Il censimento di Pieter Bruegel e la meraviglia di un Dio che decide di camminare con l’uomo
di Michele Brambilla
Antivigilia di Natale, per di più sabato. I centri commerciali rigurgitano di clienti a caccia del regalo, come sempre in “zona Cesarini”; i negozi di alimentari sono pieni di coloro che cercano “il tocco da maestro” per il cenone; anche nelle chiese fervono le prove dei canti, mentre si allestiscono gli altari con il parato solenne e i penitenti della “sola volta l’anno” si accalcano davanti ai confessionali.
Anche 2000 anni fa, pare dire il pittore fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio (1525-69), l’umanità si affannava per vari motivi. Nel suo straordinario Il censimento di Betlemme (1566) siamo catapultati in quei giorni nei quali «un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2,1) e ognuno correva, in ogni angolo delle vaste province dell’Impero romano, a farsi registrare nella località di nascita. Bruegel lo rende visivamente attraverso la folla che si accalca al piano terra di una locanda: occupati persino i tavoli all’aperto, nonostante nevichi. Chi arriva con la sua ricchezza (la neve ricopre anche grosse botti di vino, frutto della vendemmia autunnale, e c’è qualcuno che sta attingendo, aprendo il rubinetto di quella in primo piano), chi con la sua povertà (una donna, forse la madre o un’inserviente, sta servendo la cena ad un gruppo di bambini, allungando loro una grossa padella).
L’intero paesaggio brulica di vita. Laghi e fiumi ghiacciati sono percorsi da adulti e bambini che cercano di guadarli con i propri averi, per pescare o, addirittura, per giocare con lo slittino. Una chiatta innevata è rimasta incastrata, immobile, nel ghiaccio, poco lontano dal porto fluviale. Un uomo si carica di un grosso tronco, vicino ad un carro pieno di rami legati in fascine, per riscaldare la casa.
La città, però, non sembra corrispondere molto, nella sua architettura, alla Betlemme del 6 a.C. Rappresenta, piuttosto, il classico villaggio fiammingo della metà del Cinquecento, con le sue case in muratura, le fortificazioni in parte in rovina (lo si vede in alto a destra. Forse un’allusione alle conseguenze della guerra decennale tra la Spagna e le Province Unite, in corso mentre il quadro veniva dipinto?) e, addirittura, una chiesa romanico-gotica (il portale è a tutto sesto), con tanto di campanile al centro della facciata. L’occhio del “lettore” minuzioso avrà certamente notato anche la corona dell’Avvento innevata che pende proprio sulla porta della locanda.
Perché tutti questi anacronismi? Per ricordare che l’evento del Natale non è confinato nel suo secolo di appartenenza: dacché Cristo si è fatto uomo, l’Incarnazione è diventata il fulcro attorno a cui ruota l’intera storia dell’umanità. Cristo è venuto al tempo di Augusto, tornerà alla fine del mondo per amministrare il Giudizio universale, ma nel frattempo Egli chiede di essere quotidianamente accolto in ogni cuore e in ogni luogo.
Ecco infatti, approssimarsi alla locanda un uomo, con gli strumenti del falegname, che trascina un asino, sul quale siede una donna avvolta in un lungo panno caldo: Giuseppe con Maria incinta! Quasi si fatica a scorgerli, in mezzo alla folla. Anche questo è simbolico: il Signore ha uno stile “discreto”, entra nel mondo in punta di piedi, viene a condividere la vita di ogni uomo e di ogni donna che nasce sulla terra, senza compiere a tutti i costi gesti mirabolanti.
Sappiamo quale fu la risposta della locanda alla Sacra Famiglia. Noi le apriremo?
Sabato, 23 dicembre 2023