attività, avere rapporti epistolari con il Vaticano.

 

Una moltitudine di divieti

È loro vietato scrivere, parlare in pubblico, riunirsi. È loro permesso pregare di nascosto, ciascuno a casa sua, senza presenti. È loro vietato amministrare i sacramenti, assistere gli ammalati, portare gli abiti sacerdotali e ogni scritto è confiscato. (Al prestigioso sacerdote e filosofo Miclea sono state confiscate 30 mila pagine di manoscritti). I loro domicili sono violati e si fanno perquisizioni ovunque, depositando oggetti compromettenti. Gli alunni e gli studenti praticanti sono ridicolizzati e ammoniti in pubblico.

Non si conferisce nessuna carica ai praticanti ai quali, per altro, non si affidano compiti importanti. Ogni attività scientifica o artistica incontra innumerevoli difficoltà e i viaggi all’estero sono loro rifiutati.

Si raccolgono false testimonianze per costruire dossier che permetteranno processi infamanti. Incombe su di loro la minaccia di essere internati in cliniche psichiatriche come dementi e di essere interdetti nell’esercizio della loro professione. Sono screditati da voci calunniose, affinché siano evitati e boicottati.

Ci si serve di tutti i mezzi a disposizione per indurre in errore e ingannare la buona fede, per rimandare sine die una soluzione al problema greco-cattolico fino alla morte dei vescovi.

Siamo dolenti di constatare come tante persone in buona fede sono indotte in errore perché considerano oneste le promesse e gli impegni che vengono presi. Soffriamo vedendo che per la riunificazione di una famiglia o per ottenere la libertà di una fidanzata (2) si fa di più che per due milioni di credenti.

Vi preghiamo assolutamente di fare conoscere alla opinione pubblica internazionale le pratiche disumane sopra ricordate attraverso:

interventi sulla stampa, manifestazioni, memorie indirizzate a tutte le istanze influenti politiche, giuridiche, economiche, finanziarie, culturali, nazionali e internazionali come la Conferenza di Madrid, ad Amnesty International, che si incaricheranno di reclamare che siano accordati:

1. Il diritto alla libertà religiosa;

2. Il diritto alla libera pratica del culto greco-cattolico;

3. Il diritto di parlare, di scrivere e di riunirsi;

4. Il diritto di possedere e di ricevere giornali, riviste e libri di spiritualità;

5. Il diritto di ricevere dall’estero libri e stampa, ciclostilati, denaro per fare costruire chiese;

6. Il diritto di catechizzare nelle scuole;

7. Il diritto di avere degli istituti teologici;

8. Il diritto di inviare all’estero giovani che vogliano fare studi teologici;

9. Perché cessi la discriminazione e sia concessa una uguaglianza reale tra tutti i cittadini del paese.

Un gruppo di cristiani della Chiesa unita

 

Note:

(1) In tutta la Transilvania tutte le chiese cattoliche romane sono tenute unicamente da sacerdoti ungheresi, che officiano solamente in ungherese.

(2) Azioni organizzate all’estero, numerose volte, per recuperare persone (madre, padre, figli, ecc.) facendo appello alla opinione pubblica, raccogliendo centinaia di firme e, all’occorrenza, pagando una somma in denaro!

 

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